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Cerri, aprire le sale a un’offerta più ampia per allargare il proprio pubblico

Il fondatore del circuito Anteo Spaziocinema insiste nell’importanza del dialogo con gli spettatori per fare in modo che tornino a vivere l’esperienza del grande schermo

Non si può prescindere dal dialogo costante con il proprio pubblico se si vuole far crescere l’affluenza al cinema. Non solo, è indispensabile provare ad allargare la platea di spettatori delle proprie strutture “aprendo” le sale e facendole diventare luoghi di condivisione culturale che vadano oltre la visione dei film. Lionello Cerri – fondatore del circuito Anteo spaziocinema presente a Milano (Palazzo del cinema, Citylife, Ariosto), a Monza, Treviglio (BG) e Cremona – non nasconde i problemi che l’esercizio sta affrontando; esiste un “tema prodotto” ma senza un convinto coinvolgimento degli spettatori, per i cinema sarà ulteriormente complicato superare questa fase critica. Il target adulto, quello dai 50 anni in su, si è particolarmente allontanato dalle sale, ormai abituato a fruizioni casalinghe dei film. Anche gli schermi del circuito Anteo soffrono ma Palazzo del cinema e Citylife registrano una flessione del 40% rispetto al 2019 mentre la media nazionale è del -55%.

Vista questa situazione di mercato, come si può tornare a coinvolgere il pubblico?

«Già nel 2019, io e i miei collaboratori ragionavamo sul fatto che ci fosse la necessità di tornare a soffermarci e a pensare sia al prodotto che esce sia al rapporto con gli spettatori. In questo caso si nota una differenza evidente tra cinema e cinema, distributore e distributore, produttore e produttore. Il rapporto con il pubblico è sempre stato centrale nella nostra visione. Estremizzando il ragionamento posso affermare che per noi vale più il pubblico che il film; questa modalità di impostare il lavoro è quella che ci ha portato non solo a proiettare titoli di una certa qualità artistica e di contenuto ma anche di arricchirla con eventi insieme ad attori e registi proprio per coinvolgere maggiormente gli spettatori. Il pubblico è composto da più pubblici; è chiaro che chi frequenta sale abituate a lavorare con il prodotto di qualità è più adulto, dai 50 anni in su, rispetto a chi opta per film più commerciali. Questo target, però, durante la pandemia si è abituato a vedere film sulle piattaforme. E continua anche adesso. Per riabituarli alla fruizione cinematografica occorre una window certa che tuteli il grande schermo e che di certo non può essere di 45 giorni come si sentiva dire fino a qualche settimana fa».

Elio Germano e Astrid Casali presentano America Latina al Palazzo del Cinema

Quale durata dovrebbe avere una finestra tra cinema ed altri sfruttamenti?

«Nessuno può avere un’idea precisa. Mi chiedo, però: perché gli spettacoli teatrali hanno ripreso con più vigore rispetto a quelli cinematografici? Perché la rappresentazione teatrale è qualcosa di unico che non si vede da altre parti. Un film, invece, si può fruire su formati diversi, in casa o in giro, anche davanti a schermi televisivi grandi e di qualità; tutto questo può aver portato gli spettatori a impigrirsi e a non uscire di casa, o a farlo di meno. Per questo è importante una finestra certa, che ridia valore al passaggio di un film in sala. Il grande schermo, come sappiamo, favorisce un’esperienza unica che nessuna visione casalinga può garantire. Solo con il confronto e la condivisione si valorizza un prodotto culturale, che sia un film, una rappresentazione, una mostra o un museo. Come si può pensare che guardando film su piattaforma si crei socialità? Andare al cinema è un fatto sociale che le istituzioni continuano a far fatica a capire. Si dovrebbe puntare anche su una forte campagna promozionale che veda insieme istituzioni e addetti ai lavori».

Su cosa dovrebbe puntare questa campagna promozionale?

«Il focus non dovrebbe essere il semplice invito andare al cinema ma la promozione dell’esperienza cinematografica come qualcosa di unico e irripetibile. Si dovrebbe fare una vera campagna che non punti solo sugli sconti».

La difficoltà di coinvolgere il pubblico adulto riguarda anche Milano?

«Milano è una realtà diversa rispetto a quella che viviamo con i nostri cinema del circuito, anche se parliamo di una città importante come Monza con i suoi 120mila abitanti, e di altre realtà più provinciali come Cremona con 75mila abitanti o Treviglio con 30mila. In quei contesti facciamo molta più fatica. A Milano, per la sua natura di grande città, c’è più abitudine rispetto alla fruizione culturale e questo si ripercuote anche sul cinema».

Come comunicate con i vostri spettatori?

«In questo periodo abbiamo cercato di metterci in contatto molto con i giovani, come avevamo iniziato a fare prima della pandemia. Lo abbiamo fatto, ad esempio, proponendo film in lingua originale, non solo in inglese. Abbiamo creato una community di ragazzi abituati a viaggiare e a confrontarsi con altre realtà e che il cinema lo vivono come un’attività educativa e culturale. In questo modo abbiamo agganciato pubblici che fino al 2018 frequentavano meno le nostre sale».

Palazzo del cinema e Citylife si rivolgono comunque a target diversi di spettatori.

«Se la media in tutta Italia è di un calo del 55% rispetto al 2019, noi a Milano siamo sul -40% a Palazzo del Cinema e Citylife. Sicuramente una situazione molto migliore rispetto al resto del mercato ma non ancora sufficiente per reggere i costi di gestione dei cinema che in questi tre anni sono diventati molti pesanti. C’è una diversificazione nella programmazione tra Palazzo del cinema e Citylife dove presentiamo film più commerciali. I due cinema, però, offrono anche servizi diversi in linea con il tipo di pubblico che li frequenta. A Palazzo del cinema abbiamo un bar e un ristorante, una libreria e una biblioteca dello spettacolo e non vendiamo pop corn da portare in sala. A Citylife, invece, ci permettiamo di fare operazioni più commerciali, facendo vendita di pop corn come a Cremona o Treviglio. Attraverso proposte mirate e i servizi dobbiamo far sì che alcuni pubblici tornino al cinema e altri crescano. A Palazzo del Cinema, ad esempio, abbiamo proiettato Top Gun:Maverick solo in lingua originale. Non è solo un film commerciale ma è rivolto a un target adulto che frequenta Anteo. Poi è chiaro che a Citylife il film abbia fatto numeri più alti ma l’importante è provare ad allargare il proprio pubblico».

Lezione di cinema di Mario Martone e Pierfrancesco Favino per Nostalgia

Come vede questa particolare fase storia per l’esercizio?

«Non siamo usciti ancora da questa fase di emergenza – spiega Cerri – anche se non mi piace continuare a parlarne. Ci sono però alcuni fattori che vorrei evidenziare. Il primo è che solo da pochi giorni è possibile venire al cinema senza indossare la mascherina. Il pubblico ha avuto la percezione che, insieme ai teatri, fossimo luoghi insicuri. E questo ci ha danneggiato. Il secondo punto è che in Europa i mercati principali faticano ma non come in Italia».

Per quali ragioni?

«Le motivazioni sono diverse. In Francia, come si sa, il segmento del cinema è considerato come fiore all’occhiello della proposta culturale e questa impostazione ha contribuito a portare oltre 200 milioni di persone nelle sale mentre in Italia ci si ferma a 100 milioni in media, ovviamente prima della pandemia. In Spagna, durante l’emergenza Covid, si sono chiusi locali e ristoranti ma i cinema sono rimasti quasi sempre aperti; anche questo è stato un messaggio preciso che il governo di Madrid ha voluto dare. In Germania e Gran Bretagna ci sono state chiusure e restrizioni durate, però, meno a lungo rispetto al nostro Paese».

Ma non si sta vivendo anche un problema di prodotto?

«Si parla molto di questo tema; anche io credo che ci sia un problema di offerta ma non riguarda solo la produzione italiana quanto tutta la proposta. Lasciamo da parte i blockbuster che, è vero che stanno avendo buone performance al box office, ma incassano comunque un terzo o la metà rispetto al 2019. Unica eccezione è stata Spider-Man: Far From Home che – a mio avviso – ha comunque incassato cifre inferiori a quelle che avrebbe potuto ottenere. Passando al cinema italiano, la commedia popolare non funzionava già nel 2019; ormai è un prodotto pensato prevalentemente per la televisione o le piattaforme. Il cinema di qualità, di contenuti, ha sempre un suo pubblico. Anche in questo caso, però i risultati sono inferiori alle medie pre Covid. Basti vedere gli incassi di film di valore quali Nostalgia o Esterno notte».

Cosa si aspetta per i prossimi mesi?

«Che con umiltà tutta la filiera torni a dialogare senza che nessuno voglia imporre posizioni di forza perché nessuno ha la bacchetta magica per risolvere i problemi. Come esercenti dobbiamo rischiare di prendere decisioni facendo scelte che magari possono anche rivelarsi sbagliate. Se riusciremo con continuità a fare più proposte che non siano solo la visione di film, daremo più potere attrattivo ai cinema. Penso ad esempio alla trasmissione di eventi o contenuti complementari come li avevo definiti qualche anno fa. Immagino spazi dedicati alla serialità e ai documentari o a forme di spettacolo come reading teatrali o piccoli concerti. Le sale sono luoghi che in questa fase devono aprirsi a un’offerta più ampia per andare a conquistare nuovi pubblici. Come Anteo stiamo studiando anche altre iniziative che vedranno la luce nei prossimi mesi».

E sul versante dei film?

«In attesa della Mostra del Cinema di Venezia non noto un’offerta forte di qualità nei prossimi mesi. Vedremo come andrà avanti Elvis che è un film a cavallo di tanti pubblici. Può dare soddisfazioni sia all’Anteo che a Citylife».

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