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Netflix perde meno abbonati del previsto

Trimestrale migliore delle attese per la piattaforma streaming, che continua a seguire la strada della profittabilità…

C’era ovviamente molta attesa sui risultati del secondo trimestre 2022 per Netflix. Forse, anche troppa, come se ci si attendesse un dato in grado di cambiare i destini del mondo.

Alla vigilia, un analista come Michael Pachter aveva previsto un calo di 1,5 milioni di abbonati nel secondo trimestre e una previsione di aumento di abbonati per il terzo trimestre di 1 milione.

Ben Swinburne di Morgan Stanley aveva sottolineato invece l’importanza, per un business maturo come quello di Netflix, di concentrarsi sull’ARPU, e sul fatto che il loro premium price (almeno, quello che è percepito adesso dai consumatori come premium, anche se – parere mio – non lo è assolutamente) potesse essere un problema.

Alla fine, Netflix ha annunciato un calo degli abbonati di 970.000 unità (rispetto ai due milioni che aveva previsto nella trimestrale precedente) e una previsione di aumento di un milione di abbonati per il terzo trimestre 2022. Potete vedere qui sotto l’andamento degli abbonati Netflix in questi ultimi anni:

I risultati migliori delle previsioni hanno portato a un aumento in Borsa del titolo nelle contrattazioni dopo la chiusura, tanto che la quotazione è ritornata sopra i 200 dollari (al momento, intorno ai 217). Questi dati hanno avuto un’influenza positiva anche per quanto riguarda le quotazioni di Disney (tornate sopra i 100 dollari) e (in misura minore) quelle di Warner Bros. Discovery.

Insomma, alcuni articoli catastrofisti degli ultimi giorni ricordano quei magnifici pezzi di giornalismo che ci spiegavano, a ottobre 2016, come Hillary Clinton avrebbe stracciato Donald Trump e quest’ultimo avrebbe fatto bene a ritirarsi. Certo, i catastrofisti metteranno in evidenza ancora una volta il calo degli abbonati, unica loro metrica di valutazione. Ma siamo sicuri che questo abbia fatto perdere soldi a Netflix? Facciamo un esempio dove è più facile, sui dati della regione Stati Uniti/Canada.

Nel primo trimestre 2021, in quella regione gli abbonati erano 74,38 milioni, con un ricavo medio per abbonato di 14,25 dollari, che portavano a ricavi per 3,171 miliardi. Nel primo trimestre 2022, gli abbonati erano sostanzialmente uguali come numero (74,58 milioni), ma con un ricavo medio per abbonato più alto (14,91 dollari), che ovviamente davano vita a ricavi superiori (3,350 miliardi). In questo trimestre, siamo a 73,28 milioni di abbonati, quindi un calo di 1,3 milioni rispetto al precedente trimestre, una flessione superiore a quella fatta segnare in tutto il mondo in questi tre mesi. “Disastro!”, urlerà il catastrofista che si ferma qui a leggere i dati. Peccato che i ricavi siano saliti ancora e di quasi 200 milioni, arrivando a quota 3,538 miliardi, grazie a un ARM (ricavo per abbonato) che è vicino a quota 16 dollari, per la precisione 15,95. Fossero tutti così i disastri!

Le altre zone geografiche hanno prodotto risultati diversi. L’EMEA (Europa, Medio Oriente, Africa) ha visto sia un calo di abbonati (72,97 milioni rispetto ai 73,73M del trimestre precedente) che una flessione dei ricavi (2,457 miliardi di dollari contro i 2,562 del Q1), con un calo anche del ricavo medio per abbonato (da 11,56 a 11,17 dollari). Ma qui pesa sicuramente anche la perdita di valore dell’euro (e di altre monete) rispetto al dollaro, come sottolineato nella lettera agli azionisti.

E’ invece in crescita l’America Latina, soprattutto nei ricavi (1,030 miliardi di dollari contro 999M) visto che gli abbonati sono rimasti sostanzialmente identici (39,62M, 100.000 in più del trimestre scorso), grazie quindi a un aumento dell’ARM (passato a 8,67 dollari contro gli 8,37). Discorso opposto nella regione APAC (Paesi asiatici del pacifico), dove gli abbonati sono aumentati (34,8M contro 33,72) ma sono diminuiti leggermente i ricavi (908 milioni contro 917), per via di un ARM in calo (8,83$ contro i precedenti 9,21). In questo caso, la ragione è da ricercare soprattutto in un abbassamento dei prezzi degli abbonamenti in India.

In ogni caso, i risultati mondiali complessivi parlano chiaro. I ricavi sono arrivati alla soglia di 8 miliardi nel trimestre, per la precisione 7,97 miliardi, contri i 7,868 miliardi del Q1. Tutto questo nonostante i 970.000 abbonati persi. Insomma, è semplice: Netflix vede calare (poco, alla fine stiamo parlando di circa uno 0,45% in meno) gli abbonati e aumenta i ricavi. E visto che in banca un’azienda non porta il numero di abbonati, ma i soldi veri, in questo senso mi sembra una buona notizia. Semplicemente, riprendendo l’esempio iniziale, Netflix ha perso una piccola fetta (l’1,74%) dei suoi abbonati nordamericani, ma è riuscita a convincere il 98,26% degli altri a pagare prezzi più cari. Fossero tutti così convenienti i ‘disastri’! Quindi la mia domanda è: ma certi commentatori li sanno leggere i bilanci aziendali?

Come riportava CNBC ieri: “Netflix ha molte cose da offrire rispetto agli altri streamer. per prima cosa, fa soldi, e tutti i segnali indicano che questo non cambierà presto. Molti analisti prevedono un utile netto di quasi cinque miliardi quest’anno. Invece, Peacock di NBC Universal, dovrebbe perdere 2,5 miliardi quest’anno. Anche Disney, che ha già accumulato quasi 140 milioni di abbonati mondiali a Disney+ dopo essere stata lanciata a fine 2019, ha perso 887 milioni di dollari dai suoi prodotti streaming nell’ultimo trimestre”.

Detto questo, va anche sottolineato un discorso che ormai sembra chiaro. Considerando le problematiche mondiali, con una guerra in corso in Europa e il rischio di recessione, così come una proliferazione di servizi streaming che si fanno concorrenza a suon di offerte stracciate continue (finché dura…), i dati di Netflix sugli abbonati negli ultimi sei mesi non fanno certo pensare a una crescita fortissima nel secondo semestre del 2022, mentre nel 2023 molto dipenderà dall’offerta con la pubblicità (dove verrà lanciata? In tutto il mondo o solo in alcune regioni specifiche?). Diciamo che, per chi aveva fatto i suoi conti con l’idea di poter entrare in 500 milioni di case (e non parliamo di Jason Kilar, che vedeva il mercato potenziale in un miliardo di abitazioni, beato lui che è così ottimista!), c’è da fare i conti con una realtà diversa. Inoltre, è chiaro che le zone che pagano gli abbonamenti più cari (Nord America ed Europa occidentale) sono anche quelle dove ormai si hanno più difficoltà a far crescere il numero degli abbonati. D’altronde, l’Asia e l’America Latina hanno margini di crescita maggiori per quanto riguarda gli abbonati, ma con prezzi degli abbonamenti decisamente più bassi (sotto i dieci dollari, che comunque, rispetto alla concorrenza in queste zone, sono notevoli). Tuttavia, questo è più un problema dei competitor di Netflix (che partono non solo da un numero di abbonati minore, ma spesso anche da un ARPU decisamente più basso) che di Netflix stessa.

Ma vediamo altri dati fondamentali, in particolare il Free cash flow, che nell’ultimo trimestre ha fatto segnare 13 milioni di dollari, un bel cambiamento rispetto al valore negativo di 175 milioni nel secondo trimestre del 2021. Netflix, nella lettera agli azionisti, ha messo ancora una volta in evidenza di essere ormai in grado di finanziarsi da sola e che per il 2022 ci si attende un Free Cash Flow di circa un miliardo di dollari.

Tra i costi in generale di Netflix in questo periodo, vanno segnalati quelli legati al Covid per le produzioni. Si è detto espressamente che, senza questa situazione, con gli stessi soldi si potrebbero realizzare più puntate di Stranger Things di quelle che abbiamo visto nella quarta stagione. Inoltre, da segnalare come i quasi 500 licenziamenti avvenuti in questi tre mesi, abbiano portato a un costo di 70 milioni di dollari per i trattamenti di fine rapporto.

Tra gli altri aspetti interessanti del bilancio, notiamo per esempio un forte aumento in questo secondo trimestre delle spese di marketing, passate dai 4,284 miliardi del precedente trimestre a 4,690 miliardi. E’ evidente che il lancio di alcuni prodotti (e non solo Stranger Things) ha portato a questo aumento, che ovviamente si riflette anche sul reddito operativo e l’utile di esercizio, in calo rispetto a tre mesi fa, ma comunque a 1,3 miliardi.

A proposito di Stranger Things, la quarta stagione è stato il miglior risultato di sempre (e di gran lunga) per una serie in lingua inglese, con 1,2 miliardi di ore nei primi 28 giorni di programmazione (e con un totale finora di 1,49 miliardi di ore e stiamo parlando solo della quarta stagione, le altre tre hanno portato ulteriori 850 milioni di ore da inizio aprile a oggi). Buoni dati anche per The Lincoln Lawyer, la nuova serie di David E. Kelley, una scommessa vinta con 305 milioni di ore.

Senza dimenticare che la seconda parte della quarta stagione di Ozark è arrivata ad aprile e ha conquistato altre 299 milioni di ore. E che la seconda stagione di Bridgerton, anche se è uscita a fine marzo, ovviamente ha fatto la stragrande maggioranza delle sue visioni (656M di ore in 28 giorni, in quel momento la migliore serie in lingua inglese di sempre) in questo secondo trimestre. Così come è stata una sorpresa la serie colombiana Palpito (rinnovata per altre due stagioni), grazie a ben 272 milioni di ore in quel trimestre. Sul fronte film, in evidenza Hustle con Adam Sandler e Cheerleader per sempre con Rebel Wilson.

E veniamo invece a cosa poterci aspettare per il prossimo futuro, iniziando dal fronte password condivise. E’ stato detto che, con la sperimentazione in America Latina, si sta capendo meglio la situazione, per poi dare il via nel 2023 a un’offerta che “possa funzionare sia per gli abbonati che per il nostro business”. Il tono è molto ottimistico, vedremo se andrà effettivamente così.

Ma la vera, grande sfida è l’inserimento di un’offerta con la pubblicità nel 2023 (non è stata fornita una data precisa, ma si è detto “nella parte iniziale del 2023″). Un problema da risolvere sarà il fatto che i proprietari dei contenuti che passano in licenza su Netflix (in alcuni casi, serie storiche che ottengono risultati notevoli e costanti) hanno già chiesto un aumento per consentire che siano disponibili anche con la pubblicità. Discorso non semplice e sicuramente non economico (che ci ricorda come l’inserimento della pubblicità non significa automaticamente avere solo entrate e non anche dei costi supplementari). E infatti Ted Sarandos, durante la videoconferenza, ha ammesso che non tutti i prodotti in licenza che si trovano attualmente su Netflix saranno disponibili anche nel servizio con la pubblicità. Greg Peters, il COO di Netflix, ha comunque sostenuto che “siamo ottimisti che l’abbonamento al servizio con pubblicità porterà ricavi uguali o anche superiori di quelli che abbiamo con l’offerta senza pubblicità”.

Fronte ascolti e comunicazione. E’ stato citato l’aggiornamento di Nielsen sulle quote di visioni televisive negli Stati Uniti, per cui Netflix è passata al 7,7% in giugno (era il 6,6% l’anno prima). Interessante lo spazio dedicato, nella lettera agli azionisti, a “L’effetto Netflix”, ossia l’incidenza di un prodotto Netflix nell’orientare la conversazione, ma anche i consumi (come il fortissimo aumento di ascolti di Running Up That Hill di Kate Bush e Master of Puppets dei Metallica, dopo che questi brani hanno avuto uno spazio importante nella storia di Stranger Things 4). Curioso anche il mettere in evidenza la quantità di post Twitter su Stranger Things rispetto a Obi-Wan Kenobi e Top Gun Maverick, come rappresentato da questo grafico:

E’ interessante come questo esempio venga utilizzato per dire che “questo conferma che la nostra strategia di uscita in binge watching, rispetto al mostrare una puntata a settimana, susciti comunque grandi conversazioni alla macchinetta del caffé”. Ma ancora più interessante la frase successiva: “Questa libertà significa che possiamo offrire grandi film direttamente su Netflix, senza il bisogno di avere window estese o esclusive nei cinema, e permette agli abbonati di fare binge watching se vogliono, senza dover attendere un nuovo episodio ogni settimana”. Insomma, se sul fronte binge watching in realtà la società sta sperimentando alcune soluzioni di compromesso (per esempio, il nuovo grande successo coreano, Avvocato Woo, di cui stanno uscendo due puntate a settimana), il discorso sulle sale non sembra proprio indicare un cambiamento nel paradigma (che io definirei “uscite tecniche giusto per accontentare i registi”) che è sempre esistito finora per la piattaforma.

Infine, è stato annunciato l’acquisto dello studio di animazione Animal Logic (che comprende 800 dipendenti, quindi in un certo senso possiamo dire che Netflix ha aumentato la sua forza lavoro, dopo i licenziamenti degli scorsi mesi), con cui si sta già lavorando a due film. Per quanto riguarda i videogiochi, sinceramente la lettera degli azionisti non suscita grande entusiasmo e parla ancora di “stiamo imparando quali giochi funzionino meglio per pubblici diversi”.

C’è chi ha espresso perplessità sulla crescita prevista nel terzo trimestre, come Jessica E. Lessin nella newsletter The Briefing. “Come pensano di riuscirci esattamente? Né la concorrenza né l’inflazione scompariranno e gli abbonamenti a prezzo ridotto grazie alla pubblicità non arriveranno prima del 2023. Netflix potrebbe aumentare le sue spese di marketing, ma questo si rifletterà inevitabilmente nel suo bilancio”.

D’altro canto, l’anno scorso il terzo trimestre aveva portato a un notevole aumento di 4,4 milioni di abbonati (molto superiore a quello fatto registrare nei precedenti trimestri del 2021) e sicuramente Netflix potrà sfruttare il traino delle ultime puntate di Stranger Things uscite il primo luglio. Vedremo cosa succederà…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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