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VOD: cosa ne frena lo sviluppo? Il caso HBO

Secondo il CEO dell’emittente, il cord cutting per le pay-tv non è ipotizzabile senza l’appoggio dei grandi operatori delle TLC. Ma nel frattempo il potenziale pubblico online insorge e migra verso l’offerta illegale.

Se lo streaming on demand di film e serie tv è per gli utenti americani una possibilità nonché una modalità di consumo ormai consolidata, in particolare grazie a servizi quali Netflix, Amazon e Hulu, anche nel più evoluto mercato USA esistono resistenze al cosiddetto cord cutting.  Resistenze derivanti dal tentativo di conservare i vecchi business model più redditizi, ma che allo stesso tempo ostacolano la creazione di un’offerta legale in Rete capace di soddisfare esigenze espresse dai consumatori in modo sempre più chiaro e perfino propositivo.  Caso esemplare è quello della nota emittente via cavo HBO, che nonostante abbia attivato nel 2010 un proprio portale online, chiamato HBO GO, ha continuato a mantenere legati gli abbonamenti alla pay-tv e quelli allo streaming, generando anche alcune proteste online da parte dei propri spettatori.

D’altro canto, secondo il CEO della compagnia Richard Plepler, l’unica alternativa sembrerebbe quella di offrire un servizio di SVOD (subscrption video on demand) al costo di 10-15 dollari al mese, prezzo massimo che un utente della Rete sarebbe disposto a pagare per l’abbonamento (lo conferma una petizione partita dagli stessi internauti per avere HBO GO quale servizio indipendente). Un prezzo tuttavia non sostenibile se non con l’avvallo dei grandi operatori di TLC: la sola ipotesi che avrebbe un senso economico, ha dichiarato Plepler, consisterebbe in particolare nel creare un pacchetto unico, in partnership con i fornitori di banda, comprensivo di connessione internet e accesso a HBO GO, al costo di circa 50 dollari più il prezzo della sottoscrizione al portale di streaming dell’emittente televisiva. Semplice questione di economie di scala? Non solo, dato che secondo gli analisti, non bisognerebbe sottovalutare l’importanza che i colossi delle TLC come Time Warner, Verizon e Comcast ricoprono anche nella diffusione via cavo e via satellite: guadagnando già dagli abbonamenti che il pubblico domestico paga per accedere all’offerta pay delle emittenti televisive, e sarebbero dunque ugualmente danneggiati da un eventuale calo di sottoscrizioni, oltre a ricoprire un ruolo definito come centrale nel marketing e nella promozione dei canali.

La strenua opposizione al cord cutting non deriverebbe perciò solo dalla volontà di non intaccare, nemmeno in parte, gli introiti dell’offerta via cavo, ma anche dalla difficoltà di coinvolgere nel processo di transizione anche altri anelli fondamentali della filiera dell’entertainment, ancora più resistenti al cambiamento degli stessi fornitori di contenuti. Il risultato? La celebre serie tv Game of Thrones, tra i titoli di punta di HBO, è risultata una delle più piratate dell’anno, e viene spesso presa ad esempio di quel mancato incontro tra domanda e offerta di video on demand che alimenta la circolazione illegale di contenuti online.  Una situazione che, a grandi linee, non differisce molto da quella del mercato italiano, dove la lentissima transizione verso i nuovi metodi distributivi del prodotto audiovisivo non solo ha lasciato fin troppo a lungo scoperto il campo della Rete, ma stenta tuttora a decollare per rigidità che rischiano di alienare fette sempre più rilevanti della potenziale audience online.

 

 

Fonte: The Verge, TechCrunch

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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