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Una ricerca migliorabile

E’ stata presentata al Lido l’analisi di SWG “Gli italiani e il cinema”. Interessante, ma alcuni aspetti andrebbero approfonditi…

Premessa: chi scrive aveva partecipato al Bando ministeriale che ha assegnato a SWG la ricerca sugli italiani e il cinema. Penso sia meglio dirlo subito, ma penso e spero di riuscire a valutare al meglio il lavoro svolto in maniera obiettiva. Per questo, mi sono concentrato su alcuni aspetti migliorabili, anche se i meriti di valutare le scelte del pubblico in questo momento sono innegabili, così come è molto positiva la decisione del Ministero di fare la ricerca in primis.

Partiamo dai semplici fatti e dalla ricerca in sé, che si può scaricare qui, un’indagine su circa 12.000 persone dai 14 anni in su ed effettuata tra il primo e il 25 luglio di quest’anno.

Non sono sicuro di aver capito (e mi piacerebbe saperne di più sulla metodologia) il ragionamento sui biglietti e il loro costo, così come la proiezione autunnale di consumo cinema:

“Centrale risulta il prezzo, data anche la documentata disomogeneità delle tariffe registrata sul territorio e tra i diversi tipi di sala. Osservando l’elasticità della fruizione sulla base del prezzo, si registrano due scenari:

Best case: se l’ingresso intero costasse 8 euro le intenzioni di fruizione per l’autunno si spingono fino a un +69% rispetto ai comportamenti del primo semestre, ovvero a un superamento dei livelli pre pandemici

Worst case: al contrario un prezzo di 12 euro condurrebbe a un timido +5% di fruitori complessivi rispetto al primo semestre dell’anno in corso, con un abbattimento di 2/3 dei clienti regolari”

Il mio dubbio è sul perché si sia dato dei parametri di 8 e 12 euro e in questo ha avuto ragione il Presidente Anec Mario Lorini a far notare che il prezzo medio è decisamente diverso (6,8 euro sia quest’anno che nel 2021, con un leggero aumento rispetto al 2019, ma a mio avviso anche poco rispetto alla situazione che stiamo vivendo). Questo significa rischiare che i mass media prendano questi prezzi come quelli ‘effettivi’ dei cinema e facciano una pessima comunicazione all’offerta in sala, quando invece avremmo tutti interesse a far presente come gli esercenti stiano coraggiosamente tenendo i prezzi stabili, senza gli aumenti che stiamo vivendo invece in tutti gli altri nostri consumi quotidiani.

Ma poi, perché fare un’indagine generica sul prezzo? I risultati di alcune sale ultratecnologiche e con prezzo del biglietto alto (ne avevamo parlato anche qui) dimostrano che una fascia importante di pubblico è assolutamente disposta a vedere un film in condizioni ottimali pagando di più.

Questione window. Vediamo cosa si dice:

Più complessa risulta la lettura circa l’efficacia di prolungare (o reintrodurre) un periodo di latenza tra l’uscita del film in sala e in streaming. Se il proprio film di interesse uscisse in streaming solo dopo 3-4 mesi, il 47% degli spettatori sarebbe comunque disposto ad attendere per vederlo tra le pareti domestiche, mentre il 32% andrebbe subito in sala (soprattutto gli under 40 più istruiti dei grandi comuni).

Qui c’è a mio avviso un equivoco che ho letto spesso in tante analisi del nostro settore, per cui si continua sempre a confrontare visioni al cinema e a casa come se dovessimo dividerci la stessa torta, in un gioco a somma zero (se la tua fetta è più grande, la mia è più piccola). Dovremmo invece sempre ricordarci che, anche prima della pandemia, la visione di un film al cinema rappresentava solo il 2% di tutte le visioni di quel titolo in tutti gli sfruttamenti (ricerca Sala e salotto edizione 2020 – 7000 interviste) e quindi è assolutamente normale che un 47% (o anche molto di più) di persone ti dicano che aspettano che un film sia disponibile per l’intrattenimento domestico (d’altronde, se anche prima della pandemia un 50% circa di italiani non andava mai al cinema, cosa ti dovrebbero rispondere?). E sarebbe bellissimo che effettivamente il 32% degli italiani andassero in sala semplicemente per una window di 3-4 mesi (che, vorrei, ricordare, per il cinema italiano è effettivamente già tale, visto che sono obbligatori i 90 giorni, ma c’è anche chi ne fa 105 o più), vorrebbe dire fare numeri superiori alla Francia.

Peraltro, l’impostazione della ricerca ci aiuta solo in parte. Nel corso di questi due anni, abbiamo per esempio visto titoli Marvel (penso all’ultimo Thor) incassare anche più di prima della pandemia, nonostante le window ridotte. E’ quindi evidente che limitare l’analisi al “film preferito” (definizione vaga, ma prendiamola come un “titolo molto atteso” da quel consumatore) non ci dice nulla su quanto incidano window ridotte (o più lunghe) su prodotti medio-piccoli. L’impressione fornita dagli incassi di questi anni è che siano proprio questi film ad aver sofferto maggiormente delle rapide uscite in streaming e sarebbe fondamentale capire se una window più lunga aiuterebbe questa tipologia di prodotto a riprendersi o se invece non sia così fondamentale. Io propendo per la prima ipotesi, ma ovviamente sarebbe bello avere conferme o smentite in merito. Inoltre, perché non chiedere in maniera esaustiva al panel di 12.000 persone che percezione hanno di quanto durano le window (e magari anche se ritengono che certi prodotti arrivino prima di altri)? Peccato.

Altro discorso importante. Nonostante si sia detto durante la presentazione che c’è un grande consumo di audiovisivo, in realtà la ricerca non fornisce nessun dato reale in questo senso. Sì, un 38% degli intervistati risponde che, tra le 3 cose con cui “preferisce impiegare il tempo libero settimanale che ha a disposizione”, ci sono i “consumi audiovisivi”, che sono al secondo posto assoluto tra le possibili opzioni (primo assoluto “attività all’aria aperta” con il 43%). E ci vengono date tante percentuali su chi consuma cosa (anche rispetto all’intensità delle loro visioni), ma non abbiamo nessun dato totale (per esempio, in ore viste settimanali) e soprattutto un confronto con gli anni precedenti prepandemici. Possiamo anche ipotizzare che la grande produzione di contenuti di questi anni abbia aumentato i consumi, ma come lo ha fatto? Proporzionalmente all’aumento di produzioni? O in misura proporzionalmente inferiore? Questo sarebbe un dato fondamentale da capire, perché ci farebbe anche intuire se questo livello di produzioni è sostenibile non solo sul lato economico (dove sono molto, molto scettico), ma anche su quello del tempo libero (per cui la ricerca stessa sostiene che un numero significativo di persone, il 39%, abbia poco tempo libero).

Per quanto riguarda la “frequenza di visione”, avrei preferito che non si impostasse la ricerca su categorie vaghe come “circa mensilmente”, “Qualche volta” e “Più volte al mese”. Detto questo, la stima è che nel primo semestre 2022 siano andati al cinema il 39% degli italiani over 14, contro il 60% dell’analogo periodo del 2019. Questo significa che “meno di 19 milioni di cittadini” (come dice la ricerca) sia andato al cinema dal primo gennaio al 30 giugno 2022, più ovviamente una fetta di under 14 non definita (ricordo che questa fascia di età rappresentava 7,6 milioni di italiani nel 2021). Tuttavia, le presenze (o biglietti staccati che dir si voglia) in questo semestre sono state 20.522.726 e anche se aggiungiamo magari un altro milione di biglietti extra Cinetel, rimane il paradosso che – secondo la ricerca – ci siano stati più spettatori unici che biglietti staccati (o – nel caso migliore – che sostanzialmente nessuno sia andato al cinema più di una volta in sei mesi, che è francamente impensabile e anche incongruente con i dati di frequenza presenti nella stessa ricerca).

Ci sono poi altri ‘risultati’ che chiaramente non rappresentano la fotografia del consumo di cinema in Italia, come per esempio:

si segnala intanto una spaccatura tra un 42% di fruitori che preferisce le grandi sale moderne e accessoriate (in prevalenza under 40 enni amanti dei film americani) e una comunque ampia quota del 36% che predilige invece le sale indipendenti di medie dimensioni ma con personale in grado di consigliare il cliente.

O la slide sulla “preferenza tra film spettacolari e d’autore”, che vede un 38% del pubblico preferire i film spettacolari e il 36% i film d’autore. Fosse così la realtà, il cinema di qualità (anche italiano) starebbe praticamente alla pari dei grandi blockbuster americani. Non mi sembra però che questo ci dicano i risultati Cinetel negli ultimi due anni…

Qui arrivo a una delle mie maggiori perplessità non solo su questa ricerca, ma anche su alcune ricerche in generale (e quindi non è un problema specifico di questo lavoro, ma di tante analisi, sia che abbiano origine da istituzioni pubbliche che private). Ossia, perché non si verificano alcuni risultati dei sondaggi rispetto a quelli reali? Perché prima di presentare una ricerca così importante non si fa un check con Anica, Anec e Cinetel per vedere se c’è coerenza (e, in caso negativo, cercare di capire la ragione delle incongruenze)? Eviterebbe anche che il Presidente di Anica, Francesco Rutelli, intervenga per mettere in discussione alcuni aspetti della ricerca durante la presentazione della stessa.

Insomma, dopo queste perplessità (che mi piacerebbe venissero spiegate, magari su alcuni punti ho capito male io), ritengo che le modalità/finalità di questa ricerca (prima ancora che la società che la fa, peraltro SWG è ovviamente un’azienda di grande esperienza e valore) andrebbero probabilmente migliorate per il futuro, visto che sarebbe comunque importante continuare ad avere dati di questo genere. E sarebbe fondamentale assicurarsi la collaborazione di tutte le associazioni, dall’inizio alla fine del lavoro…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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