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Cosa ci dice Sorrento sul futuro del cinema in Italia?

Ci sono tanti film importanti in uscita nel 2023. Ma anche situazioni che vanno risolte, per non pentirsene tra qualche anno…

Tornati dalla Giornate professionali di Sorrento, partiamo dalla notizia positiva, quella veramente fondamentale. Nel primo semestre 2023, ci sarà tanto prodotto, addirittura qualche film italiano commerciale per adolescenti (pochissimi, ma rispetto allo zero che segnalavo al ritorno da Riccione, è un passo avanti). Ho sentito in queste settimane troppo spesso ripetere il mantra “escono troppi film al cinema, bisogna ridurli”. In realtà, non è vero, ne escono meno di prima della pandemia e ne dobbiamo avere di più. E in Francia, nella settimana del 30 novembre sono usciti 22 titoli, 24 in quella precedente e addirittura 28 due settimane fa. Ovviamente, alcuni di questi sono documentari/eventi, ma vale anche per il nostro Mercato, dove si urla all’invasione sconsiderata di prodotto se questa settimana ci sono 13 titoli (diversi di questi con poche sale) e la precedente 10. Quindi, piantiamola di lamentarci che esce troppa roba (sembra più una preoccupazione di chi vorrebbe vedere quasi tutto e non ci riesce, che una considerazione di Mercato), al massimo riflettiamo su cosa esce…

A questo proposito, sento spesso parlare di differenziare tra prodotto per la sala e prodotto per le piattaforme. Capisco le ragioni dietro a questa distinzione, ma penso che sia sbagliato concentrarci sulla fase di distribuzione, quando la questione è sulla produzione. In realtà, anche prima c’erano dei prodotti che funzionavano in maniera diversa in sala e nel consumo domestico. Penso a diverse commedie italiane su Sky, che magari ottenevano risultati migliori di certi blockbuster americani, che in sala invece avevano fatto 3 o 4 volte gli incassi di quelle commedie. Il problema è semplicemente produttivo: si realizzano tante opere che non funzionano da nessuna parte (al massimo, andare sulle piattaforme è preferibile per risparmiare i costi dell’uscita in sala). E, diciamolo francamente, si tratta per lo più dei film da festival, che ormai da decenni presentano un eccesso di offerta rispetto alla domanda (non vi fate ingannare, ovviamente, dal fatto che ci sono degli esempi autoriali positivi in questi mesi e che coprono i tanti incassi miseri di decine di film). Forse è il caso di pensare se vale la pena insistere così tanto su questa tipologia di prodotto. Questo discorso lo collego anche…

… a un’altra cosa che sento spesso dire, ossia che non si va più al cinema, ma si va a vedere un film. Insomma, non è l’esperienza generale, ma solo singoli film che portano la gente nei cinema. Constatazione probabilmente vera, ma che più che preoccuparci di vendere l’esperienza generale, dovrebbe spingerci a fare tipologie di film che gli spettatori vogliono vedere, piuttosto che fare di tutto per portarli a “vivere l’esperienza cinema”. Anche perché, se poi hai visto un film che non ti soddisfa, l’esperienza cinema magari non hai più voglia di farla, anche in un’ottima sala…

Per quanto riguarda i film da fare, mi incuriosisce come ogni tanto emerga un ‘modello’ di film da fare che, a detta dei commentatori, sarebbe perfetto per far svoltare la nostra produzione. Inutile dire che è sempre un ‘modello’ di cinema alto. Nel primo semestre, il modello da seguire era Ennio. Peccato che diversi documentari usciti in seguito ci hanno dimostrato che non basta fare un’opera su un nome importante del cinema italiano per portare tante persone in sala. Adesso il ‘modello’ è La stranezza, che in questo caso significa aver portato due grandi comici (che – come tutte queste figure – finora facevano i loro film, tutti incentrati su di loro e senza interagire con altri grandi nomi) a lavorare con l’attore più celebrato a livello autoriale, grazie (ma non solo) alla sua lunga collaborazione con Sorrentino. Quindi, che modello è? In base a questo modello, il prossimo sarà un film con Checco Zalone che lavora insieme a Favino in un adattamento di un’opera di Quasimodo o della Deledda (insomma, un autore italiano premio Nobel)? Peccato che non sembra una possibilità reale. E quindi, forse è il caso di non inventarsi ‘modelli autoriali’ che non stanno in piedi e cercare invece di pensare a ‘modelli commerciali’ (quelli sì replicabili)…

… A questo proposito, una settimana fa avevo parlato dei budget dei film italiani, diventati più alti mentre gli incassi in sala diminuivano. Si parla tantissimo del fatto che questi film si realizzino grazie ai contributi pubblici, mentre in realtà senza i contributi privati (broadcaster e piattaforme in particolare) sarebbero impossibili da fare. Ecco, qualche domanda dopo Sorrento me la devo porre. I grandi investimenti produttivi sono rivolti veramente a titoli con grandi potenzialità commerciali? O invece sono spesso affidati a progetti di grandi ‘autori’, ma che non permettono grandi possibilità di sequel/prequel e in generale di costruire qualcosa di più grande? In effetti, stiamo sfruttando questo momento ricco di investimenti privati per costruire qualcosa che rimarrà? O invece l’importante è produrre, anche e soprattutto opere che non porteranno a ulteriori sviluppi? Segnalo invece un modello che trovo positivo. Mercoledì scorso è uscito su Netflix Il mio nome è vendetta e in questi giorni è comparso nelle top ten dei principali Paesi mondiali (stasera vedremo i dati esatti, ma l’impressione è di avere un titolo italiano che sta funzionando molto bene). Chi lo ha visto, sa che si presta benissimo a possibilità di sequel/spinoff/serialità. Ecco, questo è un tipo di modello che può funzionare (al di là dei risultati, che non sono prevedibili a tavolino), ma che magari non viene degnato della stessa considerazione perché non è un modello ‘alto’. Io direi invece che dobbiamo fare molta attenzione a queste scelte. Altrimenti, ho l’impressione che tra cinque anni (ma forse anche tra due-tre) ce ne pentiremo. Anche perché il flusso di investimenti come se piovesse prima o poi terminerà…

A livello promozionale, noto sempre di più due cose (magari è solo cherry picking mio). Uno è il fatto di sentire spesso registi che fanno valutazioni sul cinema italiano e come rilanciare la frequentazione delle sale… mentre stanno girando opere per le piattaforme. Almeno in quel caso comunque il regista stava promuovendo un film cinema, in effetti il problema è chi continua a massacrare il nostro settore senza ormai lavorarci. Ma quello che mi stupisce sempre di più, è quando vedo presentare delle commedie (che dovrebbero essere ultracommerciali), ma sempre con il tentativo del regista e/o degli attori di innalzare il livello e farlo apparire qualcosa di molto profondo. Insomma, il problema alla base è che anche chi realizza opere commerciali vuole maledettamente essere preso sul serio e magari essere invitato a un Festival prestigioso. Inizio a pensare che, al fianco del Centro sperimentale di Cinematografia, si debba creare un ‘Centro commerciale di Cinematografia’, per sostenere chi vuole fare pellicole da grande pubblico, oneste e senza troppi voli pindarici…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.

One thought on “Cosa ci dice Sorrento sul futuro del cinema in Italia?

  1. Non posso che essere d’accordo su tutto. E aggiungo: per fare film di genere bisogna amare il genere, altrimenti diventa una porcata. “Sì, sembra un giallo, ma in realtà…” “Con la scusa dell’horror vogliamo raccontare…” Anche se abbiamo un sistema comunicativo che premia soprattutto i tromboni, bisogna imparare a difendere il genere per quello che è: qualcosa che prende e restituisce all’immaginario collettivo e che ha delle regole, che si possono anche rompere, ma che bisogna conoscere e rispettare.

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