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Quanto incide il Covid sull’andamento del box office in Italia? Troppo

Diamo uno sguardo alla correlazione tra casi attivi di Covid e ingressi nelle sale da dicembre 2021 a marzo 2022

All’inizio del mese di dicembre, i casi Covid “attivi” in Italia erano circa 200.000. L’indicatore in questione è uno dei meno divulgati, con la comunicazione pandemica che ha sempre enfatizzato molto di più il dato dei nuovi contagi e quello dei decessi, con i relativi trend. Gli “attualmente positivi” sono meno “ballerini” rispetto ai “nuovi contagi” perché il dato tiene conto del saldo rispetto ai guariti e mostra il risultato “netto”, che esprime il numero di Italiani che in un determinato giorno risultano positivi al Covid (con tutto quello che ne consegue). Chiaramente i positivi non sono nelle condizioni di alimentare le varie declinazioni dell’intrattenimento extra-domestico (cinema incluso), e si può stimare che, fra positività non dichiarate ed effetti dell’isolamento di contatti stretti, gli italiani “bloccati” siano di volta in volta il doppio o il triplo rispetto agli “active cases” del momento. Rimane il fatto che, anche considerando questi moltiplicatori, 200k positivi siano percepiti come relativamente pochi, e questo ha consentito alle admissions delle prime 3 settimane di dicembre di crescere con una progressione tipica del mese in questione, sebbene con una distanza ancora importante rispetto al pre-pandemic. La settimana di uscita di Spider Man: No Way Home ha trainato il picco di metà dicembre, ma nella settimana successiva sono accadute due cose:

  1. l’annuncio di un’ulteriore stretta nei già rigidi protocolli per la frequentazione delle sale cinematografiche (mettendo in circolo anche l’ipotesi, mai tradotta in atto, dell’obbligo di tampone anche per i vaccinati con booster);
  2. l’avvio di un incremento degli “attualmente positivi”.

Il crollo del box office nella settimana di Natale è figlio più dell’annuncio delle misure che dell’effettivo incremento degli active cases. La coda lunga di Spider Man e le nuove uscite della prima settimana di gennaio hanno solo momentaneamente frenato la discesa, stabilizzatasi nell’intorno del milione e mezzo di ingressi, ma dalla seconda settimana di gennaio la crescita della curva degli active cases ha preso a galoppare, con quella delle admissions in piena correlazione inversa, in caduta libera fino al picco negativo segnato dalla settimana di Sanremo, che ha dato un motivo in più per stare a casa, sebbene il dato degli attualmente positivi avesse raggiunto il suo picco (circa 3 milioni) la settimana precedente.

Nell’interpretare la curva del box office presente sul grafico bisogna tenere conto anche dei molti film previsti tra gennaio e febbraio che sono stati rinviati. La curva pandemica e le sue ricadute emotive hanno influenzato gli incassi del periodo sia direttamente che indirettamente causando l’assenza di prodotto. Parliamo di titoli come Morbius (arrivato in questi giorni), Spencer (uscito lo scorso weekend), Licorice Pizza e Corro da te (usciti due weekend fa), Il sesso degli angeli (21 aprile), Vicini di casa e Tre di troppo (questi ultimi due ancora senza collocazione nel calendario).

La velocità del calo degli attualmente positivi ha favorito la ripresa delle admissions, pur con un’altalena (nella settimana dal 24/02 al 02/03) che ci ricorda che anche il mix delle nuove uscite gioca sempre un ruolo importante, con Belfast che non può certo fare il lavoro di Uncharted prima e di The Batman poi, ed ancora meno può fare Ritorno al crimine di fronte alla ripresa dei contagi che, ripotando gli active cases sopra il milione, vede una netta flessione degli incassi, né la situazione migliora la settimana successiva, nonostante Corro da te e Licorice Pizza (ma con active cases oltre quota 1,2 milioni).
I macro-trend del periodo che va dall’inizio di dicembre 2021 alla metà di marzo del 2022 sono comunque all’insegna di una fortissima correlazione negativa fra il dato degli “attualmente positivi” al Covid e gli ingressi al cinema: la salita del primo indicatore si lega alla discesa del secondo. “Grazie al Covid!” dirà qualcuno (spesso con un tono alla “estiqaatsi” di lilloegregghiana memoria).

In realtà una correlazione così “perfetta” è stata nutrita da un’informazione ossessivamente incentrata sull’andamento della pandemia, che ha reso gli italiani perfettamente consapevoli delle dinamiche in atto, come rilevato con cadenza settimanale da Ergo research nell’ambito di una ricerca denominata Pandemic Deep Dive commissionata da Universal Pictures Italia.
All’inizio di dicembre, gli italiani si sono mostrati molto sensibili già di fronte ai primi accenni di crescita della curva degli “attualmente positivi”, con un percepito di peggioramento che accomunava circa la metà dei moviegoer e che, insieme a chi evidenziava una stabilità (critica), ha visto un picco proprio nel periodo pre-natalizio, in coincidenza dell’annuncio delle nuove restrizioni.
L’elemento incoraggiante è che il “picco pandemico percepito” è arrivato prima del picco effettivo, con una sostanziale flessione del segmento che riteneva la situazione “peggiore” già nella prima metà di gennaio.

Questa percezione non ha “scaricato” sul box office, che ha continuato a scendere nonostante la percezione di una situazione già “non peggiore” stesse facendo spazio fra gli spettatori. Da quel momento in poi la curva delle admissions e quella del percepito del peggioramento viaggiano insieme e questo, apparentemente, ribalta il quadro. In sostanza, se la percentuale di quelli che ritengono che la pandemia stia peggiorando scende, ci si dovrebbe aspettare una risalita degli ingressi.

Perché non è accaduto?

Le possibili spiegazioni sono almeno due:

  1. la prima può avere a che fare con l’inerzia: se “mi spavento” mi blocco subito, mentre fra l’iniziare a rilassarsi ed il modificare i propri comportamenti passa sempre del tempo;
  2. la seconda si lega all’ipotesi che se un mercato non riprende quando la domanda si “scongela”, forse una parte della responsabilità è ascrivibile all’offerta.

Una delle cose che stiamo imparando all’analisi sulle dinamiche del mercato theatrical in Italia è che gli “annunci” hanno pesanti conseguenze sui comportamenti.
Il mercato natalizio è stato bloccato dall’annuncio di un inasprimento dei protocolli (peggiore di quello poi tradotto in atto) prima ancora che l’incremento degli “active cases”, comunque già in atto, accelerasse verso il picco. Con la curva ancora in forte crescita, gli spettatori hanno comunque maturato il convincimento che presto sarebbe arrivata la discesa, ma i distributori si sono (comprensibilmente) spaventati, ed ecco il secondo “annuncio”: quello degli spostamenti di alcune uscite importanti del periodo gennaio-marzo.
È altrettanto probabile che anche in relazione alle uscite di gennaio, febbraio (e marzo) rimaste in calendario la pressione comunicazionale si sia alleggerita (anche questo è comprensibile), abbattendo ulteriormente la conversione.

Tornando dunque alla correlazione negativa fra andamento degli “attualmente positivi” ed ingressi in sala (se i primi salgono i secondi scendono), viene il sospetto che ad alimentarla siano più le dinamiche dell’offerta (che ha tirato i remi in barca) che quelle della domanda (che si è rasserenata più velocemente).
Il nuovo turning point diventa la settimana di Sanremo. Da un lato contribuisce a svuotare ulteriormente le sale con un successo di ascolti senza precedenti in tutte le fasce d’età, dall’atra, con il ritorno del pubblico al Teatro Ariston, ha rappresentato in modo esemplare la bellezza di una sala gremita. Un entusiasmante “si può fare!” che ha contribuito a sbloccare il mercato theatrical.
La domanda era già “pronta” ma aveva bisogno di una spinta per vincere l’inerzia; l’offerta si è rasserenata i virtù dell’effettiva discesa dei casi, ed ha potuto contare su un mix di uscite mediamente più forte e diversificato per genere, con un sostegno comunicazionale più convinto.

Siamo comunque di fronte ad un mercato fragile, soprattutto in virtù di una domanda che risponde diversamente all’incremento dei positivi ed alla loro flessione. Di fronte all’incremento dei positivi, la frenata degli ingressi al cinema è forte e sostanzialmente immediata. Il pubblico ha dimostrato anche di sapersi rasserenare abbastanza velocemente, ma non è altrettanto veloce nello “scongelare” la propensione ad andare in sala. Il disinnesco delle due dinamiche passa da fattori diversi.
Inutile dire che, lato Covid, la “speranza delle speranze” è quella di vedere una flessione definitiva dei contagi, ma di fronte a possibili riprese, in un quadro comunque di pericolosità attenuata del virus, il vero auspicio è che il sistema della comunicazione in Italia scelga di de-enfatizzare il sistema di notizie che ruota attorno al Covid, come è sempre stato in Francia (dove questo fattore è sicuramente una delle concause di una ripartenza del mercato theatrical a velocità doppia rispetto a quella italiana).

In sostanza, dal derubricare i contagi (dal punto di vista informativo) potrà derivare il superamento della correlazione “più contagi = meno domanda di biglietti” (e nella nuova fase ascendente i due indicatori tornano a danzare insieme). Quanto alla fase successiva del riguadagnato ottimismo che fatica a riconvertirsi velocemente in biglietti, le leve sono in mano all’offerta, che (anche alla luce di adeguati supporti) deve avere il coraggio di muoversi in una prospettiva anticongiunturale, spingendo sulla comunicazione più di quanto sarebbe ragionevole previsione, allargando i target di riferimento e le creatività per ingaggiarli più di quanto si è soliti fare.
Non si esce dalle sabbie mobili tirando il freno.

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