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Pirateria: Mediaset addita “i parassiti del web”, Mega attacca Hollywood, Google cerca soluzioni nell’Ad

Fedele Confalonieri si scaglia contro gli operatori del web che sfruttano i contenuti originali di qualità dei broadcaster tradizionali. Nel frattempo Mega accusa le major di censura, mentre Google discute della possibilità di passare dalla rimozione dei siti dai risultati di ricerca a un modello basato su una distribuzione delle pubblicità in chiave antipirateria.

Nel mercato audiovisivo europeo ci sarebbero “operatori tecnologici d’oltreoceano”, colpevoli di aver goduto di  “rendite parassitarie” costruite tramite il web senza contribuire, però, in alcun modo alla produzione di contenuti originali e di qualità. Questa l’accusa lanciata ieri a Bruxelles dal presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, nel consesso associativo delle televisioni commerciali europee, e rivolta implicitamente agli OTT (servizi non lineari o over the top) e a grandi portali quali YouTube, con cui il broadcaster italiano è in contenzioso da anni. Il motivo della querelle: oltre 4 mila video tratti dalla programmazione di Mediaset e resi illecitamente disponibili sul sito, per cui sono stati chiesti 500 milioni di euro di risarcimento. Ma se l’iter giudiziario è ancora in corso, Confalonieri ha colto l’occasione dell’incontro con le altre emittenti europee per chiedere, in particolare alle istituzioni comunitarie, non solo maggiore controllo sugli operatori dell’online, ma soprattutto la creazione di una sorta di mercato unico capace di riunire sotto un solo cappello normativo tutti i player in campo. In primo luogo quelle new entry del web che al momento, secondo Confalonieri, godrebbero delle “asimmetrie” rispetto alle regole cui sono sottoposi i broadcaster tradizionali.

E se i presunti vantaggi derivanti dalla pirateria sono finiti sotto la lente di Mediaset, il tema non sembra meno caldo a livello internazionale, dove gli studios sarebbero tornati alla carica di uno dei soggetti ritenuti più pericolosi su questo fronte, cioè Mega, diretto discendente di Megavideo e  Megaupload, gestito sempre da Kim Dotcom.

Mega Kim Dotcom

Secondo quanto riportato da TorrentFreak, NBC Universal e Warner Bros avrebbero infatti segnalato a Google la presenza di materiale lesivo di copyright sul sito di storage, richiedendone perciò la rimozione dai risultati di ricerca di BigG. Un’istanza cui ha risposto prontamente lo stesso creatore di Mega tirando in ballo perfino la censura, rimarcando l’assenza di file piratati (il film Mama per Universal e Gangster Squad per WB) nell’URL denunciato dalle due  major al colosso del web. La destinazione, nello specifico, sarebbe infatti la stessa homepage del portale, che non linkerebbe ad alcun tipo di file, tantomeno coperto da diritto d’autore.

Per Dotcom, questo caso non isolato di “abuso nelle richieste di rimozione”, rappresenterebbe solo l’ennesimo esempio del “comportamento irragionevole delle industrie culturali”, che invierebbero ogni giorno decine di migliaia di notifiche nel tentativo di rendere più difficile trovare materiali piratati, senza tuttavia sincerarsi della correttezza delle segnalazioni né tentare il dialogo con i soggetti ritenuti colpevoli di ospitare i contenuti lesivi della proprietà intellettuale. Oltre a costituire un esempio di negligenza nel rispetto delle regole stabilite dal Digital Millennium Copyright Act, quello cioè che ha permesso a YouTube di vincere la causa intentata da Viacom, e che stabilisce la mancanza di responsabilità dei provider di servizi online in caso di pronta rimozione dei contenuti illeciti, previa segnalazione da parte dei detentori del copyright sugli stessi. Per Dotcom si tratterebbe, ovviamente, della stessa negligneza che avrebbe portato alla “censura” dei siti da lui precedentemente creati.

E se l’uscita del guru dei cyberlockers non ha ricevuto risposta dalle major chiamate in causa, ad appoggiare in parte e indirettamente le sue tesi è stato Theo Bertram, policy manager di Google UK, che intervenendo a Londra, in un convegno all’Università di Westminster, ha sottolineato come il sistema di notifiche e rimozioni non sia necessariamente il più efficace nella lotta alla pirateria. Una soluzione alternativa e più mirata sarebbe invece agire sui banner pubblicitari che garantiscono il sostentamento economico dei siti in questione. Una variante sull’ipotesi della sospensione dei trasferimenti economici ipotizzata nel tanto osteggiato progetto di legge SOPA, accantonato l’anno scorso dal Congresso americano (e che avrebbe permesso ad esempio la fine di WikiLeaks)? Assolutamente no: è Bertram il primo a sottolineare come non sia compito né tanto meno facoltà di Google pattugliare il web, o elevarsi a giudice decidendo quali banner di quali siti colpire. L’ipotesi è, piuttosto, che siano le stesse grandi industrie a fornire una lista di indirizzi su cui desiderano non compaiano le loro pubblicità, eliminando così almeno la propria parte di sostegno ai portali ritenuti coacervi di pirateria. Più in generale, dall’intervento del manager è emersa anche la scarsa utilità della rimozione dei contenuti o dell’oscuramento di siti nel medio-lungo termine, data la rapidità di comparsa di facili alternative per il reperimento di materiali lesivi del copyright. Così come la chiusura di Megavideo e Megaupload non ha determinato la morte del filesharing, così sarebbe arrivato per le industrie culturali il momento di elaborare strumenti più complessi e allo stesso tempo più ragionati, avviando ad esempio un’attiva collaborazione tra gli inserzionisti di BigG.

 

 

Fonte: Il Sole 24 Ore, TorrentFreak, WebNews

 

 

 

 

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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