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Disney: una trimestrale con luci e ombre

Ottime notizie dai parchi, problemi per i network lineari, calo nelle perdite (e negli abbonati) per quanto riguarda lo streaming. I dati di Disney vanno letti con attenzione, ma ancora di più, le parole di Bob Iger…

Diversi commentatori hanno parlato di dati solidi per questa seconda trimestrale Disney. Wall Street, al momento, non sembra troppo convinta, visto che nelle contrattazioni post chiusura il titolo è arrivato a poco più di 96 dollari per azione, dai 101$ con cui aveva chiuso la giornata. Ma vediamo i punti più importanti, iniziando dallo streaming.

Si conferma ancora una volta che non solo la crescita degli abbonati non migliora necessariamente i conti (cosa avvenuta nel primo trimestre 2023 sia per Peacock che per Paramount), ma che è vero anche il contrario. Infatti, le perdite del Direct to Consumer si sono ridotte, nonostante il numero totale di abbonati di Disney+ sia sceso di 4 milioni di unità, arrivando a 157,8M, dai 161,8M del precedente trimestre, come potete vedere qui nell’infografica:

In realtà, tutta la flessione come prevedibile arriva da Disney+ Hotstar, quindi dall’India, che passa da 57,5M a 52,9M, mentre sostanzialmente stabile il Mercato nordamericano (da 46,6M a 46,3M) e invece in aumento gli altri territori internazionali (da 57,7M a 58,6M). Quello che è veramente importante, è l’effetto degli aumenti dei prezzi, che hanno permesso di arrivare negli Stati Uniti e in Canada a un ARPU da 7,14 dollari (erano 5,95$ nel precedente trimestre) e nel resto del mondo (Hotstar esclusa) a 5,93$ (erano 5,62$). Ancora più basso (veramente troppo) l’ARPU in India, che ormai è di soli 0,59 centesimi (rispetto ai 0,74$ precedenti). E per quanto questi numeri vadano nella giusta direzione, il ricavo medio per abbonato mondiale rimane basso, anche se in miglioramento importante (4,44$, erano 3,93$). Peraltro, lo stesso Iger ha fatto capire che gli aumenti dei prezzi non finiscono qui e per gli azionisti questa è sicuramente una buona notizia. Insomma, fa abbastanza ridere leggere ancora articoli tutti concentrati sul numero di abbonati, metrica sempre meno efficace per capire la situazione.

Le altre due piattaforme streaming del gruppo fanno segnare un leggero miglioramento. Hulu passa a 48,2M di abbonati (erano 48M), comprensivi anche dell’offerta Live Tv (ma va detto che nella relazione si fa presente come i conti per questa realtà siano leggermente peggiorati, sempre a proposito di “non guardate troppo il numero di abbonati, è fuorviante”), mentre ESPN+ è arrivata a 25,3M dai 24,9M precedenti. Anche in questa occasione, conviene ricordare che gli abbonati al bundle che permette di vedere tutte queste tre realtà, vengono conteggiati come abbonati a tutte queste piattaforme.

Tutto questo ha permesso al reparto Direct to Consumer di migliorare i risultati, con ricavi che passano a 5,5 miliardi di dollari (contro i 4,9 dello stesso periodo dell’anno scorso), e una perdita operativa di 659 milioni, contro gli 887M persi dodici mesi fa. Numeri che certo non rendono vicinissima la profittabilità (che comunque, quando ci sarà, dovrà anche essere significativa), ma almeno sono un passo in avanti.

Come solito, la locomotiva di casa Disney sono i parchi, che magari non ‘fanno notizia’ come lo streaming, ma sono una certezza di profitti notevoli. I ricavi infatti aumentano del 17% (7,7 miliardi contro i 6,6 di un anno fa) e anche il reddito operativo fa un bel progresso (+23%), arrivando a 2,1 miliardi (erano 1,75). E’ anche un segnale che, finalmente, in tutto il mondo (anche nei parchi di Hong Kong e Shanghai) si è tornati alla piena normalità. Per quanto riguarda il segmento dei Network lineari, non si può essere soddisfatti, con numeri in calo importante, soprattutto per quanto riguarda il margine operativo, in flessione del 33% per i canali americani (1,56 miliardi, ma erano 2,3 un anno fa) e ancora peggio quelli internazionali (solo 85 milioni di reddito operativo, contro i 245M precedenti). Su questo versante, anche per i canali Disney incide negativamente il calo del mercato pubblicitario, che sta colpendo tutte le realtà televisive. In assoluto, i ricavi totali del gruppo arrivano a 21,8 miliardi, con un +13% rispetto ai 19,2 miliardi precedenti,

Altre informazioni interessanti sono arrivate nella conference call. In questa circostanza, Bob Iger ha annunciato che, entro fine anno, ci sarà un’app che permetterà di vedere i contenuti sia di Disney+ che di Hulu (ovviamente negli Stati Uniti, nel resto del mondo è già sostanzialmente così), anche se ovviamente al momento si manterrà la possibilità di acquistare le singole piattaforme. Inoltre, Iger ha rivelato che sono partite delle conversazioni con i dirigenti di Comcast per acquisire la loro quota di proprietà di Hulu. D’altronde, aggiungo io, va sempre ricordato che è Comcast che ha il coltello dalla parte del manico e che, da inizio 2024, può obbligare Disney all’acquisto della parte restante di Hulu, a un prezzo minimo di circa 9 miliardi. Ma d’altro canto questo potrebbe anche voler dire che non si aspettare l’anno prossimo per chiudere l’accordo, vedremo.

Last but not least, un elemento fondamentale della nuova strategia Disney sul fronte streaming lo ha confermato la CFO Christine McCarthy, che ha affermato essere in corso “un’analisi dei contenuti sui nostri servizi DTC, per allinearli con i cambiamenti strategici nel nostro approccio alla cura dei contenuti”. Messa così, sembra una frase diplomatica/criptica, ma in realtà si sta lavorando a ridurre i contenuti attualmente presenti nello streaming, che porterà a una riduzione dei costi tra 1,5 e 1,8 miliardi. D’altronde, di recente lo abbiamo già visto nella decisione legata alla versione americana di Ballando tra le stelle, che dopo essere stata per un anno un’esclusiva di Disney+, tornerà a essere visibile anche su ABC (evidentemente i mancati guadagni pubblicitari su quel programma si sono fatti sentire), cosa che permette anche di non inserire l’importante costo di questo programma solo nei conti del DtC.

Ma la questione è più generale, perché, come ha detto McCarthy, “nel futuro produrremo meno contenuti, in linea con questo cambiamento strategico”. Insomma, contenuti rimossi, ma anche un numero minore di contenuti che semplicemente verranno prodotti. D’altronde, Iger aveva detto che la società ha speso tanto tempo e soldi per realizzare e promuovere contenuti che poi non incidevano sul numero di abbonati. E questa di Disney è una scelta (anche se ormai prevedibile da tempo) a cui è meglio che tutti facciano attenzione…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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