You are here
Home > Analisi > I numeri delle piattaforme: Netflix (Seconda parte)

I numeri delle piattaforme: Netflix (Seconda parte)

Proseguiamo la nostra analisi della regina dello streaming, oggi concentrandoci più sui contenuti e cosa ci aspetta nei prossimi anni…

Come promesso, ecco la seconda parte dell’analisi su Netflix, quella più concentrata sui contenuti. Tuttavia, dopo quello che è successo la scorsa settimana, impossibile non iniziare da questa grafica che mostra il calo delle azioni di Netflix:

Il titolo in borsa negli ultimi due mesi aveva già cifre consistenti, passando dai 691 dollari del 17 novembre ai 530 dollari del 10 gennaio, con un calo superiore al 20%. Con la brusca flessione di venerdì 21 gennaio e l’ulteriore calo di lunedì 24 gennaio (giornata in cui il titolo è sceso addirittura a circa 350 dollari, per poi risalire a 387 dollari), il calo è superiore al 40%. Questo è un aspetto fondamentale, perché se nei prossimi mesi le quotazioni non risalissero, non mi sentirei di escludere che ci possano essere (magari a fine 2022) dei cambiamenti, come una riduzione dei costi per la creazione/acquisto di contenuti (cosa che già era nell’aria) o magari nuovi rincari dei prezzi dell’abbonamento. Ma ora, procediamo con l’analisi…

La comunicazione
Da qualche mese, come ben sanno i lettori della rubrica Visioni, Netflix diffonde settimanalmente una notevole quantità di dati, tra cui le ore viste delle migliori 10 serie e film in lingua inglese e non inglese, così come le top 10 di tutti i Paesi in cui è presente (anche se, in questo caso, non vengono fornite informazioni sulle ore viste). In questo modo, Netflix
mette pressione sugli altri concorrenti, che ovviamente non avendo assolutamente questo numero di abbonati (la migliore in assoluto, Disney+, ne ha poco più di metà, mentre una realtà come Amazon Prime Video – che ovviamente non possiamo considerare una piattaforma ‘pura’, visto che fa parte di una serie di servizi più ampia – anche se potrebbe vantare un gran numero di abbonati, non vede i suoi utenti utilizzare il servizio con la stessa frequenza che avviene per quelli di Netflix), rischia di mostrare un divario notevole e quindi si preferisce non diffonderli. Non è un caso che i competitor non comunichino dati precisi sugli ascolti di nessun titolo, che al massimo arrivano un mese dopo grazie a Nielsen. In questo modo, gli addetti ai lavori possono avere delle conversazioni importanti ogni settimana sui prodotti Netflix, molto meno su quelli degli altri.

Le produzioni originali
Per quanto riguarda i contenuti, personalmente ritengo che si possano dividere in ‘due categorie’. Prodotti (film o serie) dai costi importanti. E tutto il resto. Nel primo caso, parliamo magari di film come Red Notice (con tre grandi star hollywoodiane) e Don’t Look Up (dove le star sono anche di più), così come di serie che alle spalle hanno grandi showrunner (o creatori di storie), che hanno siglato ricchi contratti con Netflix. I risultati possono variare molto, dal grande successo di Bridgerton di Shonda Rhymes (miglior risultato di sempre per una serie in inglese sulla piattaforma e che in assoluto si ritrova dietro soltanto a Squid Game), alla serie cancellata dopo una sola stagione di Mark Millar Jupiter’s Legacy.

Il resto (che è – numericamente parlando – la stragrande maggioranza dei prodotti e che rendono quello di Netflix un archivio di grande profondità) permette di fare centinaia di scommesse a costi limitati. Sicuramente, tante di queste ‘scommesse’ non vanno a buon fine e si concludono con risultati mediocri, che comunque danno vita a una ‘coda lunga’. Ma tra questi, ci sono i grandi successi a sorpresa, come i film The Kissing Booth 2 o lo spagnolo Il buco (entrambi nelle rispettive top ten di tutti i tempi).

E nessuno si attendeva ovviamente i risultati straordinarie di serie/miniserie come 13 o Maid. Ma dove forse conviene soffermarsi un po’ di più, è nelle serie in lingua non inglese. Trovare per esempio una serie già prodotta (e terminata) dalla tv spagnola come La casa di carta e renderla il prodotto ‘non inglese’ di maggiore successo di sempre… almeno fino a quando non è arrivata Squid Game, che ha cambiato tutti i parametri di quello che consideriamo una serie streaming di grande successo, visto che ha ottenuto più del doppio di Bridgerton.

Qui, il fatto che Netflix sia ormai da tempo disponibile in 190 Paesi in tutto il mondo, fa la differenza e permette di sfruttare al massimo ogni potenziale successo, che parte magari bene su scala continentale e poi esplode in tutto il mondo (lo stesso Squid Game nelle prime due settimane di sfruttamento non aveva ottenuto risultati strabilianti negli Stati Uniti).

E’ ormai evidente che la guerra dello streaming si farà sui contenuti nazionali e quanto funzioneranno all’estero (basti dire che dal 2018 in poi, il 90% dei nuovi abbonamenti a Netflix è arrivato fuori dai territori nordamericani), con Corea del Sud e Spagna che in questi anni sono diventati delle superpotenze. E l’Italia? E’ interessante come, dopo un primo periodo di prodotti che chiaramente non hanno sfondato (con l’eccezione sicuramente di Suburra e Baby), in questi ultimi mesi ci sono stati diversi titoli che hanno funzionato a livello mondiale, non solo E’ stata la mano di Dio (comunque una produzione di alto livello economico per l’Italia), ma anche e soprattutto due titoli come Yara e 4 metà. Inoltre, due serie come Incastrati e Strappare lungo i bordi, probabilmente non sono mai finite in qualche top ten mondiale solo per la loro breve durata, ma sono state sicuramente molto viste nel nostro Paese.

In generale, penso che le produzioni Netflix partano spesso da un obiettivo che non vediamo molto nel cinema italiano, ossia quello di trovare un target preciso, prima ancora che fare un ‘bel’ prodotto. Penso, per esempio, alla recente serie Sex/Life. E poi, sono sempre ammirato dalla capacità di rendere prodotti di nicchia (e poco costosi) come i documentari qualcosa di enormemente commerciale, partendo dal fenomeno Making a Murderer e arrivando all’enorme successo durante la pandemia, Tiger King.

Certo, è ovvio che noi ci concentriamo spesso (anche per i dati che fornisce Netflix stessa) solo sui titoli che funzionano bene/benissimo. Non c’è dubbio che ci siano tanti prodotti che ottengono risultati bassi e poco significativi, ma in sostanza questo è proprio il modello Netflix (ben diverso da quello che poteva essere la HBO dei tempi d’oro, grandi scommesse su pochi titoli di qualità, con grandi vittorie, ma anche pesanti sconfitte).

Cosa cambierà?
E’ chiaro, da alcune interviste ai responsabili di Netflix, che mentre sulla serialità non c’è una gran voglia di cambiamenti, sulla parte ‘film’ invece si lavorerà per effettuare alcune modifiche. Come ha sottolineato lo stesso Ted Sarandos, la società “ha iniziato a realizzare dei film con budget importanti solo tre anni fa”.

Il responsabile globale dei film, Scott Stuber, ne ha parlato recentemente al New York Times, facendo capire la direzione che si sta prendendo. “Ritengo che una giusta critica che ci viene fatta, è che realizziamo troppi prodotti e che pochi sono di alto livello. Quello che vogliamo fare, è realizzarne un po’ meno, ma migliorarli”. In effetti, Netflix dichiara di aver fatto 90 film nel 2021, ma in realtà, come abbiamo capito da un precedente annuncio (in cui era inserito un solo titolo italiano, E’ stata la mano di Dio, a fronte invece di una produzione tricolore molto più ampia) i titoli reali sono decisamente di più e comprendono moltissime produzioni locali.

Ma non sarà solo una questione numerica, visto che si punterà molto su prodotti PG-13, adatti a tutti, e magari in grado di dar vita a dei franchise di successo. E Stuber, a luglio dello scorso anno, ha diviso in due la sua squadra commerciale che si occupa di film, chiedendo a questi gruppi di passare maggior tempo a stretto contatto con i realizzatori per realizzare prodotti migliori.

In generale, si spenderà di meno? Più che altro, mi sento di dire che sta finendo la corsa a spendere sempre di più e che, così come Netflix non si fa problemi ad aumentare i prezzi dell’abbonamento in un Mercato maturo come quello nordamericano, probabilmente a un certo punto cercherà di ridurre i costi per i contenuti, arrivati del 2021 a oltre 17 miliardi di dollari.

Di sicuro, anche sul fronte europeo, si continuerà a investire su produzioni (e registi) importanti, come dimostra anche questa recente intervista a David Kosse, Vice President of International Film nella società, e che supervisiona la produzione e le acquisizioni di film internazionali, con grande attenzione ai titoli in lingua non inglese. Sarà fondamentale, ovviamente, quali nazioni otterranno i risultati migliori e – quindi – avranno a disposizione ricchi budget complessivi, come avviene adesso per la Corea del Sud. E’ qui che si gioca una partita fondamentale per lo streaming…

Lo sport
Netflix sta sicuramente investendo nello sport… ma non come di solito si investe nello sport. Stiamo parlando della ‘merce’ che ha fatto la fortuna delle pay tv, grazie alla sua peculiarità, la necessità di essere vista in diretta (e che ha sicuramente frenato la pirateria). Netflix, a differenza di realtà come Amazon (che ha investito ultimamente nella Champions League di calcio, ma anche nella Major League Baseball, non sembra al momento intenzionata a spendere grosse somme per ottenere i diritti esclusivi di qualche sport importante (anche se Reed Hastings non ha escluso di fare un’offerta per la Formula 1, i cui diritti saranno liberi alla fine di quest’anno).

In effetti, Netflix è più concentrata a realizzare delle serie documentaristiche incentrate sui campioni dello sport, che permettono anche a chi non è appassionato di conoscere meglio queste realtà. Se The Last Dance è stato un ottimo modo per gli appassionati di basket di colmare la mancanza di competizioni sportive durante il primo lockdown, il primo passo importante è stato F1: Drive to Survive, ma recentemente sono stati annunciate produzioni analoghe incentrate sul PGA Tour di Golf e sui tornei di tennis dello Slam (che dovrebbero comprendere anche le vicende extrasportive di Novak Djokovic al recente Australian Open, dove non ha partecipato per le note questioni legate al suo status di non vaccinato).

E’ importante sottolineare come, dall’uscita di F1: Drive to Survive, gli ascolti della Formula 1 negli Stati Uniti sono aumentati del 40% (ma anche in altri territori si è registrato un aumento di interesse in questo senso). E queste serie documentaristiche, permettono ai loro creatori di trovare un grande bacino di interesse (e non solo negli appassionati di quello sport), ma senza dover fronteggiare gli enormi costi che richiedono i diritti per trasmettere in diretta le competizioni sportive più importanti.

i videogiochi
Una grande novità di Netflix negli ultimi mesi, che ha l’obiettivo dichiarato di diminuire il tasso di abbandono degli abbonati (tanto che non richiede un sovrapprezzo), è l’ingresso nel mondo dei videogiochi, con l’acquisizione a settembre della società di sviluppo Night School Studio. Netflix, un po’ come fa con l’audiovisivo in generale, darà vita quindi a produzioni proprie e coproduzioni con dei partner, in un primo tempo concentrandosi sui dispositivi mobile.

E’ francamente impossibile, in questa fase iniziale, fare delle previsioni sull’impatto che questo nuovo ‘campo da gioco’ avrà sui conti di Netflix. Di sicuro, la società vuole puntare molto sull’interattività, come d’altronde ha già fatto con una puntata speciale di Black Mirror.

Inoltre, sono diverse le produzioni originali basate su titoli di videogiochi, come abbiamo visto recentemente con la serie di animazione Arcane, ma anche come sarà in futuro per diversi prodotti importanti, tra cui una serie live action di Resident Evil.

Le polemiche
Il 2021 è anche stato contrassegnato dalle fortissime polemiche relative al nuovo special di Dave Chappelle, The Closer, in cui si è concentrato sui trans, con dichiarazioni sicuramente offensive (ma soprattutto banali e ripetitive), che hanno provocato una risposta forte non solo dall’esterno, ma anche dall’interno.

In effetti, questo ha scatenato proteste tra i dipendenti di Netflix e sicuramente non ha giovato una comunicazione iniziale non brillantissima (per una volta) di Ted Sarandos. Tuttavia, va detto che le conseguenze sono state molto meno gravi (sia in termini di abbonati, che di abbandono dei dipendenti, quasi inesistente) di quanto si potrebbe aspettare. Ed è interessante, perché per situazioni simili in America si sono dimessi amministratori delegati e figure di primo piano, ma evidentemente Netflix è riuscita a limitare bene i danni.

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
Top
L'annuncio si chiuderà tra pochi secondi
CHIUDI 
L'annuncio si chiuderà tra pochi secondi
CHIUDI