You are here
Home > Cinema > Finestre sì, finestre no, finestre boh

Finestre sì, finestre no, finestre boh

Qualche considerazione sulle windows fra nuove prassi ed auspici del pubblico

Quello delle windows è un tema ricorrente nel dibattito su regole e prassi che governano le dinamiche della distribuzione nel mercato theatrical italiano e, nelle ultime settimane, alcuni episodi aprono, è il caso di dirlo, una nuova “finestra” di ragionamento.

L’ultima in ordine di tempo è alimentata dai commenti degli addetti ai lavori in merito allo sbarco su piattaforma (per il noleggio e l’acquisto digitale) di Barbie, il campione d’incassi del 2023, lanciato nelle sale italiane lo scorso 20 luglio (ed ancora programmato in molti cinema), reso disponibile in modalità TVOD (noleggio digitale) ed EST (acquisto, sempre in formato digitale) a partire dal 12 settembre.

La finestra TVOD di 54 giorni scelta per Barbie non sarebbe una novità assoluta fra i film del 2022-2023 (ne abbiamo visto anche di più brevi, sebbene ci sia chi ha superato i 90 giorni anche per noleggio e acquisto), ma fa specie che un film rivelatosi così longevo sia già disponibile su piattaforma, di fatto senza soluzione di continuità (rispetto alla distribuzione theatrical, arrivando di fatto pre-smontaggio).

Non escludo che la scelta relativa a Barbie debba essere considerata un’eccezione dettata proprio dalla specialità del film, la cui altissima capacità di ingaggio potrebbe convincere anche numerosi spettatori che hanno già visto il film in sala a vederlo nuovamente a noleggio o ad acquistarlo a titolo definitivo.

Se da un lato si può sostenere che tutto questo è ben lungi dall’erodere il potenziale theatrical del titolo in questione, c’è il rischio che la sottrazione di valore avvenga in prospettiva e che impatti sui prossimi film, re-introducendo la convinzione che dopo poche settimane i film sono visibili anche a casa.

Ma qual è l’orientamento del pubblico in merito alle finestre?

Il tema è stato affrontato nella ricerca realizzata dall’istituto SWG in collaborazione con l’Università Cattolica per conto del MiC, con estratto presentato a Venezia a margine della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica alla presenza della Sottosegretaria Borgonzoni e del DG Borrelli. QUI potete scaricare la presentazione ed il report completo.

Fra le prime evidenze, quella relativa al livello di informazione in merito al quadro normativo. Più precisamente, il quesito somministrato al campione chiedeva: “Lei sa quanto tempo deve passare, per legge, tra l’uscita ufficiale di un film nelle sale cinematografiche e la sua disponibilità per la visione domestica?”.

Le risposte, rilevate anche fra i NON frequentatori delle sale cinematografiche, sono descritte nella slide riportata sotto, il cui titolo enfatizza come solo il 14% degli intervistati sarebbe portatore di una adeguata conoscenza, con il 54% che si è rifugiato nel “Non saprei”.

Va tuttavia evidenziato che anche gli addetti ai lavori avrebbero faticato a dare una risposta corretta alla domanda in questione, semplicemente perché manca l’item “Dipende”. Il testo della domanda, che si riferisce indistintamente a tutti i film proposti nelle sale, include infatti l’inciso “per legge”, mentre la normazione riguarda i soli film italiani che hanno ricevuto finanziamenti. È dunque solo in relazione ad essi che sarebbe qualificabile come “corretta” la risposta “Tre/quattro mesi”, ma il rispondente che intendesse dare atto di ciò che vale anche per il prodotto internazionale avrebbe dovuto optare per “Non c’è una regola” (che però c’è, ma non riguarda tutti). Insomma, alla fine, per come è formulata la domanda, la risposta più sensata è proprio “Non saprei”, e l’eterogeneità delle scelte fatte (es. per Barbie e per La Sirenetta) giustifica il disorientamento.

Ad essere “disorientanti” sono in realtà anche i due quesiti successivi e la rappresentazione dei risultati. In prima battuta si chiede:

“D24. Se un nuovo film che vuole vedere uscisse al cinema e 3-4 mesi dopo fosse reso disponibile attraverso le piattaforme di streaming, cosa farebbe?”

Subito dopo si rilancia con:

“D25. E se, invece, lo stesso film fosse disponibile contemporaneamente sia nelle sale cinematografiche sia nelle piattaforme streaming, cosa farebbe?”

La cosa singolare è che non si riporta la specifica item list relativa alle risposte date alle singole domande, riconducendo il tutto ad un’unica rappresentazione grafica, che si immagina derivi da un incrocio.

Il sospetto è che l’assunto di partenza del quesito, con il suo riferirsi ad un film che l’intervistato “vuole vedere” introduca elementi distorsivi nelle risposte. Quello evocato è infatti il prodotto “ad alto ingaggio”, per il quale l’esistenza ed il dimensionamento della finestra è meno rilevante (come verosimilmente è accaduto/sta accadendo in relazione a Barbie), mentre andrebbe sondata la capacità delle finestre di allargare il ventaglio dei prodotti da vedere in sala anche verso i film ad ingaggio “medio”, sapendo che comunque, per l’orizzonte temporale X, il film NON sarà visibile altrove.

Lo so, c’è un rischio. Se un film ha una capacità di ingaggio “media”, la normazione della finestra potrebbe non amplificare la considerabilità della visione in sala, con lo spettatore che si farebbe andar bene anche un’attesa di 3-4 mesi, optando comunque per la visione su piattaforma.

Perché allora non fare una domanda più diretta agli spettatori?

In realtà nella ricerca SWG/Cattolica per il MiC la domanda in questione è stata fatta e recita:

“D26. E in generale lei è d’accordo con l’idea che in riferimento ai nuovi film, debba intercorrere un periodo di tempo tra l’uscita al cinema e la disponibilità per la visione domestica? Se sì, quanto tempo dovrebbe trascorrere?”

Se avessimo creduto fino in fondo alla sintesi interpretativa delle risposte date ai precedenti quesiti, ci aspetteremmo di vedere confermata l’indifferenza alle finestre, considerato fra l’altro che il 40% dei rispondenti NON frequenta le sale cinematografiche (nemmeno nel 2019) e che oltre la metà ha accesso alle piattaforme. Che gli costava dunque esprimersi per l’uscita in contemporanea? In realtà lo fa solo il 13%. I “Non saprei” si fermano al 20%, mentre il 77% si dice favorevole ad una finestra esclusiva (sebbene apparentemente “penalizzi” l’esperienza di consumo di molti di loro che al cinema non ci vanno!) ed addirittura il 46% si sbilancia con auspici di durata che vanno da un minimo di 3 mesi fino ad un anno.

Gli italiani sembrano avere le idee molto chiare: il luogo della recency, il tempio delle novità cinematografiche, è la sala, e questo deve tradursi in regole (o prassi) solide e riconoscibili, per evitare di alimentare la (già alta) confusione degli spettatori in una fase in cui il mercato theatrical ha bisogno di ri-consolidare le sue routine.

One thought on “Finestre sì, finestre no, finestre boh

  1. Premesso che Barbie costituisce un fenomeno difficilmente riscontrabile negli ultimi anni, poiché il film è stato visto anche due volte da molti spettatori , nello spazio di pochi giorni e risulta un tale successo mondiale, da rendere secondario il riscontro che avrà in altri sfruttamenti, finestre e/o piattaforme. Riferendoci altrimenti al prodotto medio alto , i 90gg , ovvero tre mesi, dovrebbero risultare pragmaticamente la regola , accettata e sottoscritta, sia dall’esercizio che da tutti i distributori. Risulterà in tal senso determinante che l’uscita cinematografica, possa avvalersi dell’inciso #solo al cinema# e le distribuzioni si impegnino a NON divulgate l’uscita in piattaforma o finestra , almeno nei primi 60gg di programmazione. Sono misure facilmente attuabili e rispettabili , atte a salvaguardare reciproche convenienze, non potendo l’esercizio chiedere maggiori protezioni , ne le distribuzioni vantaggi tali all’insegna del salvare capre e cavoli. Tutti i mercati, seppure in % diverse, stanno recuperando quote di mercato del dopo COVID e costituire oggi argini a difesa del prodotto potrebbe risultare utile e indispensabile a tutte le categorie, dando al pubblico messaggi univoci e attendibili, serietà che il settore ha spesso disatteso per prevalenti esigenze produttive. Barbie e Oppenheimer , stanno clamorosamente dimostrando quanti sia economicamente indispensabile e divulgativa l’uscita dei film in sala, risultando elemento di insostituibile garanzia per lo sfruttamento e successo del prodotto in altre forme.
    GlDellacasa

Comments are closed.

Top
L'annuncio si chiuderà tra pochi secondi
CHIUDI 
L'annuncio si chiuderà tra pochi secondi
CHIUDI