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In Italia siamo pronti alla diminuzione delle produzioni e dei budget?

C’è ormai solo una certezza nel mondo delle piattaforme: è finita l’epoca degli investimenti folli. Lo dimostrano le parole di due CEO, Bob Iger e Tony Vinciquerra. Ma cosa succederà nel nostro Paese?

Da tempo, su Cineguru parliamo di come la bolla delle produzioni (sia in termini di quantità che di budget schizzati verso l’alto) sia destinata a finire. Di recente, due amministratori delegati molto importanti hanno parlato in pubblico, ossia Bob Iger (Disney) e Tony Vinciquerra (Sony Pictures Entertainment) e hanno detto cose molto interessanti, facendo capire che la conclusione di questa bolla prima o poi rientra più nel campo del ‘prima’ che del ‘poi’.

Bob Iger, CEO di Disney, ha partecipato alla Morgan Stanley media investment conference e ha detto, come suo solito, cose interessanti, a cominciare dal suo scetticismo verso gli streamer.

“Ognuno di loro raggiungerà grandi profitti in un paio d’anni e vedrà crescere un aumento di abbonati nell’ordine di decine di milioni? Non è possibile. Ci sono sei o sette realtà streaming molto ricche e aggressive, che cercano tutte gli stessi abbonati e in molti casi sono in competizione per gli stessi contenuti. Non tutti vinceranno”.

No, non tutti vinceranno. Ma sicuramente tutti dovranno ridurre gli investimenti in contenuti, argomento trattato anche da Iger:

“Sono davvero contento che il supporto che sto ricevendo dai creatori di contenuti sia significativo e reale, e arriva sotto forma di riduzione della spesa per i contenuti, che si tratti di una serie TV o di un film, visto che i costi sono saliti alle stelle e a mio avviso non sono più tollerabili. Sono tutti d’accordo su questo. E’ importante capire la quantità di prodotti di cui abbiamo bisogno e ridurre quello che realizziamo.

E visto che cerchiamo di ridurre i contenuti che stiamo creando per le nostre piattaforme, probabilmente ci sono opportunità di concedere qualcosa in licenza agli altri. Per un po’ era qualcosa di ‘proibito’, che non potevamo assolutamente fare, perché dovevamo favorire le nostre piattaforme di streaming. Ma se arriviamo a un punto in cui abbiamo bisogno di meno contenuti per le piattaforme e abbiamo ancora la capacità di produrre altri contenuti, perché non usarli per aumentare i ricavi? Ed è quello che probabilmente faremo. […] Ci è già chiaro che l’esclusività, che pensavamo sarebbe stata così preziosa nella crescita degli abbonati, non era poi così preziosa. I contenuti possono effettivamente coesistere su una realtà tradizionale e sulla piattaforma di streaming, senza danneggiare nessuna dei due”.

In questo caso si parla di produrre contenuti per altre piattaforme, ma il concetto va benissimo anche per i contenuti già esistenti e che si potrebbe cedere ad altre realtà. D’altronde, perché vedere Netflix come un concorrente, se invece può aiutare a portare profitti? E quando realtà come Netflix o Amazon potranno acquistare contenuti da Disney, vorranno continuare a investire nelle produzioni indipendenti con gli stessi volumi di investimento (spoiler: no)?

Iger ha anche sottolineato come i franchise più importanti (tra cui ovviamente Marvel e Star Wars) rimarranno in esclusiva sulle piattaforme di proprietà. Ma chi può escludere ripensamenti nei prossimi anni? Comunque, per quanto riguarda il discorso profitti, anche la questione del prezzo di abbonamento è fondamentale:

“Bisogna trovare una strategia di prezzo che abbia senso. Nello sforzo di far crescere gli abbonati globali, abbiamo trascurato la strategia sul prezzo. Ora stiamo iniziando a capirne di più e ad adattarci”.

Insomma, la strategia delle piattaforme “vi diamo tantissimo a poco” non poteva durare e adesso bisogna convincere i consumatori a pagare di più (e quindi, come corollario, ad abbonarsi a meno servizi, visto che non è ipotizzabile un aumento sostanziale di budget per questa spesa).

“C’è così tanta possibilità di scelta per i consumatori in questo momento, e si torna a quello che si differenzia dalla concorrenza. Sono alcuni brand come Star Wars, Marvel, Disney e Pixar. Ma anche la qualità è un fattore di differenziazione”.

Insomma, si investirà ancora molto sui grandi prodotti con brand fortissimi (e ci mancherebbe altro), quindi i tre miliardi di contenuti da tagliare vanno trovati altrove (per esempio, spiace dirlo, nelle produzioni extrastatunitensi).

“Ho detto pubblicamente che non credo che il futuro del lineare sia molto roseo e alla fine tutto si sposterà sullo streaming. Ma non siamo ancora a quel punto. E così c’è un calo per le realtà tradizionali e i loro bilanci e una crescita per la nuova piattaforma, ma non il tipo di crescita enorme di cui ci sarebbe bisogno per portare profitti importanti. È un periodo complicato”.

Che il panorama sia complicato, lo si vede anche da altre questioni. Ci sono già stati diversi segnali in Italia che fanno capire come alcune piattaforme possano decidere di fare scelte diverse ed eventualmente anche ridurre gli investimenti. Senza entrare nei dettagli di rapporti di lavoro che finiscono, Netflix Italia recentemente ha visto gli abbandoni di Sara Furio (responsabile dei film per il nostro Paese) e del direttore marketing Paolo Lorenzoni, come aveva riportato e-duesse. Per quanto riguarda Paramount+, a fine 2022 avevamo registrato la conclusione del rapporto con Jaime Ondarza, che poi è passato in Fremantle.

Anche realtà come Amazon Prime Video Italia, anche se non hanno visto (per quanto ne so) cambiamenti nell’organigramma, fanno riflettere per quanto riguarda i risultati dei loro prodotti. Se ci concentriamo sulle serie scripted Original, sono state nove (spero di non scordarmi nulla): Bad Guy, Bang Bang Baby, Me contro te – La famiglia reale, Sono Lillo, Vita da Carlo, Prisma, Monterossi, Tutta colpa di Freud e Made in Italy. Per ora, l’unica certezza è che Monterossi è sul set per una seconda stagione (curioso, dai miei dati è una delle serie che sono state meno viste), mentre non è stato annunciato il rinnovo di nessun’altra (Vita da Carlo è passato a Paramount+, che si sta occupando della seconda stagione), anche se si può sperare per quanto riguarda Bad Guy, Me contro te e Sono Lillo (su Prisma, sta passando decisamente un po’ troppo tempo rispetto all’uscita della prima stagione, avvenuta ormai sei mesi fa).

Ma alla fine, se diminuiscono gli investimenti delle piattaforme, caleranno anche quelli delle realtà più tradizionali, visto che non dovranno competere per gli streamer nell’acquisizione di contenuti importanti (o almeno, non ai livelli di budget a cui ci siamo abituati finora).

Decisamente su un altro fronte (visto che è l’unica major che ha deciso di non combattere le guerre dello streaming), Tony Vinciquerra, CEO di Sony Pictures Entertainment, che è stato intervistato da Janice Min di The Ankler (il podcast è disponibile qui, ma è un contenuto a pagamento). Vinciquerra si definisce “fornitore strategico di Hollywood” e afferma che l’accordo con Netflix per i diritti di Pay 1 (insomma, la prima finestra pay, dopo il theatrical e l’home video) è “il miglior accordo di Pay-1 nella storia del business” (immagino si riferisca a Sony, non in assoluto, d’altronde è difficile fare confronti tra diverse major con differenti livelli di produzioni e property), mentre non commenta quando Min parla di una cifra intorno ai 3 miliardi di dollari (ma non la smentisce neanche).

Ma qualsiasi sia il numero esatto, fa capire che vendere i contenuti a piattaforme esterne (piuttosto che crearsi la propria) non solo porta a dei profitti (invece che a delle perdite di anni per i costi dei propri streamer), ma anche a entrate mai viste, perché “quelli che hanno una piattaforma non possono fare affari tra loro, mentre tutti possono fare affari con noi” (come ha detto il Presidente di Sony Pictures Entertainment Tom Rothman). Questo significa che, con scarsità di contenuto di qualità già realizzato (quindi, in cui si possono anche fare delle valutazioni sui risultati theatrical, a differenza di chi investe in produzione e ogni volta spera che le cose funzionino, ma senza certezze), i compratori sono disposti a pagare di più.

L’esempio interessante che viene citato è quello dei diritti di Seinfeld, che ha ricevuto ben sette offerte, finendo poi su Netflix per la ‘modica’ somma di oltre 500 milioni di dollari. Il CEO sottolinea come Sony abbia sempre voluto fare un percorso di profittabilità e che l’esperienza nel servizio streaming musicale Pandora (in cui era membro del CDA) lo ha portato a dire che “più abbonati c’erano, più soldi si perdevano” (frase decisamente inquietante, ma che recenti bilanci di servizi OTT sembrano confermare). Questo non impedisce a Sony di essere proprietaria di streamer che si rivolgono a delle nicchie, come Crunchyroll (anime) e Pure Flix (un pubblico di credenti), che peraltro sono in attivo.

Inoltre, la finestra pay con Netflix non è l’unica, c’è anche una finestra Pay-2 con Disney. Quindi, doppia entrata (quest’ultima ovviamente inferiore, ma certo non indifferente). Vinciquerra ricorda anche il caso di The Crown, un prodotto che non è stato ceduto completamente a Netflix (come avviene ormai di prassi per le produzioni Original di questa piattaforma), ma che si è potuto sfruttare anche con altre realtà in Europa per la prima stagione, in un momento in cui Netflix non era ancora completamente presente nel nostro continente.

Inoltre, Vinciquerra ricorda agli streamer “che il lancio marketing per l’uscita del cinema posiziona quel prodotto nella mente delle persone e dura per sempre”. L’esempio che cita è Uncharted, andato benissimo al cinema, in home entertainment e su Netflix, e che continua ad andare bene.

Insomma, che dire? Sembra sempre più ovvio che, dopo la sbornia di questi tre anni, si stia tornando alla normalità e che tante vecchie regole del business dell’audiovisivo non fossero così male. Vedremo come ci adatteremo anche noi…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.

One thought on “In Italia siamo pronti alla diminuzione delle produzioni e dei budget?

  1. E i film italiani, soprattutto quelli sponsorizzati da mama Rai: grandi budgets e pochi ( quasi nulli ) incassi!! Giusto per fare un esempio, cito un titolo: Chiara. Chi paga? Non ditemi il solito contribuente con la bolletta della luce… Ci vogliamo dare una calmata???

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