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Cronache del Cinema e dello Streaming #6 – Il Problema di Netflix

Questa mia rubrica non è mai stata puntuale ma potrebbe diventare definitivamente occasionale dopo che per un anno ho faticato a trovare il tempo per curarla come si deve. Ultimo o penultimo appuntamento dell’anno che sia parlo di quello che a un anno da Roma resta il più grande problema di Netflix, dove sta il contenuto memorabile?

Sono passate 4 settimane dall’ultima uscita di questo mio sporadico appuntamento con le cronache del cinema e dello streaming. Nel frattempo The Mandalorian, arrivata alla sesta puntata (la settima uscirà prima la settimana prossima per permettere agli appassionati di vederla prima di Star Wars IX) è diventata la serie più “domandata” e Google ci ha fatto sapere che il termine più cercato negli USA nel 2019 è Disney+.

Sono settimane nelle quali ho accumulato una tale quantità di articoli su cui riflettere e da condividere da esserne travolto, tanto che credo che con l’arrivo delle festività concluderò l’esperimento iniziato esattamente un anno fa con i Matinée e proseguito con le cronache, sia perché non riesco a dare a questi articoli la continuità che l’argomento merita sia perché potrebbe, per altre ragioni, essere arrivato il momento di orientare in un’altra direzione queste analisi.

Sicuramente prima delle fine dell’anno pubblicherò l’aggiornamento della classifica sulle singole piattaforme di streaming (partendo da quella di Jim Cramer) di cui avevo parlato qui, mentre oggi voglio dedicare un po’ di spazio al più recente tra gli articoli in cui mi sono imbattuto sistemando gli appunti per le streaming wars.

Giusto ieri è infatti uscito su The Motley Fool questo articolo, dal titolo Why I’m Cutting Netflix — and Millions of Americans Might, Too, che riassume così bene tante delle riflessioni accumulate in questi mesi su Netflix che penso sia il caso di utilizzarlo per fare un po’ il punto, in attesa che nel 2020 arrivi anche in Italia Disney+ e anche noi si inizi a porre seriamente il problema.

L’autore dell’articolo parte da una riflessione fatta in casa, con la sua famiglia, che stavo facendo anche io di recente (anche se la mia famiglia è così numerosa che otterrei risultati diversi e quindi la facevo solo per me) e che in sostanza è una specie di gioco della torre: chi butteresti giù? A quale piattaforma di streaming rinunceresti rispetto alle altre? Perché ora che ne arrivano tante, si dovrà scegliere. Ecco il risultato è che per un motivo o per un altro il candidato più probabile è proprio Netflix. La ragione di fondo, prima di passare a considerazioni più tecniche, la riassume in queste due frasi:

Despite spending billions of dollars on content, there’s nothing specific keeping customers loyal to Netflix

[…]

Netflix’s investment in original content is building a massive library for consumers to dive into. The library may be big, but I have no emotional attachment to any of it

(Travis Hoium)

Il problema è proprio questo, Netflix produce sempre di più ma non ha ancora prodotto (quasi) niente di memorabile. Con l’eccezione di Stranger Things, che però non può durare in eterno, e colpevole anche il binge watching, sembra più un discount (e infatti nasceva così, library immensa a poco prezzo) che un qualcosa cui si riconosce qualcosa che diventerà un premium price.

Come in altri settori in cui le startup tecnologiche hanno fatto distruption dei mercati attraverso la tecnologia per poi, come in ogni rivoluzione che si rispetti, restaurare vecchi modelli solo con loro leader di mercato, Netflix è stata il first mover nel campo dell’intrattenimento audiovisivo e con questo suo essere avanti potrebbe essersi guadagnata una posizione di leadership nello scenario futuro diventando una nuova Major, così come è stato per Amazon nel campo del retail.

Però mentre Amazon ha esteso e differenziato il suo business, Netflix si è comprata con la fiducia della borsa la possibilità di provare a imparare a fare i contenuti, ma continua a non riuscirci benissimo. Non credo che Netflix uscirà veramente sconfitta dalle guerre dello streaming, almeno dal campo di battaglia, ma potrebbe finire distrutta perché in borsa arrivare anche solo secondi potrebbe penalizzarla così tanto da farla affondare sotto il peso di un enorme indebitamento. Qui la scommessa è tutta sul se e quando imparerà Netflix a fare contenuti memorabili? Perché di Oscar importanti ne ha già vinti e ne vincerà altri, ma non è un Oscar che sedimenta davvero nel pubblico.

Content is king. Lunga vita al contenuto. E il contenuto non si improvvisa.

Dimenticavo, due ultime cose.

Intanto in tutto questo la piattaforma più avanti è quella di Apple (non l’offerta di contenuti, la piattaforma e quello che sotto-intende il come è stata concepita e si presenta al pubblico), ma per funzionare dovranno aderire al suo modello di offerta anche altre piattaforme e potrebbe essere che non riescano a realizzare quel modello per mancate adesioni, così come sta andando male Apple News+.

Seconda considerazione. Nuova applicazione dopo nuova applicazione, Instagram dopo YouTube e TikTok dopo Instagram, queste applicazioni social affinano sempre di più sia gli strumenti creativi a disposizione di chi crea il contenuto (TikTok è un meraviglioso studio di produzione) sia gli algoritmi con cui questo contenuto viene organizzato e proposto al pubblico in un modo che è sempre più flusso ma può essere storia. Più che da Quibi sono convinto che sia dalla costante evoluzione di questi strumenti che vedremmo arrivare nuove forme di raccontare storie, non solo la nuova “televisione”.

PS: nelle ultime settimane ho intensificato l’uso di Linkedin, quello che non troverete qui probabilmente lo troverete più frammentato, lì. Questo il mio account.

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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