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E allora la Germania!?

Alcune considerazioni sui dati di consuntivazione del box office 2018 diffusi da ANICA (con ANEM e ANEC) nei giorni scorsi.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo una riflessione di Michele Casula sui DATI DEL BOX OFFICE 2018 E I COMMENTI DELLE ASSOCIAZIONI diffusi lo scorso 10 gennaio.

Di Michele Casula

Nel leggere i dati di consuntivazione del box office 2018 diffusi da ANICA (con ANEM e ANEC) nei giorni scorsi, ho provato un disagio che andava oltre quello che ragionevolmente può provocare una sequenza di segni meno.

Immagino fosse dovuto al manifestarsi dei sintomi della sindrome del MCMG (Mal Comune Mezzo Gaudio), a partire dalla sottolineatura del fatto che il calo accomunerebbe i Big Five europei (salvo scoprire che il mercato UK è in lieve crescita e che la Spagna è sostanzialmente stabile, portando i “Big” in autentica flessione a quota 3). Un calo analogo lo abbiamo in Italia (-5%) e Francia (-4%), anche se l’asimmetria dimensionale fra i due mercati concede al secondo dei margini di oscillazione serenamente più ampi. In questo quadro, il -16% della Germania fa effettivamente una certa impressione. Vale la pena tuttavia di sottolineare la quota del 23% ascrivibile al prodotto nazionale, che se per la Germania è una conferma, per l’Italia (anch’essa al 23% come quota di mercato) è il frutto di un forte incremento rispetto all’anno precedente (+23,8%).

È a commento di tale dinamica che si leggono le considerazioni più convincenti del comunicato ANICA: “…nei vari anni possono comparire film al di sopra della media ma, in assenza, si possono apprezzare altre qualità del cinema locale che offre (…) una pluralità di generi (…), minore concentrazione in un periodo dell’anno, emersione di nomi nuovi, tra opere di debuttanti e opere di elevata qualità artistica premiate anche a livello internazionale. Nella Top 100 si intravedono promesse di talento per il futuro: nel 2018 sono stati 27 i titoli italiani e in coproduzione con un incasso superiore a 1,5 M€, contro i 19 del 2017, circa un terzo in più”.

C’è tuttavia un grande assente nelle considerazioni sulle dinamiche del mercato cinematografico: il record registrato a livello mondiale (pur sotteso da un +1%) trainato dalla crescita del mercato cinese (+9%) e dal dato del box office USA (+10%). In quest’ultimo caso, vale sempre la pena di ricordate che il risultato ottenuto dalle sale statunitensi (il più alto di sempre) coabita con una penetrazione di servizi SVOD (altro alibi nostrano ricorrente) ormai vicina al 70% (con ruolo trainante di Netflix).

Mi viene da introdurre a questo punto la disaggregazione del dato Italia, con la flessione più importanti in capo ai multiplex (-7% sulle presenze e -8% sugli incassi); le strutture che più delle altre lavorano il prodotto largo internazionale.

E qui si delinea il paradosso (e la sfida che lo sottende): lo stesso prodotto internazionale che favorisce il risultato best ever a livello mondo, ed in particolare negli USA, si associa ad un’annata di particolare sofferenza nella vecchia Europa, ed in particolare in Germania e, meno drammaticamente, in Italia, dove il prodotto locale ha fatto il proprio dovere, ma non abbastanza per giocare fino in fondo un ruolo anticiongiunturale. Il messaggio sembra chiaro: non di soli Avengers (il titolo in testa al ranking mondiale) vive l’europeo.

L’incasso italiano registrato per Avengers: Infinity War incide per meno dell’1% sul box office mondiale, e rappresenta meno del 3% rispetto a quello statunitense (che a sua volta esprime il 33% dell’incasso mondiale del titolo).

L’incasso italiano registrato per Black Panther (che svetta sulla classifica USA) incide per un misero 0,5% sul box office mondiale, e rappresenta l’1% di quello statunitense (che in questo caso esprime più della metà dell’incasso mondiale).

L’incasso italiano di Bohemian Rhapsody (leader del 2018 nel nostro paese) incide per il 3% sul box office mondiale (il triplo rispetto ad Avengers: infinity War) e rappresenta l’11% di quello statunitense (che su questo titolo – co-produzione Gran Bretagna/USA su una band inglese – incide solo per il 28% sull’incasso mondiale).

L’insieme di questi elementi evidenzia come buona parte della flessione registrata in Italia (ma la spiegazione vale anche per il tracollo della Germania) si radichi nella diversità dei paradigmi di gusto del pubblico nostrano, rispetto a quello statunitense. Quello che determina il successo di Black Panther negli USA (che beneficia di una particolare strategia di marketing etnico) non funziona nello stesso modo in Italia.

Anche il prodotto internazionale potrebbe comunque performare meglio nel nostro paese se ci fosse una maggiore flessibilità nell’adattamento dei materiali, alla luce delle specificità della domanda nostrana.

Come evidenziato in precedenza, nel 2018 le produzioni italiane hanno giocato un importante ruolo anticongiunturale (con il lusinghiero +24% registrato su base annua), che non è stato sufficiente per scongiurare il -5% complessivo.

A questo proposito il comunicato congiunto Anica/Anem/Anec sfocia in un orgoglio vagamente cerchiobottista quando evidenzia che “Dopo tanti anni in cui si titolava che la salvezza del prodotto locale era da intestarsi solo a pochi, pochissimi film – o a un solo campione – emerge nel 2018 l’importanza del cinema “medio”, zoccolo duro dell’industria e di una produzione che mette sicuramente sul mercato troppi titoli in un anno, ma che attraverso la quantità esprime anche vitalità e progettualità per nulla scontate”.

Ammettere che i titoli (italiani) immessi sul mercato in un anno sono troppi e sostenere contemporaneamente che (parafrasi di chi scrive) “producendo e distribuendo tanto prodotto italiano fa sì che nel mucchio salti fuori qualcosa che funziona” è una contraddizione bella e buona.

Se si considera inevitabile (o addirittura opportuno) produrre 250 film per averne 27 che superano la soglia del milione e mezzo, si avalla uno spreco di risorse che il mercato non si può permettere. Il potenziale del cinema italiano è decisamente superiore al 23% di una torta che si restringe. Si può ambire a fette più grandi e, soprattutto, a torte di dimensioni maggiori, governando meglio i processi decisionali che sottendono le scelte produttive, dando spazio PRIMA a chi fa la differenza DOPO: gli spettatori.

Come? Ascoltandoli.

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