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Il vero problema tra Netflix e il Festival di Cannes

Scoppia la polemica tra il colosso americano e la manifestazione francese, per via della (non) uscita in sala di due film. Ma la realtà è molto più complessa…

Dal 2018 il Festival di Cannes accetterà in concorso solo film che si impegnano a passare in sala. E’ la decisione presa dopo che Netflix ha annunciato di non voler (o non poter) far uscire in sala The Meyerowitz stories di Noah Baumbach e Okja di Bong Joon-ho, i suoi due film in competizione a Cannes quest’anno.

In realtà, non è vero che Netflix non vuole portare quei due film al cinema (come invece sono convinti molti giornalisti, soprattutto italiani), cosa che sicuramente non avrebbe problemi a fare, anche solo con un’uscita tecnica e di facciata, magari in una decina di sale francesi. D’altronde, Netflix quando serviva lo ha fatto, vedi il caso di Beasts of No Nation, arrivato in una cinquantina di cinema americani in contemporanea con l’uscita sulla piattaforma, con l’unico intento di rendere il film eleggibile per gli Oscar.

Ma il sistema francese è diverso. Se un film esce nelle sale, deve sottostare a un sistema di window che, diversamente dal resto del mondo, è regolato per legge. Non sono, come altrove, i privati che decidono e contrattano in merito, ma un’apposita legge dello Stato, fatta per favorire chiaramente un sistema in cui la sala non è semplicemente centrale, ma è l’equivalente moderno del Re Sole. Siete d’accordo? Non lo siete? Non importa, è così.

Cosa significa questo nel concreto? Facciamo un semplice caso. Il film di Abel Ferrara, Welcome to New York, dopo essere stato presentato sulla spiaggia di Cannes durante il Festival (ma non era una proiezione ufficiale!), non volendo seguire la tradizionale cronologia dei media, ha dovuto rinunciare a qualsiasi distribuzione in sala ed è passato direttamente in VOD.

All’estero, invece, nulla vieta di uscire in day and date. L’esempio di Beasts of No Nation lo abbiamo già fatto, ma tanti film negli Stati Uniti e in Inghilterra arrivano in day and date, forti anche di un mercato VOD decisamente sviluppato e con tanti consumatori. Basti pensare anche all’italiano Mine, che in America è uscito in pochi cinema (probabilmente, più per motivi promozionali e comunicativi, che per veri scopi di profitto) e in contemporanea in VOD qualche settimana fa.

In Italia, abbiamo avuto un caso interessante con il film del regista Gianluca Maria Tavarelli (decisamente sulla cresta dell’onda, visto che ha realizzato la serie dedicata al commissario Maltese, che sta ottenendo grandi ascolti) Una storia sbagliata, uscito in contemporanea su Mymovies e in sala, con gli esercenti che prendevano una fetta dei profitti dallo sfruttamento VOD. Non è stato un esempio che ha portato risultati economici straordinari (d’altro canto, il film stesso non aveva enormi ambizioni commerciali), ma dimostra che in Italia è perfettamente legale fare un’operazione del genere (almeno con le sale private che non richiedono window obbligatorie, come capita invece con UCI, che non potrebbe mai accettare un’iniziativa del genere sui propri schermi).

Un altro aspetto importante e da non dimenticare mai, è che Netflix non aderisce assolutamente agli obblighi di investimenti che i francesi richiedono a tutti i broadcaster, né ovviamente paga la relativa tassa di scopo, come fanno i partecipanti della filiera cinema. Tutto perfettamente legale, visto che non ha una sede in Francia, ma non certo un modo per farsi volere bene dal mondo del cinema transalpino.

Tuttavia, questo non significa che ci sia un cattivo. E neanche un perdente o un sistema che non funziona. Le sale in Francia non fanno costantemente più di 200 milioni di biglietti all’anno? E Netflix non ha circa 100 milioni di abbonati nel mondo? Se poi volete vedere il secondo come un sistema moderno e il primo come un sistema arcaico, va benissimo (anche se, fino all’altro ieri, tutti a inneggiare al modello francese, senza se e senza ma). Ma tutti i due sistemi, a modo loro, sono dei modelli che funzionano bene e che non hanno uguali nel mondo. Solo che – purtroppo – sono due sistemi che non possono in alcun modo andare d’accordo.

E’ quindi abbastanza assurdo leggere come il Festival di Cannes (attaccato da molti ieri e oggi) sarebbe anacronistico e si sarebbe piegato alle imposizioni degli esercenti francesi. La manifestazione fa parte di un ampio sistema che lavora per tutte le componenti del cinema francese, con un’impostazione chiara e ben definita: le sale al centro di tutto. D’altro canto, vi risulta che il Festival venga trasmesso in streaming? O invece i film vengono proiettati in sale magnifiche?

Anzi, andiamo oltre. Chi scrive non ritiene che il sistema del cinema francese sia perfetto (e questa impostazione sta facendo gravi danni al mercato VOD, decisamente arretrato rispetto ai numeri enormi legati al cinema in Francia). Ma anche in scelte come queste, si vede chiaramente come in Francia siano uniti e compatti e marcino in un’unica direzione in maniera COERENTE, cosa che è fondamentale per il loro successo. In Italia, la nuova legge prevede 150 milioni destinati alle sale, ma poi ammazziamo gli esercenti a colpi di tasse locali enormi e magari non pretendiamo che tutti i broadcaster (non solo Netflix, anche quelli tradizionali) rispettino gli obblighi di investimento. Se in Italia ognuno pensa al proprio orticello, poi non ci lamentiamo che le cose non vanno bene come in Francia…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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