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Smart TV, dati, privacy e advertising: le criticità della futura casa connessa

Spiati dai microfoni per il comando vocale? La ditta sudcoreana nega, ma rimangono le incognite sull’uso dei big data all’epoca della casa connessa.

La diffusione capillare di smartphone e tablet ha già sollevato la questione della riservatezza in un’era di connessione perenne e della messa in rete di una quantità enorme di dati capaci di rivelare, se non proprio informazioni sensibili, quanto meno le abitudini e le preferenze di consumo. Il problema sembra però destinato a ingrandirsi ulteriormente, di pari passo con l’aumento dei dispositivi e delle funzionalità smart, in particolare quelle fruibili nel nucleo domestico. A scatenare il caso, però, non sono state automobili o elettrodomestici in rete, bensì una perenne protagonista del dibattito mediatico come la televisione, nello specifico le apparecchiature Samsung.

Smart house

Oltre alla possibilità di accedere a servizi online tramite applicazioni proprietarie o sviluppate dai partner, l’aggettivo smart, riferito al piccolo schermo, indica infatti una serie di caratteristiche di ultima generazione come i comandi vocali. Solo che per riconoscere le indicazioni impartite a voce dai proprietari, le smart tv devono necessariamente registrare i suoni provenienti dall’esterno e trasmetterli a un servizio in grado di processarli e trasformarli in  forma testuale. Da qui la domanda che da qualche giorno sta suscitando preoccupazioni e scalpore a livello internazionale: le smart tv “spiano” le conversazioni in salotto? In che misura  i dispositivi connessi possono filtrare le parole dette davanti allo schermo e far arrivare alle società esterne solo quelle relative al funzionamento dell’apparecchiatura?

Lo scenario di un “orecchio”  capace di insinuarsi nel cuore della vita domestica è talmente orwelliano da suonare come una preoccupazione di tipo apocalittico, eppure la stessa Samsung si è sentita in obbligo di apportare alcune modifiche alle sue policy in fatto di privacy e pubblicare un post sul blog ufficiale in cui si assicura che le televisioni del marchio non intendono “monitorare” quanto detto nel soggiorno di casa. Il costruttore sudcoreano, nello specifico, ha spiegato che i suoi set sono dotati di due microfoni: uno installato all’interno del televisore, rispondente solo a segnali preimpostati, e uno collocato all’interno del telecomando che invece supporta ricerche più ampie, essendo pensato ad esempio per trovare il proprio serial preferito col solo uso della voce. Acnhe in questo secondo caso, assicura Samsung, il funzionamento non è diverso da quello delle apposite app presenti sui dispositivi mobili, e non dovrebbe perciò preoccupare più di quanto non preoccupi, per così dire, una Siri.

La questione in realtà è più ampia e investe il nuovo modello verso cui si sta evolvendo l’intero ecosistema tecnologico in cui siamo immersi: la smart house, gli wearable, vogliono dire soprattutto una proliferazione di sensori, microfoni e altri minuscoli apparecchi preposti a captare, registrare e usare in modo appunto “intelligente”  dati sul nostro ambiente e le nostre esigenze di vita. Preoccuparsi di quanto i “big data” possano essere conservati e sfruttati a fini di marketing e advertising, farà parte dell’evoluzione dei comportamenti di consumo, o quantomeno dell’evoluzione delle regole del mercato. Sempre in virtù della maggior vicinanza della UE al principio precauzionale, l’ENISA (Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione) ha prodotto un report sulla sicurezza delle case connesse, in cui ci si sofferma anche sul ruolo che la smart tv potrebbe assumere nel trasferimento di informazioni rilevanti sui propri utenti, considerando la centralità logistica e la popolarità del mezzo.

Se una volta i regolatori nazionali legiferavano su affollamenti pubblicitari e frequenze radiotelevisive, un domani la tutela dei cittadini-consumatori passerà quindi per le impostazioni di privacy e di sicurezza di default, la pari visibilità dei contenuti nei menu di navigazione,  l’utilizzo a scopi commerciali dei dati generati automaticamente nel processo di consumo. Nel frattempo, sempre Samsung si è resa protagonista di crescenti polemiche sulla presunta pratica di inserire ads all’interno delle app di terze parti, senza l’autorizzazione dei loro titolari.

A prescindere da come si risolverà la criticità dei comandi vocali, il fatto che la smart tv sia entrata in modo così insistente nel dibattito pubblico sulla sicurezza dei dati nell’era connessa, significa comunque che il fenomeno sta uscendo dalla sua fase embrionale e, probabilmente, potremmo vederne presto gli effetti sulla dieta mediatica del pubblico, prima o poi anche quello italiano.

 

Fonte: CNET, GigaOM

 

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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