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Dobbiamo sostenere tutte le sale? No

Per due anni, lo Stato ha cercato di aiutare tutte le sale cinematografiche. Ora, è il caso di riflettere se non sia il caso di essere più selettivi…

Spero che abbiate visto il bell’articolo di Stefano Radice sugli incassi per città e su come – nei pochi casi positivi – dietro c’era quasi sempre una nuova sala di alto livello tecnologico. Non è certo un dato sorprendente, ma conferma che sbagliamo (anch’io) quando parliamo genericamente di “riportare le persone al cinema”. Le persone, non c’è dubbio, ci andrebbero molto più volentieri se i cinema fossero di alto livello e, quindi, l’obiettivo dovrebbe essere fare di tutto per riportare il pubblico nelle sale giuste, cosa sicuramente più semplice che portarle in sale vecchie e tecnologicamente poco evolute.

Credo che, per qualsiasi cinema, ci si debba chiedere se riesce a fare (almeno) una delle due cose fondamentali per un sala che vuole avere successo (legge fornita da Simone Gialdini nel nostro podcast), ossia fare una programmazione molto interessante e varia e/o offrire un’esperienza di alto livello tecnologico/Comfort. Se sì, giusto sostenerlo, altrimenti, forse è il caso di riflettere meglio su eventuali aiuti.

D’altronde, bisogna iniziare a raccontarci la realtà, che forse è un po’ equivocata. Intanto, si parla troppo spesso nei media di rischio della “fine delle sale”, come se fosse una scelta binaria, tra la morte di tutte le sale o la vita di tutte le sale. Ma non è ovviamente così: la vera scelta è tra quante (e quali) sale sopravviveranno e quante invece non ce la faranno. E’ facile dire che la percentuale di sale che rimarranno in piedi in Francia sarà superiore a quella che ce la farà in Italia, anche per il semplice fatto che in Francia ormai si sta intorno al -20% di calo rispetto al 2019 e da noi (a parte l’eccezione giugno) siamo sicuramente su una flessione maggiore. Ma le differenti percentuali saranno frutto di tante scelte e tra queste anche i contributi pubblici.

Di sicuro, le sale stanno già chiudendo. Basti guardare i dati degli schermi in funzione negli ultimi mesi. Per le feste di Natale, abbiamo raggiunto il picco, con 3.200 schermi aperti (comunque numero decisamente inferiore ai 3.600 circa del prepandemia). Da lì, causa la situazione sanitaria che si è complicata, si è arrivati a un minimo di 2.935 nella settimana 7-13 febbraio. C’è poi stata una risalita a circa 3.100 schermi a fine marzo. Ma la situazione al momento ha visto solo 2.089 schermi aperti nello scorso venerdì, mentre erano 2.307 venerdì 24 giugno. Va detto che tutti questi schermi che mancano rispetto a Natale non sono necessariamente chiusure definitive, anzi (da quello che so) buona parte di queste sono strutture che non hanno necessità di utilizzare tutti gli schermi che avrebbero a disposizione (d’altronde, con una scarsità di prodotto di buon livello, è una strategia ragionevole). Ma in ogni caso il sistema così non regge, perché se una multisala ha 15-20 schermi e non li utilizza, dovrà prima o poi ragionare sulla propria esistenza (almeno, convertendo alcune sale ad altre attività).

Insomma, si può far finta che si possano salvare tutte le sale, per non si sa bene quale miracolo. Ma anche se fosse, è un bene mantenere in vita artificialmente sale che non ce la fanno e che non sono in linea con gli standard di mercato che il pubblico richiede? Perché, tocca dirlo, come in tutte le categorie professionali, ci sono esercenti molto bravi, bravini, decenti e mediocri (o qualcuno, semplicemente, si trova in piazze complicate e che magari già faticavano prima della pandemia, anche per loro colpa). Accade lo stesso con i distributori, con i produttori e in generale con i film/prodotti audiovisivi. Nulla di male, succede. Ma questo non significa voler trattare tutti nello stesso modo, dimenticando ogni principio meritocratico.

In effetti, se con risorse limitate si cerca di salvare tutti, si rischia poi di fare anche più vittime. Dovremmo iniziare invece a pensare: ma se anche riusciamo a salvare questo cinema nei prossimi mesi grazie all’intervento pubblico, è in grado di tornare a reggersi sulle proprie gambe in futuro? E, meglio ancora, è auspicabile che questa sala rimanga in vita e sarà in grado di soddisfare gli spettatori che ci andranno? Se la risposta è presumibilmente no, allora conviene utilizzare le risorse e concentrarsi su chi invece può fornire una risposta affermativa (una risposta affermativa che, a scanso di equivoci, ritengo possa arrivare da una grande maggioranza di cinema ed esercenti).

Si badi bene: qui non si tratta di scegliere se salvare tutti o salvare qualcuno. Ovvio che se fosse così semplice, anch’io propenderei per salvare tutti (anche solo per interesse del nostro settore). Ma la realtà è che le risorse sono limitate e che se le spendi in cause perse, poi non le spendi (almeno, non la quantità che potresti) per situazioni che potrebbero funzionare. Per esempio, è vero che ci sono risorse pubbliche destinate alla ristrutturazione delle sale o anche alla creazione di nuove e a breve dovrebbero essere annunciati ulteriori interventi. Ma in un momento del genere, in cui è anche difficile capire la quantità di prodotto che arriverà nei prossimi anni nei cinema (e se il pubblico tornerà), non è facile per un imprenditore privato investire somme ingenti, giusto? E quindi sarebbe opportuno alzare gli incentivi, vero? Ma a quel punto quei soldi in più da qualche parte bisognerà prenderli, no? Insomma, la coperta è corta e decidere come deve essere utilizzata al meglio è fondamentale (senza considerare che, nel giro di un anno, potrebbe cambiare il governo ed eventualmente anche alcune scelte). Io rispetto chi pensa che si debba sostenere tutti, ma non penso che questa strada, alla lunga, porti i migliori benefici (così come credo che uno dei grossi problemi del nostro settore attualmente sia il sostegno enorme a tutti i produttori, anche quelli che fanno film sempre invisibili, ma questo è un tema che meriterebbero un articolo a parte).

C’è una cosa che ho notato recentemente: sempre più persone (appassionate di cinema e che lo consumerebbero molto volentieri in sala) sono insoddisfatte dell’esperienza cinematografica. D’altro canto, a ogni convegno e in tante interviste di addetti ai lavori, c’è sempre qualcuno che sostiene quanto sia fondamentale insegnare il cinema a scuola. Quindi, da una parte scontentiamo/trascuriamo il pubblico che il cinema lo vuole vedere in sala, dall’altra cerchiamo disperatamente di ‘convertire’ chi magari non è interessato. Ditemi voi qual è la logica.

Infine, vorrei ricordare quello che ha detto l’imprenditore Leonardo Del Vecchio (Luxottica), recentemente scomparso, a dicembre dello scorso anno a Federico Fubini de Il Corriere della Sera: “Oggi abbiamo un’opportunità unica e irripetibile di trasformare questo Paese”. Concordo e questo vale anche per il nostro settore. Ma abbiamo voglia di farlo? O l’obiettivo è salvare quello che già esiste, indipendentemente dal suo valore?

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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