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Cosa si può imparare da Netflix?

L’uscita dell’ultima trimestrale della società e i suoi dati positivi possono servire da lezione alle altre piattaforme? O il modello Netflix non è replicabile?

I risultati del secondo trimestre 2022 di Netflix avevano rappresentato un punto di svolta non solo per questa azienda, ma per tutte le piattaforme che sono impegnate nelle guerre dello streaming. Wall Street non si fidava più della possibilità che queste realtà avrebbero generato profitti in tempi ragionevoli e ha fatto capire chiaramente che la metrica della crescita degli abbonati non sarebbe stata più sufficiente. Da quel momento, chi prima chi meno, tutti si sono impegnati per migliorare i propri conti, in alcuni casi riuscendoci (Max, che dovrebbe chiudere il 2023 in attivo, seppur di poco) e in altri faticando.

Ora, ci si chiede, la trimestrale che Netflix ha annunciato mercoledì, come potrebbe influenzare tutti gli altri competitor? Partiamo ovviamente dai dati comunicati. Netflix aveva previsto una crescita importante (del 7,5%) per il trimestre, ipotesi che gli analisti avevano confermato, anche con un paio di decimali in più (7,7%), come segnalato dal S&P Global Market Intelligence.

Visto che nei tre trimestri precedenti la crescita era stata molto più bassa (tra il 2 e il 4%), era ovvio che ci si attendeva molto da questi dati. Così come sarebbe stato importante capire se l’azienda stava andando nella direzione giusta per quanto riguarda l’offerta con pubblicità.

Per quanto riguarda i risultati economici, sono decisamente positivi, considerando che la crescita dei ricavi (arrivati a 8,5 miliardi nel trimestre) è stata del 7,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, mentre il margine operativo è salito a 1,9 miliardi e il free cash flow a ben 1,8 miliardi. Tuttavia, va anche ricordato che le condizioni di questo trimestre sono state eccezionali, visto che da una parte le entrate sono state regolari, dall’altra i costi sono stati notevolmente ridotti per gli scioperi di sceneggiatori e attori. Vedremo tra un anno, quando ci sarà meno prodotto americano su Netflix e sulle altre piattaforme, se ci saranno delle ripercussioni. Wall Street, comunque, ha apprezzato molto, facendo schizzare le azioni di Netflix dopo la chiusura dei mercati, con un eloquente +12%.

Cosa significa questa trimestrale per Netflix e i suoi aspiranti concorrenti? In realtà, forse conferma ancora una volta che Netflix fa storia a sé e che non è facile da imitare, nel bene e nel male. Sulla versione con pubblicità, il fatto di continuare a fornire dati poco chiari ci fa capire che i numeri non sono straordinari. In effetti, quello che ci viene comunicato di solito è la percentuale di aumento di questa categoria (miglioramento di quasi il 70% rispetto al precedente trimestre, quando però si erano quasi raddoppiati gli abbonati con pubblicità, e un 30% di nuovi abbonati che scelgono questa opzione), ma nessun numero preciso.

Più interessante, in questo senso, il fatto di dar vita a nuovi formati, con sponsorizzazioni di titoli specifici (come è avvenuto con Love Is Blind e capiterà con il format reality/sportivo The Netflix Cup). O la possibilità, dopo aver visto alcuni episodi di fila di una serie, di assistere a una puntata senza interruzioni, grazie a uno spot di un brand specifico.

In ogni caso, è veramente un problema se Netflix non sfonda nella versione con pubblicità? Se gli abbonati preferiscono pagare di più, dovrebbe essere un segnale positivo, anche per quanto riguarda un tasso di churn inferiore agli altri. D’altronde, se una realtà come Amazon ha un interesse forte a incrementare gli abbonati con pubblicità visto l’enorme business che ha in questo settore, il caso di Netflix è diverso.

L’aumento di abbonati è ovviamente impressionante, come possiamo vedere nel grafico:

Tuttavia, è fortemente collegato alla stretta sulla condivisione delle password e/o in regioni mondiali con prezzi più bassi. Insomma, l’aumento dei ricavi non è proporzionale a quello del numero degli abbonati. In effetti, rispetto al terzo trimestre 2022, c’è un aumento di 24 milioni di abbonati nel mondo (quindi, circa l’11% in più) e di 616 milioni di ricavi, ‘solo’ l’8% in più. D’altronde, la stessa Netflix nella lettera agli azionisti afferma che “ARM (Average revenue per member) è diminuito dell’1% per una serie di fattori, tra cui una crescita maggiore di abbonamenti in nazioni con un basso ARM, aumenti di prezzi limitati negli ultimi 18 mesi e qualche cambiamento nell’offerta di versioni”. Detto questo, ovviamente, va sottolineato come la scelta dell’azienda di andare a cercare nuovi abbonati tra i freeloader sia stata corretta (nonostante tanti giudizi e opinioni catastrofici di alcuni mass media), tanto da essere già stata copiata da Disney+.

In questo senso, logico l’annuncio dell’aumento dei prezzi dal prossimo anno, come aveva annunciato il Wall Street Journal. È interessante come non verrà aumentata la tariffa media (che rimane a 15,49$), così come non sarà toccata la versione con pubblicità (6,99$). Importante invece il rincaro della proposta già più costosa, la Premium, che supera così i 20 dollari (22,99$) e quella Basic, che passa a 11,99$ (ma ormai questa opzione è disponibile soltanto per chi è già abbonato, non per chi si deve abbonare, e l’aumento di prezzo fa capire quanto si voglia ‘mandare’ quei consumatori sulla versione con pubblicità). E da sottolineare come sono stati annunciati rincari anche per Francia e Regno Unito (la versione Premium arriverà rispettivamente a 19,99 euro e a 17,99 sterline), il che dovrebbe voler dire che, almeno per ora, l’Italia viene ‘risparmiata’.

Verrebbe da dire che tutti devono arrivare a tariffe simili. Ma Netflix ha dimostrato di poterselo permettere, dall’alto del suo ruolo di piattaforma ritenuta indispensabile da un buon numero di abbonati. E gli altri? Disney+ è quella che spende di più e che nel giro di un anno ha raddoppiato le tariffe rispetto a quelle del suo esordio. Ma fino a quanto si potrà arrivare senza intaccare troppo il numero di abbonati e aumentare considerevolmente il tasso di churn? E per le altre piattaforme? Cosa succederà quando chi ha un paniere di 4-5 streamer si ritroverà a pagare ogni mese 20-30 dollari in più rispetto a prima? È la grande incognita di questo settore.

Se sul capitolo entrate abbiamo approfondito qui sopra, sulle uscite molto significativo il dato dei costi per le produzioni, che per Netflix nel 2023 sarà di 13 miliardi di dollari, rispetto ai 17 miliardi previsti originariamente (la differenza ovviamente l’hanno fatta gli scioperi). Ma la notizia veramente interessante è che il prossimo anno si tornerà a 17 miliardi, senza un aumento che compensi i mancati investimenti del 2023. Si conferma che gli scioperi sono stati un’occasione per ridurre i costi e senza neanche doverlo fare esplicitamente.

Insomma, la strategia “aumento dei prezzi e riduzione dei costi” è sicuramente vantaggiosa, ma per chi non ha la mole di prodotti di Netflix non sarà facile mantenere inalterato il tasso di churn.

Piattaforme e sport. Netflix dice da tempo che non vuole investire sui costosissimi diritti sportivi, preferendo puntare su documentari decisamente più economici. La cosa buffa è che i mass media continuano a non crederci, trovando qualsiasi esca per sostenere che la strategia è cambiata.

Per esempio, si è fatto passare come un torneo di golf Netflix Cup, che in realtà è più un reality/esibizione (non giocheranno neanche 18 buche, eresia!) che mette assieme golfisti e piloti di formula 1 che abbiamo visto in Full Swing e Drive to survive, come avviene per il reality che mette assieme protagonisti di prodotti simili, Perfect Match. Quindi, per ora niente diritti e competizioni sportive vere e proprie.

E gli altri? La differenza è che molte realtà devono bilanciare gli interessi delle loro televisioni lineari/via cavo e trovare delle formule miste che permettano di far quadrare i conti, cosa complicatissima visti i prezzi dello sport. Netflix non ha questi obblighi e può lavorare solo sulla massimizzazione dei profitti.

A proposito di contenuti, Netflix continua a dimostrare di avere dati mondiali importanti (magari non negli Stati Uniti, ma anche lì ci sono dei miglioramenti) per le serie internazionali. Tra quelle che sono state citate nella lettera agli azionisti, ricordiamo Sintonia (Brasile), D.P. (Corea), Hertstopper (Inghilterra), La mia prediletta (Germania), Le mille vite di Bernard Tapie (Francia), Guns & Gulaabs (India), In fiamme (Spagna) e Mask Girl (Corea), oltre ai documentari Il caso Isabella Nardoni (Brasile) e La dama del Silencio (Messico). Va detto che non tutti questi titoli sono stati dei veri e propri successi (ma senza dubbio La mia prediletta è stata una sorpresa notevole, anche negli Stati Uniti), ma comunque hanno spesso un rapporto costi/ricavi favorevole. Cosa che non sempre si può dire per certi prodotti, fin troppo prestigiosi e costosi, realizzate all’estero da altre piattaforme…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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