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Dal cinema al Metaverso: 5 riflessioni per l’anno che è appena iniziato

Cinema, film e serie tv, guerre dello streaming, videogiochi e social media, Web3 e Metaverso. Cinque riflessioni di fine e inizio anno per orientarsi, o perdersi, nel presente e nel futuro prossimo dell’intrattenimento audiovisivo.

Quest’anno ho scritto poco, ma sono molto contento dei risultati del Podcast. Ci sono però un po’ di riflessioni, bilanci e previsioni che nel Podcast non avrebbero spazio. Ho approfittato di questi giorni per buttarle giù e le trovate qui, in modo più o meno ordinato in 5 punti.

1. Il Cinema
Ci abbiamo creduto fino a pochi giorni dalla fine dell’anno e il settore, esercenti in testa, se lo sarebbe anche meritato. Dopo quanto accaduto nel 2020 e i primi mesi del ’21 i cinema hanno riaperto ed è cominciata una lenta ma costante risalita, il ritorno del pubblico in sala. Con la sola interruzione immediatamente successiva all’entrata in vigore del green-pass e con una pausa che col senno del poi si sarebbe potuta evitare nelle due settimane prima dell’uscita di Spider-Man, tutto lasciava sperare in un Natale normale.

Soprattutto i numeri da pre-pandemia di Spider-Man sembravano tirare la volata ad un periodo festivo che certo non avrebbe potuto raggiungere i risultati cui eravamo abituati, ma dare un segnale forte di ritorno alla normalità e, con essa, di ritorno nelle sale di quel pubblico che al cinema va magari anche solo una volta l’anno, appunto sotto le feste. Insomma dopo la crescente eccitazione dei mesi appena passati il settore tutto ha subito un coitus interruptus per cause di forza maggiore destinato a lasciare un contraccolpo in fase di slancio che proprio non ci voleva.

Dopo il picco di questa quarta ondata sarà tutto da rifare, considerando che il cinema sembra essere una delle attività che più risente della pandemia e delle restrizioni. Perché non è vero che “la gente non vuole passare due ore con degli sconosciuti in luoghi chiusi”, altrimenti i ristoranti sarebbero deserti, ma è vero che la gente, almeno il pubblico non appassionato, non lo vuole fare per vedere un film. Non è un movente sufficiente e le misure di sicurezza, soprattutto le mascherine, non sono una rassicurazione, ma un deterrente, perché in barba alla prudenza è chiaro che in molti vanno a mangiare fuori perché a tavola la mascherina è possibile toglierla.

Passata questa ondata andrà rimesso in moto il circolo virtuoso precedente, con i film che chiamano in sala sempre più pubblico allargandosi dalla platea degli appassionati a quella degli occasionali. Tra questi penso che una maggiore attenzione andrebbe rivolta ai bambini che per due anni hanno disertato le sale cinematografiche. La passione per il cinema, per l’emozione che il grande schermo e la sua capacità di catturare l’attenzione sono in grado di dare, è una di quelle cose che va provata per poter sedimentare e creare gli spettatori di domani. Se pensiamo di riuscirci con “l’educazione al cinema” e i pur lodevoli matinée non abbiamo capito come funziona il mondo reale. I deludenti risultati dei film per famiglie sono la cosa che mi preoccupa forse di più, perché sono un danno oggi e un’ipoteca sugli spettatori del futuro e su questo siano lodati almeno i Me Contro Te, nonostante tutto.

2. Film e Serie TV
Se i cinema hanno sofferto non si può certo dire che stia soffrendo la produzione. Anzi, lo vedremo più avanti, sembra che non si sia ancora raggiunto il picco di investimenti in produzione audiovisiva. Chiaramente infatti la produzione non è solo di film, quelli la cui destinazione naturale era la sala, ma anche e soprattutto di serie tv. Le serie sono il contenuto che per natura economica ed editoriale si presta meglio allo sfruttamento sulle piattaforme. A partire da Lost in poi, tra l’altro, in coincidenza con lo sviluppo di internet, le serie sono anche il contenuto che più catalizza l’attenzione della conversazione online, soprattutto quando non si bruciano in una settimana con l’uscita di tutte le puntate in una unica soluzione. Insomma io continuo a domandarmi, in modo retorico, perché le piattaforme investano sui film. I motivi sono in realtà chiari, meno evidente è la sostenibilità economica di produzioni che “bruciano” ancora più velocemente di una serie, durano poche ore, e si sa che invece più ore un utente sta attaccato alla piattaforma, meglio è.

Insomma le piattaforme sono per modello economico la casa delle serie tv, non dei film, che infatti stanno bene al cinema e in un modo o nell’altro sempre al cinema passeranno, cosa su cui qualche distributore smart sta già lavorando. Tra l’altro nonostante le cifre investite le piattaforme stanno imparando a fare film che sono un genere a parte, sono film da piattaforma, hanno imparato bene comprando quel genere di prodotto non abbastanza forte per andare al cinema, prima della pandemia, o che si poteva sacrificare durante la medesima. Perché non è che uno impara a fare i film prendendo un regista da premio Oscar e dandogli carta bianca e il budget per fare il film che vuole, quella carta bianca non ha funzionato nemmeno benissimo al cinema in passato. Si impara a fare film quando costruendo quei progetti che a quanto visto fino ad ora riescono in modo molto diverso se l’ambizione è vendere biglietti oppure fare abbonati. Tutto un altro mestiere e per fare e tenere abbonati penso siano meglio le serie tv. Vedremo sempre più film che vanno al cinema, con finestre più o meno brevi, con dietro le piattaforme a giocare il ruolo che una volta giocavano, non a caso, le televisioni.

3. Guerre dello Streaming
Le guerre dello streaming sono già diventate molto noiose. Se è vero che la pandemia ha accelerato delle tendenze in atto nell’evoluzione del settore audiovisivo è altrettanto vero che il 2020 ha fatto bruciare ad alcune piattaforme le tappe di una crescita che era stata pronosticata in più anni e si è invece consumata rapidamente, lasciando al 2021 non dico una stagnazione, ma comunque già il consolidamento degli abbonati, e consolidamento non è una parola che piace agli investitori della tecnologia, abituati a identificare il successo solo con la crescita, di abbonati nel caso delle piattaforme. Se qualcuno è cresciuto, nel ’21, è stato nelle retrovie, come è successo ad esempio per gli ottimi risultati di HBO Max negli Stati Uniti, ma il 2021 si è chiuso con poche sorprese nella classifica degli operatori OTT, con Netflix, Amazon Prime e Disney+(Hulu+ESPN+Star) a guidare e gli altri a inseguire.

Il settore è nonostante tutto così “stagnante” (e sempre più sarà impegnativo crescere) che più di un commentatore ha messo in evidenza quanto per taluni operatori non di primo piano, soprattutto se impegnati nella produzione, l’avere un proprio servizio online sia più una zavorra che un elemento che ne aumenta la valutazione: sono valutate con moltiplicatori più alti le realtà che producono, rispetto alle realtà che producono e hanno una propria piattaforma.

Gli operatori hanno ormai raggiunto la saturazione in molti mercati, l’apertura di nuovi mercati potrebbe essere non così redditizia, e così la competizione si gioca tutta sul contenuto, unico elemento che è in grado non solo di attrarre nuovi abbonati, che spesso e volentieri non bastano nemmeno a sostituire quelli che disdicono, ma soprattutto a dare a quelli esistenti un motivo per restare. Tutto questo spinge ovviamente verso l’alto gli investimenti in produzione, tanto che il Financial Times ha calcolato che nel 2022 raggiungeranno la cifra record di 115 miliardi di dollari e oltre, tutto questo quando la serie di maggior successo dell’anno è costata soltanto 21 milioni di dollari, generando quello che Netflix chiama un Impact Value di quasi 1 miliardo di dollari. Insomma la produzione assomiglia sempre di più a una scommessa, alla faccia degli algoritmi che dovrebbero predire il mix di un successo, e nel frattempo andremo verso una concentrazione degli operatori, dove i tre nomi evidenziati sopra hanno tutti un vantaggio competitivo difficile da insidiare e tra gli inseguitori ci sono sempre da tenere d’occhio Roku, pur se circoscritto agli USA, Apple e la piattaforma che potrebbe nascere dalla fusione tra HBO Max e Discovery+ (che qualcuno chiama DiscoWarner+).

Come ulteriore spunto sul tema e per dare un’occhiata al fino a qui trascurato segmento delle piattaforme AVOD, lascio qui l’infografica creata dal “cartografo dei media” Evan Shapiro che riassume la dimensione delle library di contenuti dei principali operatori SVOD e AVOD, ovvero la pay e la free tv del futuro.

4. Videogames e Social Media
Parlando di audiovisivo, siamo, almeno da queste parti, sempre troppo concentrati sul cinema e i film e sulle piattaforme e le serie per il piccolo schermo, e rischiamo di non vedere l’elefante nella stanza. Lo ha detto anche Netflix in una lettera agli azionisti in tempi non sospetti che temeva di più Fortnite delle altre piattaforme (e infatti si è messa a fare anche videogiochi) ed è chiaro che quando allarghiamo gli orizzonti del nostro sguardo sono tali e tante le alternative con cui impiegare il tempo libero e tra queste videogiochi e social media, chiamiamoli media interattivi anche se non è del tutto corretto accomunarli, stanno fagocitando il tempo libero, soprattutto dei più avidi perditempo a cui tutti puntano, le giovani generazioni, la generazione-z, i ragazzini insomma.

Per alcuni il mondo dei videogames e del cinema sono destinati a collidere e qualche esperimento interessante è anche già stato fatto, ma la sensazione è che ci vorrà ancora un po’ di tempo perché questo accada davvero e fino ad allora la fruizione passiva, il farsi raccontare una storia, e quella attiva, il “giocare una storia”, continueranno ad essere due modelli di intrattenimento separati, pure se sempre di più integrati dal punto di vista narrativo intorno a quelle proprietà intellettuali, ovvero personaggi e mondi, che possono essere vissuti con atteggiamenti diversi a seconda dello stato d’animo e delle passioni di chi è ora spettatore, ora giocatore e quindi creatore di una storia personalizzata.

I videogiochi, tra l’altro, non sono solo ingombranti, ma sono anche il “laboratorio” dell’industria audiovisiva in senso ampio, quello dove più si sperimenta e che ha davvero a disposizione le leve per realizzare la collisione di mondi immaginata poco più sopra, ma su questo tornerò poco più avanti. L’altro elefante nella stanza sono i Social Media. A oltre 15 anni dalla sua fondazione non sfugge certo più a nessuno quanto tempo le generazioni non solo più giovani trascorrano davanti a YouTube e ai suoi più o meno segmentati emuli. Ma a parte “l’invenzione” delle dirette streaming, appannaggio anche di Twitch, che sono in fondo una forma di diretta confrontabile a quella televisiva di eventi sportivi il contenuto principale distribuito dalle piattaforme nate su web, prima dell’avvento del mobile, dove i video sono in formato “panoramico” 16:9, sono contenuti analoghi a quelli che vedevamo in TV.

Dove invece sta avvenendo la trasformazione più interessante è sui social media nati nell’epoca del mobile, quelli che fin dalle origini sono verticali, in modalità ritratto o 9:16 che dir si voglia. Se pensiamo alla prima generazione di social media, Twitter e Facebook, vediamo che non solo sono nati quando il canale principale di utilizzo di internet era lo schermo del computer, ma soprattutto il contenuto era esclusivamente o prevalentemente testuale. La generazione successiva di social media, quella che domina l’attuale momento, ovvero Instagram (Snapchat, ma non nel nostro paese) e soprattutto il social che ha preso il sopravvento nel 2021, TikTok, sono piattaforme “mobile-first” nel loro DNA e soprattutto piattaforme nate “visive”, in cui il testo è un accessorio di un contenuto prima fotografico, poi cinematico e infine, dall’avvento appunto di TikTok e dei Reels e quindi della musica, definitivamente audiovisivo nel senso più compiuto del termine.

L’audio acceso “di default” ha comportano un cambio di paradigma chiave nella competizione per l’attenzione dello spettatore perché se prima eravamo abituati a considerare il cellulare il second screen dell’esperienza televisiva, in cui si commentava su Twitter la puntata del reality o della partita di calcio, l’esperienza che ha l’audio acceso tende a prendere il sopravvento rispetto alle altre ed è quindi evidente che quando una persona è su TikTok o sta spolliciando dei Reels (anche loro con l’audio On di default) è il cellulare ad essere il “primo schermo” e tutto il resto ad essere un contenuto di sottofondo. Questa priorità, unito alla stickiness garantita dai meccanismi psicologici propri di tutte le piattaforme social media, fanno di queste due piattaforme i principali catalizzatori di attenzione dei prossimi anni. Inoltre stanno ridefinendo anche il linguaggio dell’audiovisivo, a cominciare dalla densità del montaggio, in un modo che confonde le generazioni abituate ad altri ritmi ma è invece perfetto per chi è cresciuto con Fortnite. Insomma, penso ancora che TikTok, o Instagram con i Reels, riusciranno dove ha fallito Quibi e che i prossimi registi verranno da quel mondo lì.

5. Metaverso e Web3
Web 3 e Metaverso sono le due buzzword emerse nel corso del 2021 e destinate a tenere banco negli anni a venire. Un po’ come è stato per big data e machine learning, per non parlare dell’intelligenza artificiale, tutti fenomeni ancora da esplorare, ma ma in questo caso siamo di fronte ad un vero e proprio “salto di stato” o cambiamento di paradigma e quindi, siccome le parole sono così importanti che troppo spesso ci sono solo quelle, finiranno per essere la chiave di svolta attraverso cui si venderanno progetti innovativi, che attireranno finanziamenti per start-up e con cui ci ritroveremo per forza di cose a convivere.

Tra le due parole la più ostica da spiegare è Web3. Perché una volta detto che è la prossima versione di internet, quella successiva al Web2 che la maggior parte di noi conosce nella pratica quotidiana ma che a sua volta non è facilissimo definire, siamo appena all’inizio e se si ha poco chiaro in cosa consiste la versione 2, allora parlare della 3 è davvero complicato. Per capire di cosa si tratta, senza dilungarsi quanto in realtà l’argomento meriterebbe, basta forse questa definizione che ho trovato sul sito di Ethereum.org:

[Il Web2 è] “una rete dominata da aziende che offrono servizi in cambio dei dati personali. Il Web3, nel contesto di Ethereum, si riferisce alle app decentralizzate che vengono eseguite sulla blockchain. Queste app consentono a chiunque di partecipare senza monetizzare i propri dati personali”.

Ecco, nella definizione di Web3 fa capolino un’altra fantomatica parola chiave nel decifrare quello che sta avvenendo in questi anni in rete, blockchain, ma temo che la sua apparizione confonderà ancora di più le acque, infatti mi astengo dal menzionarne una delle emanazioni in realtà più interessanti e che stanno contribuendo a renderla concreta, gli NFT. Limitiamoci a dire allora che il Web3 promette, in opposizione a quello attuale dominato dagli “accentratori di dati” Google, Amazon, Facebook, etc., un web decentralizzato e aperto perché basato sulla blockchain e quindi… a tutt’oggi poco concreto non tanto perché ostico da capire (ma è davvero un problema, quanti capiscono davvero cosa vuol dire, tecnicamente, usare Instagram?) ma perché si stenta ancora a vedere applicazioni concrete che vadano oltre le speculazioni sulle criptovalute o sulla digital art in NFT.

Passando invece alla seconda parola, metaverso (o metaverse) si tratta di un termine coniato nel 1992 dallo scrittore cyberpunk Neal Stephenson diventato però al centro dell’attenzione da quando, qualche mese fa, Mark Zuckerberg ha deciso di cambiare nome alla sua creatura, Facebook e annessi e connessi, chiamandola appunto Meta e presentando contestualmente la sua versione di un metaverso costruito intorno ai prodotti e servizi della sua azienda. Ora per quanto sia opinione diffusa e condivisibile che la mossa del buon Mark sia stata soprattutto una operazione di distrazione di massa per togliere la sua creatura dal centro dell’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità per problemi di privacy e antitrust, è pur vero che tracciare una rotta verso il metaverso è uno degli obiettivi che l’industria tech persegue da tempo e uno dei futuri possibili dell’evoluzione della rete.

Il metaverso, per chi frequenta il cinema, è forse un concetto più facilmente comprensibile del Web3 grazie ad un film recente che ce lo ha raccontato, almeno una sua versione, come quella realtà virtuale e immersiva (visori) e sociale in cui vivevano i protagonisti Ready Player One. Anche la simulazione in cui noi umani viviamo in Matrix potrebbe essere considerato un Metaverso, ma così il discorso si fa davvero complicato. Sicuramente per comprendere di cosa si tratta “era meglio il libro”, ma resta ad oggi una delle migliori rappresentazioni di uno dei futuri possibili, e spero che sia sufficiente per dare un’idea a chi ha avuto la pazienza di leggermi fino a qui.

Sono argomenti su cui avremo occasione di tornare perché per quanto il metaverso sia oggi un po’ come quando annunciarono i Google Glasses nel 2013, un film di fantascienza che deve ancora diventare realtà, è destinato ad essere uno dei temi caldi dei prossimi anni, il territorio in cui probabilmente collideranno cinema e videogames appunto e su cui si giocherà anche la battaglia, forse persa in partenza purtroppo, tra una rete decentralizzata ed una, invece, nelle mani di pochi.

Se questo articolo avesse dei titoli di coda, nella scena “dopo” mi piacerebbe inserire una sequenza in cui, muovendoci nel nostro futuro metaverso entriamo in un cinema per poter vedere un film immersi nell’esperienza del grande schermo in compagnia dei nostri amici (non è il caso di Ready Player One, ma di alcune simulazioni si). Che fa un po’ sorridere, con un velo di tristezza.

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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