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Si producono troppi film pagati interamente dallo Stato?

Un articolo de La Stampa sostiene tesi forti sui problemi del cinema italiano. Ma con dati e informazioni che non convincono…

Non c’è dubbio che tutto quello che riguarda il theatrical stia vivendo un momento complicato e che alcune cose non stiano funzionando come dovrebbero. Tuttavia, certe volte sui mass media tradizionali escono degli articoli che, partendo da problemi reali, forniscono un quadro della realtà che presenta ipotesi non perfettamente centrate e in grado di creare equivoci che ritengo pericolosi.

Prendiamo, per esempio, l’articolo di Fabrizio Accatino per La Stampa, che ovviamente, dopo essere finito su Dagospia (lo trovate qui), è diventato virale.

Si parte da un problema che è indiscutibile: c’è una grande offerta di film cinema italiani, ma c’è una bassa domanda da parte del nostro pubblico. Da qui però l’autore parte per alcune considerazioni discutibili, citando anche numeri e regole che non corrispondono a dati e norme che conosciamo. Andiamo in ordine, citando i punti in questione e commentandoli uno per uno:

“Perché negli ultimi dodici anni i titoli prodotti in Italia sono davvero più che triplicati: nel 2010 erano 141, nel 2021 sono stati 481. Di questi ultimi, in sala ne sono usciti solo 153, pari al 43% dei titoli usciti (ma soltanto al 21% degli incassi)”

Intanto, ho un grosso problema a capire come si è arrivati al numero di 481 film prodotti in Italia nel 2021 e in generale negli ultimi anni non c’è stata questa escalation enorme di cui ogni tanto si parla. Questi infatti i dati ufficiali che ci ha girato la Direzione generale cinema e audiovisivo, divisi per gli ultimi tre anni e per tipologia di lungometraggio (documentario o fiction):

Come si può vedere nell’infografica sopra, nel 2021 sono stati prodotti 313 film italiani, contro i 252 del 2020 (anno ovviamente complicato dal primo lockdown, che per mesi ha impedito qualsiasi tipo di produzione) e i 325 del 2019. Inoltre, se si prende come riferimento il 2019, si vede che la differenza per quanto riguarda i film di fiction è ancora maggiore (186 nel 2021, 203 nel 2019). Insomma, difficile capire perché si parla di 481 film, è possibile che ci si riferisca alle richieste di tax credit fatte al Ministero (ma che poi non equivalgono automaticamente a film prodotti e comunque non necessariamente nell’anno della richiesta di tax credit) o ai film italiani che compaiono nelle classifiche Cinetel del 2021. Questa seconda ipotesi mi sembrerebbe strana, ma curiosamente in quell’anno sono arrivati in sala 482 titoli italiani, cifra pressoché identica a quella citata. Ma, ovviamente, non si trattava solo di nuove produzioni, qualsiasi film italiano di qualsiasi anno viene conteggiato, anche solo per una proiezione in una sala monitorata dal Cinetel. Comunque sia, meglio rivolgere la domanda all’autore dell’articolo e non scervellarsi troppo.

In ogni caso, si può anche sostenere che 313 film cinema (di cui 186 di fiction) siano troppi per la domanda che viene dal pubblico, ma a quel punto ci si chiede: è una questione numerica di film prodotti? O dipende dall’interesse che ha il pubblico per quei specifici titoli prodotti? In Francia, per esempio, nel 2021 sono stati prodotti 340 titoli per la sala e hanno generato 38 milioni di biglietti staccati e una quota di mercato del 40,6%, ben diversa da quella nostra nello stesso anno, che era di circa il 21% (e con 5,2 milioni di ingressi, poco più di un ottavo di quello che facevano i nostri cugini). La Francia (ricordiamolo, 63 milioni di abitanti, praticamente uguale all’Italia) dimostra che 340 film non sono un problema di per sé, dipende evidentemente da cosa viene prodotto, piuttosto che da quanto. Andiamo avanti.

“Perché allora in Italia si produce così tanto se poi si incassa così poco, a volte senza nemmeno uscire in sala? La risposta è nel sistema di incentivi pubblici, fondi e crediti d’imposta, che nel nostro Paese consentono all’opera di ripagarsi prima ancora di uscire”

Qui la questione è molto più complessa, ma scritta così, sembra che qualsiasi film viva solo ed esclusivamente di soldi pubblici, mentre il privato non fa nulla. Intanto, ricordiamo che di base i film non possono avere finanziamenti pubblici per più del 50% del loro budget, a meno che non siano “film difficili”. Queste le caratteristiche per essere considerati film difficili:

a) documentari*;
b) opere prime o seconde*;
c) opere di giovani autori*;
d) cortometraggi*;
e) opere di animazione che siano state dichiarate, dagli esperti di cui all’articolo 26, comma 2, della legge n. 220 del 2016, non in grado di attrarre risorse finanziarie significative dal settore privato;
f) film che abbiano ottenuto i contributi selettivi di cui all’articolo 26 della legge n. 220 del 2016 e che siano stati dichiarati, dagli esperti di cui all’articolo 26, comma 2, della legge n. 220 del 2016, non in grado di attrarre risorse finanziarie significative dal settore privato;
g) opere con un costo complessivo di produzione inferiore a euro 2.500.000*;
h) film che siano distribuiti, in contemporanea, in un numero di sale cinematografiche inferiore al 20 per cento del totale delle sale cinematografiche attive e che siano stati dichiarati, dagli esperti di cui all’articolo 26, comma 2, della legge n. 220 del 2016, non in grado di attrarre risorse finanziarie significative dal settore privato.

*NB. I requisiti di cui alle lettere a), b), c), d) e g) sono detti “requisiti oggettivi/intrinseci”: se l’opera possiede almeno una di queste caratteristiche la qualifica di opera difficile è attribuita direttamente.

Non c’è dubbio che, ultimamente, ci sia stato un numero rilevante di “film difficili”, quindi a budget inferiore a 2,5 milioni. Tuttavia, il fatto di poter superare la quota del 50% di contributi pubblici, non significa automaticamente che quei titoli ci riusciranno (per esempio, non si vede perché le film commission dovrebbero investire cifre enormi su titoli a basso budget, che magari faranno poche settimane di ripresa sul territorio e che verranno visti da quattro gatti, dando vita quindi a una promozione turistica nulla).

In ogni caso, da altri dati che ci ha presentato la Direzione generale cinema e audiovisivo, nei loro calcoli complessivi per il 2021, la ‘torta’ completa dei costi per produrre i film cinema presi in considerazione vede una quota vicina al 50% di investimenti privati, che si tratti di broadcaster (Rai, Mediaset, Sky), piattaforme o anche di soldi che i produttori indipendenti anticipano, ma che ritengono di recuperare da vendite in alcuni sfruttamenti. Si potrebbe quindi dire che il cinema italiano sta vivendo una felice congiuntura, fatta di contributi pubblici importanti e di grandi investimenti privati, soprattutto da parte delle piattaforme.

Va anche detto che la frase scritta da Accatino “Questo fa sì che sul cinema italiano a rischiare del suo sia rimasto soltanto lo Stato, mentre per il produttore i film è sufficiente girarli” potrà anche essere per lo più corretta per quanto riguarda la produzione dei film, ma non tiene conto dei rischi d’impresa di un produttore legati alle sue spese generali (dipendenti, costi della sede e tante altre voci che non riguardano direttamente il film in questione). Inoltre, va anche ricordato che un produttore si fa carico di trovare (attraverso le banche) i soldi necessari per la realizzazione del prodotto, soldi che poi in varie scadenze rientreranno (per i diritti free, anche 24 mesi dalla prima uscita in sala), ma che comunque il produttore anticipa. Senza considerare i rischi che ci siano ritardi nelle riprese o in generale spese supplementari, che in questi due anni di Covid non sono certo situazioni rarissime.

“Gli interessi incrociati degli operatori di mercato hanno creato uno stallo alla messicana che la nostra deregolamentazione normativa (unica in Europa) non contribuisce a risolvere”.

Qui, considerando anche come va avanti l’articolo, credo che l’autore si riferisca alle window, ma se fosse così non vedo proprio come si possa parlare di “deregolamentazione normativa unica in Europa”, visto intanto che l’unico Paese in cui le finestre sono regolate per legge è la Francia e che comunque, per i film italiani che escono in più di 80 copie, ormai c’è una window di 90 giorni (tecnicamente, se il produttore uscisse su altri sfruttamenti prima di quel periodo, perderebbe tutti i contributi pubblici ottenuti).

Comunque, che si parli delle window mi pare molto probabile leggendo il paragrafo seguente dell’articolo:

Fortunatamente, sono sempre di più gli autori che si stanno pronunciando contro questa situazione. L’ultimo in ordine di tempo (ma non è la prima volta) è stato Nanni Moretti, […] che osserva: «In altri paesi come la Francia c’è una finestra di uscita tra i cinema e le piattaforme, una distanza di quindici mesi, mentre in Italia questo periodo è pari a zero. Ci vuole un clima e delle leggi che aiutino i film in sala».

Qui posso capire l’intenzione positiva di Moretti nel voler sostenere una window normata anche per i film stranieri, ma temo che con queste dichiarazioni si generi molta confusione negli spettatori, che potrebbero pensare “tanto questo film italiano che adesso è al cinema tra due settimane finisce su Amazon”. In ogni caso, l’autore dell’articolo avrebbe potuto specificare questo possibile equivoco nelle parole di Moretti.

“Inoltre, passato il 2020, l’anno più nero dell’emergenza Covid, nel 2021 i numeri sono migliorati per tutti, dal +10% della Germania al +68% della Gran Bretagna. Per tutti tranne che per l’Italia, dove l’emorragia di spettatori ha registrato un ulteriore -12%”

Va sottolineato come il confronto 2021/2020 sia negativo per via dell’enorme successo in sala che c’era stato nell’inizio del 2020, quando la quota italiana a gennaio e febbraio era stata del 62,6% (sì avete letto bene, 62,6%), a dimostrare che i film da botteghino prima della pandemia li sapevamo fare. Ancora:

“Tutte le volte si è cantata la rinascita del cinema italiano, glissando sul fatto che quei picchi coincidevano regolarmente con l’uscita dei film di Checco Zalone, la più classica delle rondini che non fanno primavera”

Qui siamo nel campo delle opinioni, assolutamente legittime, ma dico la mia, che mi ricordo aver già scritto diversi anni fa di fronte a critiche simili, per cui il cinema italiano senza gli incassi di Zalone sarebbe stata poca cosa. Intanto, non ho capito perché Zalone vada tolto dai dati come se fosse un’anomalia, visto che invece è il risultato evidente di una politica di produzione italiana che da quarant’anni (con i vari Benigni, Verdone, Troisi e altri) si mette a cercare talenti comici in televisione e li lancia con grande successo al cinema. E’ un sistema, non una questione di fortuna e i produttori che ci riescono dovrebbero venire esaltati. In ogni caso, anche senza Zalone i primi due mesi del 2022 avrebbero portato più di 45M dal cinema italiano e una quota di circa il 31%, grazie ai successi di Me contro te Il film – La vendetta del Signor S (9,5M), Odio l’estate (7,3M) e Hammamet (5,7M), solo per citare tre titoli che hanno funzionato molto bene.

“Quella stessa logica del volto famoso ha spinto ultimamente le produzioni a imbarcare nel cast anche personalità televisive e cantanti, anche quelle in grado di «fare punteggio» quando si tratta di accedere ai sostegni pubblici”

Qui sono sinceramente confuso. Forse, Accatino si riferisce a un vecchio ‘reference system’, per cui alcuni attori valevano un punteggio (per esempio, per i premi vinti). Ma questo sistema non c’è più ormai da diversi anni, quindi nessun attore (che sia un veterano del grande schermo o una personalità televisiva) genera più un punteggio che aumenta le possibilità di ricevere i sostegni pubblici.

“Tra i criteri richiesti dai bandi ci sono poi i temi sociali e civili, che gli sceneggiatori finiscono per infilare dappertutto. Sono i famosi film Mibact (oggi Mic), da tempo oggetto di ironie”.

E’ curioso, perché la definizione di “film Mibact” l’ha inventata Andrea Minuz, che adesso è uno dei selezionatori che deve decidere quali progetti sono meritevoli di finanziamento. Si presume quindi che, rispetto all’epoca (si cita una dichiarazione di Tarantino del 2007), il film Mibact (ammesso che esista) non ci sia più (o almeno sia molto diverso), altrimenti chi ci ironizzava adesso avrebbe aderito a quel ‘paradigma’ (che esistesse o meno). Vero comunque (e l’ho sottolineato anch’io) che i produttori sviluppano tanti progetti ‘sociali’ e ‘da festival’, ma è anche ovvio che i selezionatori del MIC si ritrovino a dover giudicare quello che arriva e di non poter influire su quello che vorrebbero.

Insomma, per l’ennesima volta (mi ricordo ancora una celebre puntata di Report), ho l’impressione che si voglia generare polemiche su problemi effettivamente esistenti, ma che dovrebbero essere trattati con maggiore cura. E, soprattutto, sono sempre più convinto che la nostra industria dovrebbe lavorare molto sulla comunicazione in merito, in modo da non sembrare sempre agli occhi della gente i soliti parassiti. Peraltro, in un anno che ha visto l’utilizzo scandaloso e truffaldino di tante risorse destinate al tax credit edilizio, non mi pare certo che sia il cinema italiano a doversi vergognare, anzi…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.

2 thoughts on “Si producono troppi film pagati interamente dallo Stato?

  1. Articolo veramente pretestuoso che vuole criticare sul nulla la realtà descritta né La Stampa. La verità è che nel 2021 sono stati spesi più di 1 miliardo di euro in fondi perché non esiste un tetto massimo. La verità è che si sono film che tra tax credit e fondi regionali arrivano anche all’80% del budget. Paghiamo 9 euro al mese di canone Rai e poi i prodotti Rai hanno altissimi finanziamenti regionali. Questo ha ucciso la nostra industria. Io sono contrario a ogni forma di assistenzialismo, soprattutto quello cinematografico, e soprattutto in questo momento con tutte queste piattaforme a pagamento. Speriamo che la destra elimini questi fondi, ma dubito.

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