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Cronache del Cinema e dello Streaming #4 – Disney+ da oggi accessibile negli USA, in Italia dal 31 marzo.

Con il lancio di Disney+ negli USA le guerre dello streaming entrano davvero nel vivo. La piattaforma arriverà in Italia (e nel resto d’Europa) il 31 marzo, AppleTV+ è partita anche se non con il botto e nel nostro paese HBOMax non arriverà, ma le sue serie si ed attraverso Sky dove nel frattempo è approdata anche Netflix. Le ultime cronache di guerra in tempo di pace, con un intervento di Michele Casula.

12/11/2019 – Disney+ sarà da oggi finalmente “online” negli Stati Uniti e in una manciata di altri paesi e le guerre dello streaming entreranno così davvero nel vivo. Netflix si troverà ad affrontare il suo vero e più temibile avversario, la piattaforma ammiraglia di Disney tra i servizi di streaming, e cominceremo a prendere le misure di quella che assomiglia sempre di più alla bolla cha ha caratterizzato il primo ciclo dell’epoca di mutamenti e “distruption” iniziata alla fine degli anni ’90 con l’avvento di internet. Non a caso tra investimenti billionari, troppe subscription, e una una abbondanza di serie che non basterebbero tre vite per vederle tutte si inizia a parlare sempre di più di content bubble. Durante il tradizionale appuntamento di bilancio sul trimestre appena concluso, che nel caso di Disney è poi anche la chiusura dell’anno, Bob Iger ha annunciato lo scorso giovedì anche la data di apertura di Disney+ in Europa e in Italia in particolare, dove arriverà il prossimo 31 marzo. La notizia è stata accolta con grande entusiasmo dai fan della casa di Topolino, con tante domande e qualche lamentela legata soprattutto all’impossibilità di vedere fin da subito una delle più attese tra le produzioni originali Disney, ovvero la serie ambientata nell’universo di Star Wars, The Mandalorian.

7/11 – Oltre ad annunciare le date di rilascio di Disney+ in Europa Bob, Iger ha comunicato i risultati della società, che ha sofferto perdite importanti soprattutto a causa delle pessime performance di alcuni titoli della 21st Century Fox (Ad Astra e e Dark Phoenix soprattutto), ma soprattutto ha cominciato a delineare il ruolo di Hulu nella strategia Disney, confermando che sarà il veicolo che porterà sul mercato le produzioni FX, vecchie e nuove e tra queste anche quelle inizialmente avviate per la diffusione via cavo. Proprio in questi giorni così strategici per il futuro della Disney si sono susseguiti alcuni articoli dedicati alla sua successione come CEO della società, sia dedicando spazio ad alcuni dei possibili successori, sia parlando delle oggettive difficolta di un passaggio di testimone in un momento così critico. Tra i possibili candidati alla guida della casa di Topolino The Wrap ha dedicato un approfondimento a Kevin Mayer, la cui carriera è riassunta nella grafica qui sotto.

5/11 – Mentre ogni Major annuncia i suoi piani, ed obiettivi per il proprio servizio di streaming Martin Peers su The Information ha fatto un po’ di conti basati sui forecast annunciati dalle varie piattaforme e i conti non gli tornano facendo la semplice prova del nove con al penetrazione della banda larga nel mondo. Se le previsioni delle piattaforme dovessero realizzarsi, infatti, a metà 2020 ci ritroveremmo con un numero compreso tra i 600 e i 750 milioni di abbonati, ovvero non solo 4 volte gli attuali abbonati a Netflix di oggi, ma significherebbe almeno due abbonamenti per ogni connessione a banda larga disponibile oggi negli USA, Europa, America Latina, Australia, Nuova Zelanda e Giappone. Un obiettivo credibile forse per gli Stati Uniti (anche in base a questi dati pubblicati su Linkedind da Alberto Pasquale), ma non per altri mercati in cui esistono altri servizi di streaming e altri modi per accedere a contenuti televisivi di cui c’è sicuramente abbondanza.

Visto che quando si parla di numeri e, soprattutto di tirare fuori le contraddizioni tra proiezioni e numeri reali, il mio maestro è sempre Michele Casula, penso che sia questo il punto giusto per inserire nel mio articolo questo intervento che Michele mi inviato qualche giorno fa, a seguito del precedente appuntamento di questa rubrica.

LA MATRIOSKA DI NETFLIX di Michele Casula

Nei giorni scorsi sono (consapevolmente) caduto nella trappola di Davide Dellacasa, piazzata tra i commenti di un post Linkedin sul suo ultimo matinée (ma si chiama ancora così?). Io avevo espresso qualche cautela sui 2 milioni di utenti Netflix in Italia recentemente sbandierati da Reed Hastings, esponendomi al suo “a te tornano?”. Davide sa che posso rispondere solo a metà, dato che rilevo il dato in questione in una ricerca multiclient (DigitalTRENDS) a fruizione riservata, ma intuiva che parte di quella risposta l’avrei data, ammettendo che “il dietrologo che è in me non troverebbe casuale l’accoppiata fra pochi (relativamente) abbonati e il discorso tasse (leggi: inchiesta della Procura di Milano per omessa dichiarazione dei redditi). La mia parte più fiduciosa entrerebbe nel merito delle metriche, assumendo che il loro numero si riferisca ai paganti, senza considerare lo sharing (che effettivamente possono solo stimare e che allarga il bacino degli utenti, ma non i ricavi)… e poi c’è una cosa che si chiama pirateria, cui i recenti blitz anti-pezzotto hanno fatto solo il solletico…. Quindi finisce che non siamo neppure lontanissimi…”.

A Davide evidentemente non basta e rilancia sul fatto che di tratti di households, costringendomi a rispondere “grazie al ca**o!” (ah no, questo è quello che ho pensato), ovvero “certo che si tratta di households, ma si tratta di capire se sono i paganti nel mese medio o quelli attivi al momento, ed evidentemente non contano sharing e pirateria”. Davide però deve aver intuito la risposta rimasta nei miei pensieri e mi liquida con un “queste cono cavillose domande da sondaggista che fa chi deve far passare del tempo mentre sta in treno”, facendo centro con la seconda parte (quella del treno) e riuscendo a farmi incavolare con l’assimilazione al sondaggismo, che considero una malattia esantematica delle ricerche di mercato (da me superata, ma che miete ancora molte vittime).

Dato che il ragazzo è astuto, fa passare qualche ora e torna alla carica mandandomi l’articolo: “Netflix dice stop alla condivisione dell’account” (), e mi stuzzica anticipandomi che ne scriverà nel fine settimana.

Molti ricorderanno che non si tratta del primo giro di vite ispirato a Netflix dal genio italico. In principio era “il mese di prova”, in virtù del quale molti si prodigavano in fantasiose prove seriali, attivando account a nome dell’intero albero genealogico. All’inizio del mese di aprile del 2019 arriva lo stop da parte di Netflix. Pochi giorni fa il ripristino, ma con obbligo di inserire la carta di credito (più facile da individuare come elemento ricorrente nelle attivazioni dei trialist seriali).

La stretta sul mese di prova e l’annuncio delle limitazioni allo sharing degli account, sono rivelatori della presenza di più involucri esterni nella matrioska degli abbonati Netflix. Se la più piccola (quella dei 2 milioni dichiarati da Hastings) fosse quella relativa al “valore” della CB (magari con un pensiero alle questioni fiscali), il dato potrebbe verosimilmente riferirsi alle famiglie paganti nel mese medio. Se così fosse, avremmo un numero diverso (più alto) per quelle con fatturazione attiva al momento della dichiarazione di Hastings (o al termine del trimestre precedente). Ma se volessimo considerare le famiglie che in questo momento “hanno accesso ai contenuti Netflix” (pur non generando ricavi/fatturato), dovremmo aggiungere quelle che beneficiano dell’account sharing, che sono anche più delle tante che lo dichiarano nelle survey, per un misto di inconsapevolezza e di “pudore” (non è mai bello ammettere che stai scroccando un abbonamento, anche se molti dividono diligentemente la spesa). Poi avremmo l’involucro dei redivivi trialist (meno che in passato, ma presenti), e quello dei pezzottari (solo scalfiti dalle ultime inchieste) che, alla domanda “accedi ai contenuti Netflix” non si asterrebbero dall’ammetterlo, rispondendo positivamente anche a quella che li qualifica come utenti a pagamento. Effettivamente pagano anche loro per vedere Netflix (e tanti altri contenuti: quella pirata è tendenzialmente un’offerta integrata molto ricca): peccato che paghino un soggetto diverso da Netflix.

Tutto serve da un lato per confermare l’ipotesi di Davide che “sono matrioske mentali da sondaggista”, dall’altro per evidenziare che i ragionamenti sull’evoluzione del mercato audiovisivo in Italia devono necessariamente considerare anche il bacino allargato di chi, di fatto, accede ai contenuti di Netlix in Italia. E sono molti di più rispetto ai 2 milioni (“netti” o “lordi” che siano) di famiglie dichiarati da Hastings & Co.

6/11 – Con l’arrivo nell’arena competitiva di Disney+ e a seguire delle altre piattaforme la conta degli abbonati potrebbe però essere una metrica, una KPI direbbero quelli bravi, con le ore contate. Forse perché ci crede davvero o forse perché sono un paio di trimestri che il numero sembra aver raggiunto un suo limite superiore, almeno negli Stati Uniti, Reed Hastings ha dichiarato che dal prossimo anno cominceremo a guardare più ai “minuti spesi” sulle piattaforme che al numero degli abbonati. prepariamoci quindi ad avere altri numeri da decifrare.

Time, that’s the real competition. The tricky thing in this streaming war, Apple and Disney aren’t going to break out revenue for the service.
You’ll hear some subscriber numbers but you can just bundle things in so that’s not going to be that relevant. So the real measurement will be time — how do consumers vote with their evenings? And do they end up watching what mix of all the services?
Starting in Q1, you’ll start to see a breakout of that, from Nielsen and others.

6/11 – I cinema chiudono perché sono brutti e tutti uguali. Titola in questo modo un articolo del sempre arguto Gabriele Niola per Esquire che, evidentemente a corto di film da recensire negativamente, decide per una volta di farsi volere anche dagli esercenti e non solo dai distributori dei film che non lo convincono del tutto 😉 Scherzi a parte e al di là del titolo attira-click dell’articolo si tratta di un pezzo condivisibile sullo stato dell’esercizio italiano, che evidenzia i casi postivi di cinema che investendo non solo resistono ma anzi vedono crescere la frequentazione da parte del pubblico. La riflessione più generalizzata è che per quanto in ogni ambito l’e-commerce stia mettendo a dura prova la tradizionale distribuzione delle merci e per quanto la distribuzione digitale di beni immateriali, contenuto audiovisivo in testa, rischi di stravolgere il settore, l’esperienza e l’evidenza dei fatti insegna che anche in questi cambiamenti c’è un’opportunità, per chi saprà ridefinire ed adattare l’uso dello spazio alle nuove modalità di consumo. Corriamo verso un epoca di troppo contenuto, troppo omologato e piatto. Ci sarà però sempre del contenuto che si merita un grande schermo, un audio potente, poltrone comode, il piacere di andare a vedere qualcosa che se lo merita fuori di casa con gli amici e il bisogno di servizi adeguati intorno. Ovviamente non è per nulla chiaro quale sarà il modello economico dietro alla nuova filiera “cinematografica”, anche se credo sia solo questione di tempo e gli indizi continuano ad aumentare.

1/11 – AppleTV+ ha regolarmente aperto in oltre 200 mercati, con una manciata di contenuti originali, è vero, e anche con qualche intoppo tecnologico dato che soprattutto sulle piattaforme non Apple alcuni lamentano non pochi problemi di funzionamento. Ma resta il fatto non da poco che Apple ha lanciato una piattaforma globale “da un giorno all’altro”, una sfida tecnologica che nessun altro ha affrontato e che avrà avuto anche e dal giorno zero una grande quantità di abbonati dato che il servizio è gratuito per anno per chi ha acquistato un device Apple negli ultimi due mesi. La media delle recensioni sugli show originali sono forse un po’ troppo tiepide rispetto alle aspettative, ma cosa c’è di non tiepido in questo panorama produttivo sovraccarico? E comunque non leggo opinioni omogenee e quindi dipenderà dai gusti. Come ho avuto modo di scrivere al lancio del servizio in un’epoca di sovra abbondanza di contenuti non importa che le serie siano tante, ma che funziono e che funzioni nel contesto in cui sono pubblicate. Un buon rapporto tra contesto e contenuto è il segreto del successo del futuro e la piattaforma è già come sarà il futuro, riassume cioè in se tutte le formule, subscription, premium price, la formula channels, insomma è tutta da tenere d’occhio.

30/10HBOMax non arriverà in Italia, almeno non direttamente, dato che WarnerMedia e Sky hanno firmato un accordo di distribuzione di ben 5 anni in base al quale le serie HBO e altri contenuti della Warner continueranno ad arrivare nel nostro paese attraverso Sky e quindi anche attraverso la sua piattaforma Now TV ed altri ancora ne verranno co-prodotti. Lo aveva detto chiaramente John Stankey che mentre la piattaforma sarebbe stata lanciata negli USA il prossimo maggio in alcuni territori si sarebbe proceduto con accordi di licenza e il nostro mercato è uno di questi. E così mentre alcuni vanno allo scontro diretto su scala globale altri differenziano la propria strategia in modo più tattico, non solo in base ai territori, ma guardando anche al mercato in una prospettiva che vedrà la capacità di creare bundle come strategica in una situazione di eccesso di piattaforme. Su Sky, in Italia, è già arrivata anche Netflix, vuoi vedere che cambia tutto per cambiare niente? pagheremo app invece che pacchetti? O meglio che cambiando la tecnologia sottostante (non più satellite o cavo classico, ma internet) ci troveremo comunque di fronte a operatori nuovi su scala globale ma in alcuni paesi potrebbero restare più che rilevanti delle piattaforme come Sky? Nel frattempo la piattaforma di Comcast/NBCUniversal, Peacock, potrebbe essere la prima, tra quelle dei player di primo piano player, ad essere gratuita per tutti, con la formula dell’AVOD e anche una versione a pagamento, sul modello di Hulu.

Chiudo con una infografica di cui non ricordo la fonte che mostra chi possiede i più importanti personaggi cinematografici. Facile indovinare chi è rappresentato in giallo.

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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