You are here
Home > Cinema > Video on demand: quali regole per i nuovi player dell’audiovisivo europeo?

Video on demand: quali regole per i nuovi player dell’audiovisivo europeo?

Come integrare il nuovo modello di fruizione nel quadro normativo UE e nel sistema di obblighi e quote che sostiene le industrie creative? Come evitare impropri vantaggi fiscali e competitivi? Questi e altri i temi affrontati ieri nel workshop internazionale organizzato da MibacT e Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo.

Quando si parla di web e audiovisivo, la fluidità dei servizi e la difficoltà dei legislatori nell’individuare e imporre la propria giurisdizione emergono quali temi portanti non solo in relazione all’offerta pirata, ma anche a quella legale. La tendenza dei colossi di Internet ad aggirare i sistemi fiscali e normativi più severi stabilendosi in Paesi diversi da quelli in cui operano è infatti il fenomeno che si sta affermando attualmente nel campo europeo del video on demand, dove ad esempio le principali piattaforme di origine americana come iTunes, Xbox e Netflix hanno posto la loro sede in Lussemburgo, pur essendo accessibili e fruibili da molti altri Stati. Come ricondurre questi nuovi e fondamentali player della filiera cinematografica e televisiva nell’alveo della legislazione UE è stata materia di discussione ieri, a Roma, nell’ambito del workshop Funding for Film and Audiovisual Production: What Role for New Players? (Finanziamenti alla produzione di film e audiovisivo: quale ruolo per i nuovi operatori?) organizzato da MibacT  e Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo. Quello che ne è emerso, è un quadro normativo ancora frastagliato, non solo per quanto riguarda i nuovi ma anche i vecchi media, che stenta perciò a stare al passo con un mercato invece sempre più vivace. In autunno Netflix, il leader USA dell’on demand ad abbonamento, estenderà le sue attività europee a due aree fondamentali come Francia e Germania, più Austria, Svizzera, Belgio e Lussemburgo, imprimendo perciò in modo sempre più marcato la propria impronta nel vecchio continente. Sono pochissimi, tuttavia, gli Stati che ad oggi hanno messo a punto strumenti per imporre a grandi competitor stranieri come questo di contribuire al sistema audiovisivo nel suo complesso. 

 operatori VOD eu

Come messo in luce dall’intervento di André Lange (Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo), quello francese si conferma il contesto più all’avanguardia, avendo già previsto un contributo obbligatorio in capo aglio operatori di video on demand, ma solo nel caso in cui il loro turnover (cioè i ricavi netti) superi 10 milioni di euro. Una clausola che consente insomma di andare a colpire esclusivamente le realtà più forti, spesso connesse ai broadcaster o agli operatori di telefonia, senza affossare i nuovi soggetti più deboli, magari dedicati al cinema d’autore, che si affacciano in continuazione in un settore ancora in via di crescita e assestamento. I fornitori di servizi rientranti nella norma, invece, devono forzatamente investire il 15% del suddetto turnover in produzione indipendente, per quanto l’obbligo sia ricaduto finora solo su tre colossi come Canal Play (il servizio VOD di Canal +), SFR e Orange, per una cifra pari a 16 milioni di euro. Considerando che, secondo il CNC (Centre national du cinéma et de l’image animée), in Francia sono attualmente presenti 87 servizi di video on demand e che il loro giro di affari è aumentato del 41% dal 2010 al 2012, si ha la percezione di quanto perfino la sofisticata normativa d’oltralpe abbia mosso solo i primi passi in un campo decisamente brullo.

Per quanto riguarda il resto dei Paesi comunitari, solo Germania e Portogallo si sono dotati di regole riguardo al contributo che l’on demand deve fornire alla creazione di contenuti audiovisivi, in modo non dissimile da quanto previsto dalla stessa normativa europea per altri anelli della filiera, in particolare le emittenti televisive. Non si tratta però solo di “pigrizia” dei diversi legislatori nazionali: il 60% degli operatori VOD ha sede fuori dai Paesi in cui svolge le proprie attività e, soprattutto, non fornisce informazioni dettagliate sul valore del proprio business. Il fatturato di iTunes, ad esempio, comprende non solo quello di musica e app, ma è anche aggregato per la macro area EMEA (Europe, Middle East, Africa). Allo stesso modo Xbox non comunica i ricavi della vendita e del noleggio di film online ma quelli complessivi, derivanti in primo luogo dal gaming. 

 vod ue crescita

A tal proposito una delle iniziative potenzialmente più rivoluzionarie è stata intrapresa dalla Germania, che sta discutendo con la Commissione Europea la possibilità di tassare anche i servizi VOD che non hanno sede nel proprio territorio, ovviamente solo sui ricavi realizzati tramite portali in lingua tedesca, da utenti geolocalizzati in quella nazione e con transazioni non  soggette ad altro tipo di imposizione fiscale. Se introdotta, una tale innovazione potrebbe avere ricadute a catena su molti altri servizi e comparti industriali, per questo è stata messa in stanby dalle autorità tedesche ed europee in modo da verificarne la compatibilità con le libertà garantite dai trattati. Il Belgio, invece, starebbe lavorando a una ridefinizione del concetto, fondamentale nel quadro regolatorio europeo, di “Paese di stabilimento” di un servizio.

E in Italia? A descrivere il contesto nazionale sono stati chiamati rappresentanti del settore mediatico nostrano, con posizioni visibilmente molto contrastanti sul fenomeno.

“Dalla UE emerge un messaggio chiaro, cioè che i consumatori europei sono sempre più orientati a vedere film in streaming per effetto dell’evoluzione delle tecnologie, così che nel mercato si sta creando un gap tra la sovrapproduzione di contenuti e la capacità di farli fruttare su tutti canali disponibili – ha detto Elio Catania di Confindustria Digitale –  Non possiamo ignorare l’emersione di questi nuovi player, nati nel digitale con modelli di business completamente diversi, da cui si può imparare qualcosa piuttosto che isolarli pensando che ci stiano portando via il pane. Dobbiamo chiederci come allargare la base dei nostri business con nuovi modelli operativi di impresa ed evitare atteggiamenti di rifiuto dell’innovazione. Ci sono decine di migliaia di ragazzi italiani che stanno costruendo il loro futuro su imprese basate solo sul web. La domanda che dobbiamo farci non è come fermare Amazon ma perché Amazon, o il colosso cinese Alibaba, non è nata in Europa, e se stiamo creando da noi le condizioni affinché simili imprese abbiano un nome e un cognome tedesco o francese”.

Meno entusiasta il parere di Gina Nieri, della divisione Affari Istituzionali di Mediaset:

“Il problema non è essere contrari a Internet, ma avere al pari di YouTube la possibilità di mettere sul mio sito i contenuti che voglio con la pubblicità che voglio, che è quella che poi consente di reinvestire in produzione. YouTube sul nostro territorio non lascia niente, ha 150 dipendenti e non fa certo investimenti in prodotto europeo. Quando ci sarà la tv connessa, di contro, tutto quello che verrà dai broadcaster sarà superegolato in termini di raccolta pubblicitaria, minori, parconditio, mentre spostandosi dal web si potrà vedere tutto, senza limiti di pubblicità o di fascia oraria. La tassa di scopo ci interessa poco, mentre è importante che sia rispettato il diritto d’autore. Internet e le regole devono smettere di essere un ossimoro, per il resto, noi abbiamo tutto l’interesse ad avere altre strade per la distribuzione dei nostri contenuti”.

Secondo Eric Gerritsen, di Sky Italia, la sovrabbondanza di tecnologia pone al contrario una sfida sui contenuti: “Ben venga il tax credit di recente approvazione, ma da solo non è sufficiente, va creato un sistema in cui ci sia la possibilità di produrre. Forse gli obblighi di reinvestimento sono distorsivi e il VOD magari è lo spunto per rivedere questo sistema di regole”.

Ottimista infine Francesco Nardella di Rai Fiction:

“Con la loro espansione le tv via cavo americane hanno costretto i network a rivedere la qualità. Lo stesso potrebbe succedere con l’on demand. La crescita non è mai solo tecnologica”.

 

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
Top
L'annuncio si chiuderà tra pochi secondi
CHIUDI 
L'annuncio si chiuderà tra pochi secondi
CHIUDI