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Netflix: una trimestrale con alti e bassi

La società fa meglio delle aspettative su Utile per azioni, Free cash flow e abbonati, mentre è sotto le attese sui ricavi. Ma cosa ci dobbiamo aspettare dalle strategie per il futuro?

Prima di analizzare nel dettaglio i dati della trimestrale Netflix, è utile capire come ci siamo arrivati.

Pochi giorni fa, come aveva fatto in Canada, Netflix ha annunciato l’eliminazione anche negli Stati Uniti della tariffa ‘Basic’ da 10 dollari, cosa che dovrebbe portare chi vuole risparmiare a scegliere il piano con pubblicità da 7 dollari, che la stessa azienda ha rivelato portare ricavi molto simili a quello ‘Standard’ da 15,50 dollari (e, quindi, molto più profittevole del ‘Basic’). Cosa significa questo? Che, ancora una volta, Netflix ha dimostrato di non essere interessata ad aumentare gli abbonati a tutti i costi, visto che togliere un’opzione possibile scontenterà qualcuno e lo porterà ad abbandonare il servizio. Tuttavia, l’idea è che quelli che rimarranno porteranno più ricavi (e quindi anche utili) rispetto a prima, aumentando la profittabilità di questi utenti.

In questo senso, uno dei temi fondamentali era vedere i risultati provocati dalla fine della condivisione delle password, che è diventata operativa nell’ultimo trimestre in molti Paesi occidentali importanti e ricchi (va ricordato invece che Netflix, in tante altre nazioni, sta tenendo il prezzo dell’abbonamento molto basso), tra cui gli Stati Uniti. C’erano dei segnali confortanti che erano arrivati in questi giorni da alcune ricerche esterne, ma ovviamente quello che conta sono i numeri che fornisce la stessa Netflix.

Infine, la cancellazione di Masters of the Universe dopo aver già speso 30 milioni di dollari per lo sviluppo e per tener fermi i protagonisti. Come riporta Variety, la preoccupazione era su possibili sforamenti di budget, visto che Netflix non voleva andare oltre i 150 milioni di dollari (cifra non certo bassa), mentre i produttori spingevano per i 180M. Segnale che la Netflix che non bada a spese è un retaggio del passato, adesso ci bada e fa bene.

E veniamo ai risultati comunicati. Partiamo dal numero di abbonati, che passano a 238,2 milioni, con un aumento di 5,9M (qui sotto potete vedere l’evoluzione di Netflix in questi anni):

Va detto che, come già capitato in passato, questo aumento può risultare fuorviante e far pensare a ricavi molto maggiori di quelli attualmente ottenuti (ma ne parliamo meglio sotto). L’utile per azione è stato di 3,29 dollari (le previsioni di Wall Street parlavano di 2,86$), mentre i ricavi totali sono stati di 8,2 miliardi di dollari, inferiori alle ipotesi degli analisti, che parlavano di 8,6 miliardi. Il debito lordo nel secondo trimestre si stabilizza a 14,5 miliardi.

Si segnala il buon dato relativamente al Free cash flow, che in questo trimestre è stato di 1,339 miliardi, ben diverso dai 13 milioni di un anno fa, il momento peggiore di Netflix a livello di trimestrali. La previsione attualmente è di un Free cash flow di 5 miliardi per l’intero anno, rispetto alle precedenti ipotesi della società, che parlavano di 3,5 miliardi. Ma va detto che questo dipende semplicemente dallo sciopero degli sceneggiatori e degli attori, che ha portato a un blocco delle riprese e (in alcuni casi) a un rinvio di quelle previste nei prossimi mesi, riducendo quindi i costi.

L’utile operativo è stato di 1,8 miliardi, ma soprattutto è stato annunciato che nel secondo semestre di quest’anno ci si aspetta un miglioramento della crescita dei ricavi, grazie soprattutto alla stretta sulle password e ai piano con pubblicità, tanto che ci si attende un margine operativo tra il 18 e il 20%. In effetti, la “condivisione pagata” (come la chiama Netflix) è stata lanciata a maggio in più di 100 nazioni e in questo periodo si sta allargando a quasi tutte le altre.

Interessante il confronto (anche se complesso, visti i modelli di business differenti) con i rivali più ‘tecnologici, tra cui Youtube (che nel 2022 ha portato a 40 miliardi di ricavi, rispetto ai 32 miliardi di Netflix) e ai 35 miliardi ottenuti da Amazon grazie agli abbonamenti, di cui la stessa Netflix stima una parte importante arrivi da Prime (che però, e qui il confronto non mi convince molto, è molto di più del semplice Prime Video).

Come già era stato fatto in passato, Netflix ha invitato gli altri streamer a essere più trasparenti con i dati di ‘engagement’, sapendo bene che non potranno mettere in mostra cifre dello stesso livello (e quindi o dovranno ammettere la distanza da Netflix pubblicando un maggior numero di dati o continuare a mantenere questo riserbo ‘sospetto’).

Una trasparenza che, a dire il vero, Netflix non mette in mostra quando parla degli abbonamenti con pubblicità “quasi raddoppiati”, ma senza comunicare le cifre assolute e precise. In questi casi, facile pensare che siano ancora relativamente basse, ipotesi confermata da un articolo di The Information, secondo cui Netflix avrebbe negli Stati Uniti 1,5 milioni di abbonati alla versione con pubblicità e un numero probabilmente doppio a livello globale. Per ora, insomma, non sono cifre che possono minimamente rivaleggiare con le grandi potenze pubblicitarie come Google o Meta.

Nonostante l’aumento di abbonati dal primo trimestre 2023, non migliora in nessuna regione l’ARPU. In UCAN (Stati Uniti e Canada) si è passati a 75,57 milioni di abbonati dai 74,40M precedenti, ma l’ARPU scende a 16 dollari precisi ai 16,18 precedenti. In LATAM (America Latina) gli abbonati sono diventati 42,47M (erano 41,25M), con un ARPU sostanzialmente stabile (8,58 dollari rispetto agli 8,60 precedenti). Nella zona EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa), ci si avvicina moltissimo agli 80M di abbonati (sono 79,81M, erano 77,37M nello scorso trimestre) e anche qui siamo a un ARPU stabile (10,87 dollari invece che 10,89$).

In APAC (Asia del Pacifico) il dato peggiore, con gli abbonati che superano per la prima volta quota 40M (40,55M, per la precisione, rispetto ai precedenti 39,48M), ma con l’ARPU che cala di ben il 13% e passa a 7,66$ rispetto agli 8,03$ precedenti. E’ chiaro che in questa zona si sta privilegiando la crescita degli abbonati a un prezzo molto sostenibile piuttosto che la profittabilità. D’altronde, come ha affermato la stessa Netflix, in alcuni Paesi dove ancora c’è da affrontare la questione delle condivisione delle password (sono state citate Indonesia, Croazia, Kenya e India) non ci sarà possibilità di aggiungere un utente ulteriore a un abbonamento già esistente e a un costo minore, visto che in quei Paesi i prezzi sono già stati ridotti di recente.

Almeno, abbiamo capito che chi sfrutta l’opzione di aprirsi un proprio account all’interno di un abbonamento già esistente, viene comunque considerato un nuovo abbonato e non è invece l’abbonamento stesso a venir calcolato con un ARPU maggiore.

Durante la call agli azionisti, i dirigenti Netflix hanno parlato dei piani del futuro, anche se sembrano essersi concentrati più sulle cose che non vogliono fare che su quelle che puntano a fare.

Il Co-CEO Ted Sarandos ha specificato come Netflix non sia molto interessata al fronte “fusioni e acquisizioni” di altre società, quanto a eventuali opportunità di acquisire delle proprietà intellettuali. “Quando parliamo della nostra attività di fusioni e acquisizioni, si tratta soprattutto di proprietà intellettuali che possiamo sviluppare in ottimi contenuti per i nostri utenti, che è il nostro vero business e la nostra forza”.

Lo stesso Sarandos sembra escludere che la società possa seguire l’esempio di tante altre realtà impegnate nello streaming e che ultimamente sono diventate più flessibili nella cessione dei loro contenuti ad altri. “Stiamo seguendo la strada giusta per quanto riguarda l’offerta di contenuti ai nostri abbonati e di mantenerli su Netflix anche dopo la sua uscita originale. Il mercato del syndication e dell’home video, anche se continua ad esistere, si sta contraendo a un livello per cui non risulta eccitante puntarci, rispetto all’opportunità di soddisfare i nostri utenti e fornire loro tutti i nostri contenuti, anche quelli più vecchi”.

Inoltre, per l’ennesima volta Sarandos ha escluso che l’azienda voglia investire sui costosissimi diritti sportivi, continuando invece a impegnarsi in una programmazione originale legata allo sport, come ormai fa da tempo con alcune serie documentaristiche (alcune funzionano, altre meno, soprattutto di recente, e in questo senso è stato strano vedere citata la serie sul Tour de France tra i successi, considerando che è rimasta per solo una settimana nelle top 10).

Una notizia interessante (anche se non magari nell’immediato) è arrivata dal CFO Spencer Neumann, che ha dichiarato che, con un miglioramento nei ricavi, soprattutto grazie alla stretta sulle password condivise e all’opzione con pubblicità, potrebbe esserci un aumento di investimenti sui contenuti (che ormai sembrano essersi stabilizzati sui 17 miliardi all’anno). Come sempre nelle lettere agli investitori, sono importanti le cose scritte, ma forse anche di più quelle che non sono citate. In questo senso, i risultati dei videogiochi su Netflix non sembrano straordinari, visto che dell’argomento non se ne parla proprio.

Infine, come sempre è fondamentale studiare e capire la reazione di Wall Street. Il fatto che i ricavi siano stati al di sotto delle previsioni, ha portato a una flessione del titolo in Borsa nelle contrattazioni post-chiusura di circa l’8%, arrivando a una quotazione di 438$. D’altronde, va detto che nei giorni scorsi il titolo era aumentato e proprio per le buone aspettative che si avevano nei risultati di questa trimestrale. In effetti, Netflix è l’unica società che ha visto un sostanzioso miglioramento del prezzo delle azioni (+35%) da quando è partito lo sciopero degli sceneggiatori. Nello stesso periodo, Disney è calata del 13%, Paramount più del 30% e Warner Bros. Discovery di quasi il 7%.

Insomma, Wall Street scommette sul fatto che Netflix sia la società più adatta a sopravvivere bene a un prolungamento dello sciopero (che ora coinvolge anche gli attori), cosa che certo non stimolerà la dirigenza a venire incontro alle richieste fatte dagli scioperanti, nonostante Sarandos abbia espresso il suo impegno a trovare un accordo. Speriamo che, commentando i dati del terzo trimestre, non si debba più utilizzare nell’articolo la parola ‘sciopero’…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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