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Multiprogrammazione: a che punto è l’Italia – Intervista a Bruno Zambardino

Come si stanno sviluppando i nuovi palinsesti flessibili delle sale? E quali strutture riescono a registrare le performance migliori? Nello studio Quale digitalizzazione, quale programmazione, uno sguardo alle dinamiche che stanno guidando i cinema nello sfruttare le opportunità offerte dalla nuova tecnologia.

Il 2014 è la scadenza fissata per il definitivo abbandono della pellicola da parte delle distribuzioni cinematografiche. A fronte dello sforzo economico sostenuto dal settore dell’esercizio per compiere la transizione, la nuova tecnologia dovrebbe garantire opportunità inedite alle sale cinematografiche, in particolare quella di creare palinsesti flessibili in base a giorno e orario, arricchiti da contenuti alternativi di diverso genere (concerti, manifestazioni sportive, documentari, cinema indie, grandi classici ecc). Stiamo parlando di multiprogramamzione, una pratica destinata a rivestire tanta più importanza quanto più si andranno affermando i nuovi modelli di sfruttamento degli schermi digitalizzati, come è stato ricordato anche alla Mostra del Cinema di Venezia in un dibattito sul ruolo che avranno i contenuti alternativi all’interno dell’offerta delle sale. Per fare il punto sullo stato della multiprogrammazione abbiamo intervistato il prof. Bruno Zambardino dell’Università di Roma “La Sapienza”, autore dello studio Quale digitalizzazione, quale programmazione  sull’andamento del fenomeno e sui suoi tratti salienti, fotografati al primo trimestre 2013.

crescita contenuti alternativi multiprogrammazione 2011-2012

Prof. Zambardino, cominciamo con una domanda secca: come sta andando la multiprogrammazione? Come si è sviluppata in Italia e che impulso ha ricevuto dalla conversione forzata al digitale?

Dall’analisi svolta emerge come i casi di multiprogramamzione efficace non siano ancora numerosi. È difficile estrarre un dato medio, mentre ci sono casi specifici virtuosi e interessanti. La risposta secca però è che non sta andando bene per due motivi fondamentali: il primo è il ritardo nel processo di digitalizzazione degli schermi, il secondo è che non c’è ancora un rapporto di fiducia abbastanza solido tra esercenti e distributori.

Da che parte si dovrebbe maggiormente sviluppare questo rapporto di fiducia? Sono gli esercenti che non vogliono rischiare con titoli a cui il pubblico non è abituato, o è ancora difficile trovare quella flessibilità di palinsesto che invece viene spesso indicata come uno dei principali vantaggi del digitale?

Credo che in questo momento, da parte dell’esercizio, ci sia scarsa maturità e competenza nel fare programmazione con il digitale, e che ci sia bisogno di un’azione forte di riqualificazione del personale. Allo stesso tempo, tuttavia, le distribuzioni tendono a stipulare contratti ancora molto rigidi, compresi quelli per la vpf [virtual print fee, il meccanismo tramite cui anche questo comparto partecipa alle spese per la conversione alla nuova tecnologia]. A fronte del pagamento del contributo esigono che vengano rispettati i termini contrattuali delle teniture, solitamente di due settimane, a prescindere dalla performance dei film. Se nella seconda settimana le aspettative dovessero risultare disattese, i distributori dovrebbero derogare di più a questi contratti e dare all’esercente la possibilità di modificare un po’ la programmazione nell’ottica di un interesse reciproco.

Dallo studio emerge come i contenuti alternativi, resi possibili appunto dalla multiprogrammazione, rappresentino ancora una fetta molto contenuta del box office complessivo. Possono invece arrivare a rappresentare una risorsa interessante per le sale?

I contenuti alternativi finora hanno funzionato soprattutto nei grandi circuiti. L’operazione “Extra” di The Space, ad esempio, è emblematica di come si possa investire in un progetto speciale per fare multiprogrammazione, utilizzando anche documentari internazionali di un certo spessore, piuttosto che concerti ecc. In quel caso, infatti, è possibile investire anche nel medio-lungo periodo per fidelizzare il pubblico senza guardare a un ritorno di incassi immediato. Un discorso di questo tipo risulta molto più difficile nei circuiti medi e piccoli.

Il che appare paradossale considerando che si sperava nella multiprogrammazione per ricompensare lo sforzo sostenuto per la digitalizzazione soprattutto da quelle sale e da quelle strutture più piccole, per cui affrontare questo tipo di investimento è stato meno facile.

Sono d’accordo e tra l’altro ritengo che la multiprogrammazione avrebbe dovuto essere tra i requisiti per ottenere il sostegno per la conversione digitale, sia per il tax credit che per i contributi regionali molto significativi che quasi tutti i territori italiani hanno assegnato alle sale del proprio territorio per digitalizzarsi. Questo però non è avvenuto.

Come si può valutare la performance della multiprogrammazione?

Nello studio sono stati presi in considerazione tre indicatori: il tasso di rotazione, il box office e la profondità, cioè il numero di titoli. Il confronto tra queste variabili non consente di dire che automaticamente chi ha il più alto tasso di rotazione ottiene anche i risultati migliori al box office. Non c’è una corrispondenza diretta, si procede per tentativi e sperimentazioni. C’è da dire però che dove non premia in termini di incassi, la multiprogrammazione premia in termini di nuovo pubblico.

Dallo studio emerge anche come le sale che praticano la multiprogrammazione tendano a mantenersi su valori medi di incasso. Questo significa che comunque anche nel caso non venga applicata in modo efficace,  non lede nemmeno le strutture che la mettono in atto.

Esatto, non comporta svantaggi. Di contro, quando c’è una buona multiprogrammazione vuol dire che l’esercente  finalmente conosce il proprio pubblico. Sa cioè che può inserire e collocare dei prodotti nella stessa giornata ma in fasce orarie diverse perché ha pubblici diversi. Un approccio del genere porta un salto di qualità notevole, e senza questo salto il digitale serve a poco.

Passando ai contenuti alternativi, che sono una delle possibili declinazioni della multiprogrammazione, quali finora sono andati meglio e quale può essere la motivazione, a parte i gusti del pubblico? Il risultato è influenzato da fattori come il marketing o la maggior forza dei fornitori?

Per i contenuti alternativi è interessante il caso di The Space, che dal primo al secondo anno ha conosciuto una crescita esponenziale degli incassi e della visibilità dei titoli proiettati all’interno del suo programma Extra. Tra l’altro ora non si tratta neanche più di titoli in esclusiva dato che hanno cominciato anche a distribuirli ad altri esercenti. Questo proprio perché hanno creato un brand e un progetto specifico, hanno un team dedicato al proprio interno e fanno ampio uso dei social network. La strategia ovviamente paga, anche nel breve periodo.

Il che porta a un’altra domanda: in che misura la multiprogrammazione e i contenuti alternativi contribuiscono al ripensamento del palinsesto delle sale, e quanto invece vengono integrati senza una vera strategia di fondo?

La differenza si nota molto bene nel passaggio da una prima fase, più sperimentale, in cui si tendeva a integrare con i contenuti alternativi e la multiprogrammazione, a una seconda fase in cui si è giunti alla consapevolezza di poter offrire un prodotto diverso da quello cinematografico classico. In particolare di offrirlo a un pubblico specifico, che va a vedere solo quello e che sarebbe andato comunque a vederlo da qualche altra parte. In questo contesto la sala si propone come un centro di fruizione aggiuntivo: basta pensare alle partite di calcio o agli eventi sportivi, che ovviamente gli spettatori avrebbero seguito lo stesso, ma in un altro luogo.

Per quanto riguarda le tipologie di contenuti alternativi, quali si sono affermate maggiormente o funzionano di più?

Le tipologie si sono abbastanza assestate. C’è una fetta interessante di documentari ma sicuramente il grosso lo fa la musica pop.

Quali sono le linee evolutive per la multiprogrammazione in Italia? Potrebe diventare un’alternativa distributiva per quel cinema indipendente che ora trova qualche difficoltà a uscire in sala o a ottenere teniture più lunghe?

In realtà il prodotto indipendente è quello che ha trovato più difficoltà a circolare anche in contesti con buone performance come The Space Extra. Per queste produzioni non necessariamente il primo passaggio deve essere la sala: possono essere molto più efficaci altre forme di distribuzione come il video on demand. Per quanto riguarda le possibili evoluzioni, sono secondo me molto problematiche. Sono ancora molte le sale che devono completare la transizione al digitale prima della scadenza fissata a fine anno. Molto dipenderà perciò da come procederà l’adeguamento tecnologico.  Di questo si avvantaggeranno ovviamente i grandi circuiti che hanno già provveduto a convertire i propri schermi e che faranno anche da apripista, dimostrando come una diversificazione dell’offerta per giorni della settimana e fasce orarie possa funzionare. Non penso tuttavia che entro l’anno questo tipo di programmazione possa compiere un significativo balzo in avanti, complice anche la crisi, le difficoltà e i vincoli legati proprio al consumo in sala.

Per un’overview sull’intero studio, realizzato per l’ANEM (Associazione Nazionale Esercenti Multiplex) e con la collaborazione di Daniele Carellivi alla raccolta e all’analisi dati, rimandiamo al nostro precedente approfondimento.

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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