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L’Hollywood Reporter massacra Amazon

Sta facendo sensazione l’articolo di Kim Masters, che espone molti punti deboli della strategia di Amazon Prime Video…

E’ uno di quegli articoli che possono cambiare un organigramma aziendale. Kim Masters ha infatti scritto un pezzo pieno di informazioni riservate e che non mette decisamente in buona luce Amazon Prime Video, a cominciare dai costi. D’altronde, certi aspetti li abbiamo fatti notare anche noi, per esempio i prezzi spesi per alcune serie italiane (esempio più importante i 37 milioni per Bang Bang Baby).

Tra le spese più ingenti considerate, per prodotti magari non così forti (e/o che realisticamente sono costati molto meno a chi li ha prodotti):

Daisy Jones & The Six: più di 140 milioni di budget per dieci episodi, uscita il 3 marzo, nella sua prima settimana di sfruttamento non è comparso nelle classifiche Nielsen (vedremo in quelle successive). La perplessità è anche quella relativa al fatto che si tratta di una miniserie autoconclusiva e quindi anche a fronte di un grande successo, non ci sarebbe stata la possibilità di fare una seconda stagione…

A League of Their Own: 90 milioni di dollari per otto puntate, per una serie apprezzata ma non molto popolare (anche questa assente da Nielsen), come dimostra anche un rinnovo per una seconda stagione, che però sarà composta di solo quattro episodi.

Inverso: 175 milioni di dollari di budget per otto puntate ed è finito nelle classifiche Nielsen soltanto in un’occasione, con 6,5M di ore (neanche tra i primi 25 prodotti di Prime Video). Tuttavia, la serie è stata rinnovata per una seconda stagione – come ha detto un insider – per via dell’accordo quadro (“almeno 20 milioni all’anno”) che Amazon ha con i suoi creatori, Jonathan Nolan e Lisa Joy, che comprende anche una nuova serie, Fallout, anche questa “decisamente costosa”.

Il film Red Shirt, che vedrà il protagonista Channing Tatum essere pagato 25 milioni, altri 18 andranno al regista David Leitch e 8 milioni allo sceneggiatore Simon Kinberg. Le ultime due cifre sono impressionanti, ma va detto che in questi anni abbiamo visto accordi anche più sanguinosi e sconvolgenti (in ogni caso, il film è in preparazione e al momento è impossibile valutare i suoi risultati, a questo punto mi aspetterei anche un’uscita in sala importante e a quel punto magari l’operazione potrebbe anche funzionare).

L’esempio di maggiore attualità è Air, film che esce questa settimana sia da noi che in patria e che Amazon ha acquisito per la notevolissima somma di 160 milioni, a fronte di un budget produttivo e un sopra la linea che, benché importante, è sicuramente molto inferiore.

Merita un discorso a parte Citadel. Sapevamo già, dallo stesso Hollywood Reporter, che ha avuto una nascita molto travagliata, con una lunga fase di riprese supplementari (e tanto materiale già girato e scartato), e quindi un aumento di costi notevoli. Tanto che al momento si parla di 300 milioni di dollari, per una serie che, invece di essere composta di otto episodi di un’ora (come originariamente previsto) vedrà sei puntate di circa 40 minuti. Per mostrare la sua fiducia nel progetto, Amazon ha recentemente confermato una seconda stagione. E, in tutto questo, vanno ricordate le due serie spin-off (in Italia – con un costo di 38 milioni – e in India), che ovviamente hanno ricevuto il greenlight prima ancora di vedere i risultati della serie ‘madre’.

Per quanto riguarda la serie de Il Signore degli Anelli, Gli anelli del potere, più che il budget (che conoscevamo bene e che non è stato neanche citato nell’articolo, 250 milioni per i diritti e 475 milioni per la produzione della serie), quello che impressiona sono le cifre (indicate nell’articolo) di completamento della serie da parte degli spettatori, 37% negli Stati Uniti e 45% nel resto del mondo, numeri con cui di solito a Netflix si cancellano i prodotti.

In questo senso, ci sono accordi quadro che decisamente non hanno funzionato (ma va detto sinceramente, altre aziende/piattaforme hanno anche speso di più in autori che hanno prodotto poco o nulla), in particolare:

Lena Waithe aveva un accordo di due anni (8 milioni di dollari all’anno) senza che questo ha portato a nulla (a parte il suo impegno come produttrice esecutiva di Loro) ed è poi passata a HBO.

Phoebe Waller-Bridge nel 2019 (subito dopo il trionfo agli Emmy dopo la seconda stagione di Fleabag) ha chiuso un accordo per 20 milioni all’anno, con l’obiettivo di creare assieme a Donald Glover a una serie basata sul film Mr. and Mrs. Smith, mentre dopo pochi mesi ha abbandonato il progetto per le solite ‘divergenze creative’. Nonostante questo, l’accordo è stato rinnovato e comprenderà l’impegno a scrivere (non interpretare) una serie su Tomb Raider. Serie su cui Amazon sta cercando una showrunner (ma allora la Waller-Bridge cosa farà?).

Ovviamente, per queste e per tutte le altre cifre citate fino ad adesso, è il caso di sottolineare che quasi mai sono ufficiali, ma sono quelle indicate dalle fonti di Hollywood Reporter.

Quello che si segnala nell’articolo di HR, è soprattutto un senso di una piattaforma senza una precisa identità nella sua linea editoriale. Cosa che però, sinceramente, mi sembra una critica di poca importanza, nel senso che se prendiamo la piattaforma di maggiore successo, Netflix, presenta un po’ tutto e il contrario di tutto e lo fa (generalmente) con successo. Certo, forse il paradosso di Amazon è che sostiene tanti progetti che non sembrano avere un appeal enorme, nonostante dica di voler fare delle produzioni per un pubblico ampio (loro parlano di 250 milioni di consumatori nel mondo, non è chiaro se intendono gli abbonati di Prime o in assoluto).

In questo senso, molte delle critiche che sono arrivate dalla newsletter di David Poland (è un contenuto a pagamento), sono rivolte a prodotti (che evidentemente Poland ha visto in anteprima) che risultano costosi ma non per le masse (Dead Ringers, la versione seriale di Inseparabili con protagonista Rachel Weisz) o non sono proprio convincenti (le parole di Poland su Citadel sono terribili).

Più preoccupante, come rivela un insider, che per molti talent “siamo la terza o la quarta opzione e che per molti agenti dobbiamo pagare un prezzo premium per portarli ad Amazon, perché i loro clienti preferirebbero lavorare in altre realtà”.

E più importante quando si segnalano i risultati del Thursday Night Football. Benché siano stati inferiori alle attese (agli inserzionisti erano stati promessi 12,5 milioni di spettatori in media a partita, Amazon sostiene che nei fatti siano stati 11,3 milioni, per Nielsen invece sono stati 9,6M), sicuramente hanno permesso di portare tanti nuovi abbonati a Prime e – per un’azienda che punta a un pubblico enorme e variegato (meglio, punta a tutti) – è sicuramente più ragionevole spendere un miliardo di dollari per questi diritti sportivi che magari cifre comunque molto importanti (se mettiamo insieme le serie e i film che ho citato finora, credo proprio che al miliardo ci arriviamo), ma per prodotti decisamente più di nicchia.

In effetti, come ha detto un ex insider di Amazon, “è bastato aggiungere lo sport e in 24 ore si sono fatti più progressi che in otto anni di serialità e film. Il lancio dello sport ha cambiato la prospettiva su come vedono l’ecosistema e il ruolo che i film, le serie e la musica giocano al suo interno”.

L’amministratore delegato Andy Jassy ha sottolineato recentemente come tutti i contenuti sono importanti per far sì che le persone decidano di iscriversi a Prime, ma quando ha parlato dello sport ha detto che “è un asset unico, con una capacità senza rivali di sostenere le iscrizioni a Prime”. Insomma, per chi vive di audiovisivo e di rapporti con Amazon (anche in Italia) conviene stare sintonizzati sulle prossime puntate…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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