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Sanremo e cosa può insegnare al cinema italiano

Si è concluso dieci giorni fa – con ascolti record – il Festival di Sanremo. Con qualche lezione importante anche per il nostro settore…

I numeri sono stati assolutamente da record (ne abbiamo parlato esaurientemente su Visioni). Come sempre per ogni grande successo, la cosa migliore che si può fare, è cercare di capire da cosa dipende e magari trarne qualche insegnamento utile.

Partiamo da un assunto reso evidente dal Festival di Sanremo, che magari non sarà vero al 100%, ma ci si avvicina: la televisione lancia delle future star, il cinema italiano quasi mai (al massimo, le consacra). Pensiamo ai maggiori comici italiani attuali, tutti che hanno debuttato e si sono fatti le ossa sul piccolo schermo, magari in tv regionali (talvolta anche a teatro): Checco Zalone (superospite al Festival), Ficarra & Picone, Pio & Amedeo. Stesso percorso anche per comici che hanno iniziato prima: Leonardo Pieraccioni, Carlo Verdone, Roberto Benigni. C’è poi anche chi viene direttamente da Youtube, come i trionfatori di questo periodo pandemico, I me contro te. Anche chi, come Christian De Sica, ha sostanzialmente iniziato in ‘contemporanea’ al cinema e in televisione, ha sicuramente avuto modo di utilizzare l’esperienza sul piccolo schermo per padroneggiare capacità diverse (e De Sica è forse uno dei pochissimi artisti completi italiani, capace di recitare, cantare e ballare ad alto livello, peccato il cinema italiano lo abbia utilizzato in maniera limitata).

In tutti loro c’è una gavetta notevole, ma soprattutto una capacità di destreggiarsi in tanti ambiti diversi, assolutamente fondamentale per poter diventare delle star. Altrimenti, bastassero le capacità artistiche e interpretative, tutti i migliori attori di teatro italiani sarebbero diventati delle stelle.

E quello che manca molto al cinema italiano, è effettivamente uno star system forte. Non credete infatti ai mass media che decantano decine di attori presunte ‘star’ (e centinaia di grandi talenti che lo diventeranno) e che poi quando esce il loro film si rivelano in grado di portare al cinema magari i parenti e poco più. Lo star system italiano, semplicemente, non esiste e lo dimostrano gli incassi dei film. E anche le (poche) star comiche, tanto non sono ‘spendibili’, visto che fanno il loro film ogni 2/4 anni e nient’altro.

E che dire della loro comunicazione? L’intervista media agli attori di cinema di solito è una riflessione sull’esistenza, in cui viene chiesto loro di tutto (e loro sembrano ben disposti a rispondere esaurientemente), dalla politica internazionale ai vaccini, dal sindaco della loro città ai valori delle persone, e in generale serve soprattutto per esprimere la loro filosofia di vita. Ci si potrebbe intanto chiedere perché sono considerati degli esperti in merito (hanno effettivamente delle competenze così ampie?), ma non è neanche questo il punto.

Il punto è che invece non sempre viene chiesto loro di prepararsi un discorso, di promuovere il film coerentemente al marketing dello stesso, insomma di comunicare al meglio il prodotto che si sta lanciando e non la loro intelligenza e cultura. Ho infatti l’impressione che ci sia sempre l’esigenza di ‘nobilitare’ il proprio lavoro e di farlo sentire come più ‘alto’, con l’obiettivo forse di parlare più agli intellettuali dei quartieri bene di Roma e Milano che a un pubblico ampio e nazionale. Tutto il contrario di quello che fa la fiction Rai (o il Festival di Sanremo, appunto), che si ricorda che la popolazione italiana è fatta principalmente di piccole realtà di paese, a cui bisogna saper parlare.

Qualche eccezione a livello cinema c’è. Sicuramente, il più bravo mi pare Pierfrancesco Favino. Matilde De Angelis se la cavava bene, anche prima di salire sul palco di Sanremo nel 2021. Giampaolo Morelli (avendo avuto la fortuna di lavorarci per la distribuzione di Song ‘e Napule) è un altro che si trova a suo agio. Ma tanti altri (e purtroppo lo dico per esperienza diretta) danno l’impressione di soffrire quando si trovano in fase di promozione e che eviterebbero molto volentieri di farla. Anzi, meglio: la trovano qualcosa di estraneo al loro lavoro, un’attività commerciale quasi svilente della loro arte.

Prendiamo due esempi agli antipodi visti a Sanremo. E’ facile dire che Lorena Cesarini non ha ottenuto grandi elogi al festival, a mio avviso più per demeriti di ‘costruzione del suo momento’ che per sue colpe personali. Penso per esempio che – con l’idea di parlare di razzismo – sarebbe stata eventualmente più efficace una Paola Egonu, che avrebbe potuto dirci il modo in cui viene considerata (italiana o di ‘origini africane’) a seconda di quando vince o quando perde con la nazionale (mi sembra che qualcosa del genere lo abbia sottolineato qualche tempo fa l’ex giocatore dell’Inter, il belga Lukaku). Apro poi una parentesi: ho l’impressione che ogni anno ci sia un momento/ospite a Sanremo che non funziona proprio. E ho l’impressione che non sia un problema, anzi sia quasi un genere di ‘prodotto’, l’equivalente di qualcuno che si prende una torta in faccia in una commedia. Fine parentesi. Lasciamo ovviamente perdere le polemiche successive (e le contraddizioni con quanto dichiarato dalla Cesarini solo una settimana prima a un settimanale), perché il problema è proprio alla base: leggere un testo (di autore ‘alto’) ha lo stesso intento didascalico che hanno tanti attori italiani quando comunicano e (per forza di cose) rischia di risultare poco emozionante.

D’altro canto, pensiamo invece ai due momenti di Maria Chiara Giannetta. Uno divertente (e difficilissimo da imparare ed eseguire così bene), l’altro commovente. A dimostrazione che si possono fare cose molto diverse e questo dovrebbe essere un requisito essenziale per chi è un attore. Ma anche che troppo spesso il nostro cinema ha paura dei sentimenti: sarà un caso invece che i due registi/autori di maggiore successo emersi negli ultimi venti anni da noi, Gabriele Muccino e Ferzan Ozpetek, puntano moltissimo sui sentimenti e le emozioni nei loro film (cosa che, peraltro, talvolta non ha portato loro grandi consensi critici)?

Altro aspetto da sottolineare. Il festival di Sanremo quest’anno ha catturato anche i giovani. Probabilmente, sarà anche per via di alcuni artisti (tra cui i vincitori Mahmood e Blanco) molto popolari in questa fascia di età, ma è evidente che si è riusciti nell’impresa di portare un prodotto spesso visto come “per vecchi” a un pubblico anche di adolescenti/post adolescenti (che magari sono anche quelli che hanno portato a ottenere ottimi numeri su Rai Play).

E se è vero che i giovani sono i maggiori consumatori di cinema, è vero anche che magari preferiscono il prodotto americano. Di sicuro, alcune scelte del cinema italiano non aiutano. Avete notato che spesso, anche quando le storie riguardano degli adolescenti, il punto di vista principale è quello di un adulto (di solito, un genitore)? Forse, non è la maniera migliore per andare a prendere i ragazzi.

Inoltre, una cosa che ho sempre notato, è quanto sia attori che registi parlino spesso con disprezzo dei social. Opinione legittima, per carità (e che non manca di fondamenti reali), ma che certo non aiuta a creare un ponte con una generazione che guarda costantemente il proprio cellulare (ma a dire il vero, non è che tanti adulti siano diversi).

E questo pone anche dei dubbi ‘logici’: se i social non li usi, puoi sicuramente raccontare di come sfrutti il tuo tempo libero in maniera che ritieni essere più ‘proficua’. Ma di sicuro non puoi fare grandi dissertazioni su come funzionino, visto che (banalmente) magari non li hai neanche mai testati. E questa ‘distanza’, questo atteggiamento di superiorità, di sicuro non porta risultati positivi…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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