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I cinema italiani devono migliorare

In questi tre anni, le sale cinematografiche sono state sicuramente penalizzate. Ma ora è arrivato il momento di risolvere alcuni problemi cronici…

Sono molto preoccupato per la situazione dei cinema italiani e spero che da questo articolo traspaiano i miei timori e non solo alcune critiche, su cui comunque poi sarà interessante lanciare una discussione con gli esercenti. La prendo un po’ larga: ho appena finito di leggere Built to Fail: The Inside Story of Blockbuster’s Inevitable Bust di Alan Payne, un libro su Blockbuster (la catena di noleggio film, lo preciso per i più giovani) scritto da uno che ci ha lavorato per 25 anni e che spiega bene le ragioni del crollo. E no, a differenza della vulgata che ormai abbiamo accettato (“è stata Netflix che ha fatto chiudere Blockbuster!”), il discorso è molto più complesso. Magari ne parlerò meglio in un articolo dedicato, ma sicuramente tra le ragioni principali ci sono la scarsa attenzione ai propri clienti, la mancanza di dialogo con i propri negozi in franchise che ottenevano i migliori risultati (e che fornivano consigli su come far funzionare le cose, completamente inascoltati, anzi di solito la casa madre faceva il contrario) e l’assoluta disattenzione alla concorrenza e alle strade che prendeva.

I cinema italiani, con tanti possibili distinguo e differenze, soffrono di problemi simili? E magari non li stiano affrontando nel modo migliore, come capitato appunto a Blockbuster?

E aggiungo che sì, la pandemia ha esacerbato i problemi (e ne ha creato di altri, vedi la sciagurata gestione delle window, che ha visto gli esercenti venire massacrati), ma ne ha anche aggiunto un altro: la tendenza a non occuparsi di quello che si può gestire. Per cui ormai i problemi sembrano non dipendere dal settore tutto (mi ci metto anch’io, nel senso che anch’io posso far meglio nelle mie analisi, anche se non sono coinvolto economicamente con i cinema), ma sempre da realtà esterne. Lo Stato, che deve sempre fare qualcosa di più (e che, dopo che lo ha fatto, deve pensare a fornire un altro supporto). O le piattaforme, che sono colpevoli di una cosa (magari la “concorrenza sleale”, anche se la colpa qui è di chi non regolamenta bene certi passaggi) e del suo contrario (ci si lamenta che non forniscano i loro prodotti per essere proposti in sala, quindi li si vorrebbe avere come partner).

Questo però non spiega perché, per esempio, nazioni in cui l’intervento statale a difesa delle sale è stato decisamente inferiore (esempio supremo, gli Stati Uniti), pur con numeri non eccelsi, stanno facendo comunque meglio dell’Italia nei confronti con il prepandemia. E, analogamente, non si capisce perché in un Paese come la Francia, dove Netflix ha dieci milioni di abbonati (quindi, il doppio dell’Italia), il cinema si sia ripreso molto meglio che da noi (anzi, dagli ultimi dati, è quasi tornato alle cifre del passato, e lo avrebbe fatto con un apporto ‘normale’ di prodotto americano).

In questo senso, lo preciso subito, la mia non è una critica, ma un invito a riportare il destino dei cinema nelle proprie mani, senza preoccuparsi troppo (o almeno, non soltanto) di quello che fanno realtà che sfuggono al controllo delle sale stesse.

Quindi, chiediamoci: le sale stanno veramente lavorando al meglio per i propri consumatori? Mi riferisco a problemi storici e che forse stiamo sottovalutando, presi come siamo da altre urgenze.

Per esempio, la pubblicità prima dei film, che in alcuni circuiti ha una durata enorme e che non può essere certo vista come un corollario positivo dell’esperienza. Capisco benissimo la necessità di far cassa in ogni modo in questo periodo (anche se lo stesso problema di sovraffollamento pubblicitario c’era anche prima della pandemia), ma che tipo di rapporto si crea con il consumatore? Veramente questa è la migliore esperienza in sala che possiamo offrirgli?

Su un versante business to business, devo tornare a fare un paragone con Blockbuster e al libro di cui parlavo sopra. L’autore sostiene infatti che la società avesse la possibilità di profilare al meglio il proprio consumatore, di cui aveva potenzialmente tanti dati importanti sui consumi che faceva, ma non ha mai creato un sistema informatico adeguato per sfruttare al meglio tutte queste informazioni. Ecco, siamo sicuri che le tante informazioni potenzialmente disponibili sul pubblico che va in sala, siano sfruttate al meglio dai cinema, anche nel loro rapporto con i distributori? Si fanno con questi dati le migliori campagne incentrate sulla profilazione degli spettatori per attirare il pubblico giusto in sala?

Eppure, il tanto decantato ‘algoritmo’ di Netflix e delle piattaforme questo fa: tenere traccia di tutti i consumi (totali e parziali) dei propri consumatori e poi, grazie a queste info, provare a proporre loro titoli che possano apprezzare (magari già nelle scelte che si fanno in produzione). Su un altro fronte, realtà come Google e Meta sono diventate regine del mercato pubblicitario proprio raccogliendo il più possibile quello che facevano gli utenti sulle loro pagine e rivendendo queste informazioni preziose agli investitori. Ovvio che farlo online è più facile che farlo ‘fisicamente’ in un cinema, ma è importante fare tutto il possibile in tal senso.

Qui va detto che la situazione è fortemente disomogenea. Molte sale semplicemente non raccolgono (o lo fanno in maniera disorganizzata) le scelte di consumo della propria clientela (che, peraltro, può essere molto diversa a seconda del territorio, quindi non c’è una formula magica che vale per tutta l’Italia). Ma anche chi lo fa, come i grandi circuiti, poi non compie il passo successivo, ossia quello di condividere (beninteso, non sostengo che questa condivisione debba avvenire in maniera gratuita, anzi) con i distributori questi dati e lavorarci al meglio, con offerte decisamente mirate e che vadano a colpire i target giusti per ogni film.

Così come bisognerebbe finalmente trovare una soluzione al fatto di non avere in Italia una app unica (come Fandango negli Stati Uniti) che permetta di prenotare i biglietti per qualsiasi cinema (e questo, nel mondo di oggi, in cui compriamo sempre di più attraverso i nostri smartphone o comunque online, è evidentemente un grosso problema, che riduce il Mercato potenziale).

E non parliamo dell’offerta del food & beverage. Veramente per alcune realtà è impossibile dar vita a qualcosa che possa accontentare una clientela variegata e vada oltre il cibo spazzatura? Perché lasciare ai ristoranti dei centri commerciali (o comunque, vicini al proprio cinema) i soldi del pubblico che si è così faticosamente catturato? E, in generale, perché non si riesce a tenere il più possibile gli spettatori all’interno delle proprie strutture, prima e dopo il film, nonostante ci siano spesso degli spazi vuoti notevoli e che potrebbero essere sfruttati meglio?

E non dimentichiamo un ritardo notevole nell’offerta di sale ultratecnologizzate, in un Paese che ha solo cinque schermi Imax a disposizione (e uno soltanto è nativo), dopo che quello di Pioltello è stato tolto durante la ristrutturazione. E’ ovvio che qui si scontano errori passati nel prepandemia, considerando che oggi non è semplice investire in un momento di forte incertezza come questo, pur con gli aiuti istituzionali che ci sono (anzi, va detto onestamente che tanti stanno facendo investimenti coraggiosi in merito). E per alcuni cinema (soprattutto cittadini) forse non ci sarebbero neanche grandi miglioramenti a livello di pubblico frequentante. Ma è ovvio che questo handicap pesa molto sui ricavi e profitti assoluti di diverse realtà, perché alcune zone magari non sono in grado di offrire un servizio che porta gli appassionati a spendere volentieri cifre ben superiori alla media del biglietto.

E affrontiamo il discorso dell’importanza culturale e sociale. E’ un tema molto complesso, ma non c’è dubbio che per certi luoghi, i cinema siano un faro importante nella vita cittadina, anche per le altre realtà che gravitano intorno. E ovviamente, quando gestiti al meglio, sono anche un polo culturale da difendere. Tutto questo però non è detto che valga anche per i cinema all’interno di grandi centri commerciali (nulla contro i centri commerciali, s’intende, anzi penso che siano troppo demonizzati da una certa critica) e che quindi devono trovare altre ragioni per essere difesi. Devono, insomma, mettere lo spettatore al centro della loro offerta, cosa che non sempre fanno.

In passato, ho scritto che certi cinema non vanno salvati e continuo a pensarlo, come non vanno salvate le aziende che non funzionano, perché sono un danno per tutti gli altri. Non è che con la scusa del presidio culturale, allora qualsiasi cinema mal gestito debba essere difeso a oltranza. Chi lavora male, deve smettere di lavorare nel settore e non deve essere più difeso.

D’altronde, diverse realtà indipendenti, che semplicemente fanno il loro lavoro, coinvolgendo il pubblico costantemente e facendo diventare i loro cinema dei luoghi vivi anche al di là delle proiezioni, dimostrano che si può reagire brillantemente alla crisi. Ma esattamente come capitava all’autore del libro che citavo prima, e che gestiva una catena di affiliati che facevano numeri record, mentre Blockbuster si avvicinava al fallimento, non sembra che questo serva di lezione a chi gestisce realtà che magari sono molto più grandi e che possono pensare di non aver nulla da imparare dai ‘piccoli’.

Anche se mi rendo conto che questo articolo possa sembrare un atto di accusa, il mio è un monito preoccupato, perché ho scritto più volte in questi anni dell’importanza dei cinema non solo da un punto di vista culturale, ma soprattutto economico per tutta la filiera. Altri invece, in questi tre anni di pandemia, hanno sostenuto che le sale fossero ormai un retaggio del passato e le piattaforme invece realtà di successo, non andando a guardare i bilanci in perdita degli streamer e facendo finta che la grande popolarità (ma comunque inferiore alle previsioni delle piattaforme stesse) non dipenda in buona parte da un’offerta ricchissima a prezzi troppo bassi per far quadrare i conti. E i numeri mi hanno dato ragione, purtroppo, perché le piattaforme non bastano per tenere in vita l’industria cinematografica e anche le major se ne stanno accorgendo (troppo lentamente, vista la scarsità di prodotto di questi mesi, ma alcuni segnali sono comunque incoraggianti).

La mia paura è che il sostegno pubblico non potrà essere sempre così forte come lo è stato negli ultimi tre anni. E, a quel punto, si rischi veramente la chiusura di un numero importante di sale. Cosa che vorrei con tutte le mie forze che non succedesse…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.

One thought on “I cinema italiani devono migliorare

  1. Articolo sacrosanto. Peraltro non esistono nemmeno Sale Dolby Cinema da noi 🙁

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