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Crollo Netflix: questione di prezzi o di diritti?

Il portale VOD perde 800 mila utenti in tre mesi. Il titolo crolla in Borsa e gli analisti accusano l’aumento dei prezzi. Ma il servizio di streaming potrebbe aver risentito anche della perdita delle nuove uscite Disney e Sony.

Com’era prevedibile, non è bastata la notizia dei progetti di espansione verso Gran Bretagna e Irlanda a salvare Netflix dalla scure degli analisti. A inizio settimana, la compagnia californiana che si occupa di video on demand via streaming e di noleggio DVD e Blu-ray per corrispondenza, ha presentato ai mercati una trimestrale in cui emergono tutti gli errori di gestione dell’ultimo periodo. I cali sono stati ingenti, sia in termini di valore finanziario che di utenza: sono 800 mila gli iscritti persi tra luglio e settembre nei soli Stati Uniti (il servizio è operativo anche in Canada e America Latina), più di 210 mila rispetto alle aspettative del board.

La notizia ha subito causato un duro contraccolpo sulle azioni di Netflix, a cui si è aggiunto il giudizio implacabile degli analisti di Wall Street che (fonte Hollywood Reporter) hanno definito quello attuale come “l’inverno nucleare” del portale VOD. Anche Netflix, insomma, è finito nell’occhio del ciclone, cioè del downgrade, secondo cui la compagnia si è dimostrata incapace di riconquistare la fiducia dei consumatori dopo i recenti cambiamenti strategici e assottiglierà ulteriormente i propri margini di redditività a causa degli investimenti necessari per l’espansione all’estero. Risultato? Ora il valore del titolo è sceso ai livelli più bassi dal 2010, attestandosi sulla soglia dei 70 dollari in confronto ai 300 di inizio luglio e ai 100 di appena una settimana fa.

Come ci è già capitato di sentire in altri contesti negli ultimi tempi, il CEO Reed Hastings ha difeso la sua creatura sostenendo che gli analisti e soprattutto i media hanno travisato le conseguenze della perdita di utenti. In realtà potrebbero averne travisato le cause a monte. Oggetto principale di biasimo è stato infatti il recente tentativo di separare l’attività on line e quella basata sul supporto materiale, creando anche un nuovo brand dedicato esclusivamente al noleggio di DVD e Blu-ray (l’ormai famigerato Qwickster). In questo modo sono state però duplicate anche le tariffe mensili, pari a circa 8 dollari per ciascun servizio a fronte dei 9,99 richiesti in precedenza per entrambi. Un cambiamento potenzialmente interessante per i fruitori del solo VOD o del solo affitto per corrispondenza, che invece è stato accolto per lo più con disappunto dagli utenti e soprattutto dai mercati. La compagnia ha subito bruciato più di metà del suo valore in Borsa, tanto da costringere il CEO a fare un passo indietro e ad annullare il lancio di Qwickster, ma non l’aumento dei prezzi.

Certo, le virate repentine non piacciono mai agli investitori, così come l’aumento unilaterale delle tariffe è piuttosto inviso ai consumatori, soprattutto se non si accompagna a migliorie palesi del servizio. Però c’è stato un altro evento fondamentale nel corso di questi ultimi mesi non sempre tenuto altrettanto in considerazione, vale a dire la perdita del contratto con la rete via cavo Starz, che ha deciso di non rinnovare la partnership avviata con Netflix nell’ormai lontano 2008. Cioè quando “vedere contenuti video su internet era cosa da giovani appassionati di hi-tech”, come ha ricordato a tal proposito il Los Angeles Times. O in altre parole, quando l’emittente non si era ancora resa conto di quanto fosse concorrenziale il portale VOD. Tolta Starz, Netflix dovrà fare a meno anche delle nuove uscite di major come Disney e Sony, di cui il canale detiene molti dei diritti per la tv via cavo. Senza contare, tra l’altro, come Sony avesse già inserito nel suo contratto con Starz una clausola per tagliare fuori la compagnia di Hastings.

 

L’emorragia di utenti potrebbe dunque dipendere anche dai contenuti oltre che dalle tariffe. In tale ottica sembra interessante, seppur poco ortodossa e moderata, l’analisi del giovane magazine finanziario Seeking Alpha, che ben prima dei recenti stravolgimenti aveva dato per spacciato il modello di business di Netflix in quanto inviso agli “Old Guard Media”. Peggio, il sito intravedeva addirittura gli estremi di un vero e proprio sabotaggio da parte degli Studios e dei Network, intenti ad affossare la programmazione del portale VOD intasandolo con i loro contenuti di serie B (in cui però Seeking Alpha include anche le trasmissioni targate The CW, con serie molto amate dai teenager). Una riprova di questa strategia sarebbe la recente decisione dei proprietari di Hulu, tra cui Disney e News Corp, di non vendere più il portale video e farne il primo canale di diffusione dei contenuti delle major in rete, ma tarato sul modello e sui prezzi della tradizionale tv via cavo.

L’analisi di Seeking Alpha andava poi oltre, decretando la totale “mancanza di uno spazio di mercato” per Netflix, schiacciata tra due settori che non intendono cedere terreno come l’industria dell’intrattenimento e l’offerta illegale di contenuti online. Una conclusione probabilmente affrettata dato il successo raccolto negli ultimi anni dal portale VOD, prima degli eventi degli ultimi mesi. Su questo punto vale forse la considerazione del blog Tech Talk, di CBSNEWS, che si è interrogato sugli effetti pratici della caduta in Borsa per gli utenti:

“Per quanto ne sappiamo, la compagnia ha ancora degli accordi che rendono il suo servizio di streaming appetibile, per quanto non perfetto. Netflix ha ancora un contratto con la rete via cavo Epix, che offre i film di Paramount Pictures, Lionsgate e MGM. Per non parlare della nuova intesa con DreamWorks, operativa dal 2013. Miramax inoltre ha da poco stretto una partnership che consentirà a Netflix di rendere disponibile per il noleggio tutta la sua library”.  

In più, c’è la capacità di intercettare una certa fascia di pubblico, molto diversa da quello generalista del piccolo schermo. Continua ad esempio il blogger di Tech Talk:

“Per me lo streaming a 7 dollari e 99 funziona benissimo, perché non sto a casa abbastanza spesso per abbonarmi a un canale via cavo o magari per vedere interi film, ma mi piacciono i serial e […] le maratone di Mad Men”.

E non c’è bisogno di essere fanatici del telefilm di AMC per capire come la questione dei contenuti e dei diritti sarà centrale nel futuro del VOD, almeno al pari del prezzo. E sarà di certo fondamentale anche per la malconcia Netflix, per cui forse non è ancora finito il braccio di ferro con le major e i grandi network televisivi. Non a caso, già ieri anche Hollywood Reporter ribadiva come il grande vincitore nel crollo degli utenti Netflix siano le tv, in particolare qulle pay in grado di offrire servizi VOD.

 

Fonte: Hollywood Reporter, Los Angeles Times, Seeking Alpha,CBSNEWS

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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