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Fine della window a 10 giorni: e ora che succede?

Niente più window brevissima per le uscite evento. Vediamo quali saranno le conseguenze. Ma, in ogni caso, la nuova norma dovrebbe spingere a riflessioni molto più ampie…

La scorsa settimana, avevo scritto della prossima, molto probabile fine delle window a 10 giorni. In realtà, mentre pubblicavo, si veniva a sapere che, già da qualche giorno, in Gazzetta ufficiale stato pubblicato questo cambiamento (che sembra piccolo, ma è fondamentale), come mi hanno segnalato alcune persone. Mea culpa, ma questo articolo è utile anche per fare chiarezza. Perché ora, il cambiamento è notevole e decisamente importante.

Iniziamo dalle conseguenze più immediate. So per certo che ci sono già titoli/produzioni in grossa difficoltà, perché contavano di uscire ancora come evento (dopo aver preso i contributi per il ‘cinema’, non per l’audiovisivo) e arrivare poi direttamente al vero obiettivo (che si tratti di broadcaster o piattaforma) in 10 giorni, magari in periodi ‘caldissimi’ (come il Natale). Inutile dire che, adesso, chi volesse uscire a Natale sul piccolo schermo, dovrebbe prima passare per le sale non più tardi del 20-25 settembre (anche prima se l’intenzione è di arrivare magari nel ‘periodo’ natalizio, intorno al 15 dicembre), per rispettare i 90 giorni di window.

Adesso, inoltre, chi vorrà lavorare a un film ‘cinema’ che in realtà vuole puntare solo al piccolo schermo (che già a dirlo così fa ridere, ma per due anni è stata una cosa maledettamente seria e disfunzionale), è decisamente più orientato a lavorare con i contributi dell’audiovisivo, che comunque sono potenzialmente minori e che ormai diventeranno ancora più contesi. Almeno, le risorse per il ‘cinema’ andranno a chi vuole veramente puntare sul cinema.

Detto questo, è il caso di tranquillizzare e chiarire alcuni punti, visto che qualcuno teme che questo porterà a una flessione di contenuti di questo tipo per le sale, confondendo magari la possibilità di uscire come evento tre giorni (o comunque, non con una tenitura tradizionale) con la window di 10 giorni (ormai morta e sepolta). Intanto, l’abolizione della window non cambia nulla per le opere di formazione e ricerca (ossia, le “opere audiovisive di finzione di lungometraggio di costo complessivo inferiore a € 1.500.000; i documentari di lungometraggio di costo complessivo inferiore a € 1.000.000; i cortometraggi di costo complessivo inferiore a € 200.000”), visto che già prima, come indica la norma, non erano costrette a rispettare gli obblighi di uscita nei cinema (“Queste opere possono quindi accedere ai contributi selettivi per la produzione riservati alle opere cinematografiche, al tax credit produzione riservato alle opere cinematografiche e alla quota dei contributi automatici riservati alle opere cinematografiche anche se non rispettano i requisiti minimi di uscita in sala come determinati dal D.M. 14 luglio 2017 purché esse siano diffuse nei festival e attraverso fornitori di servizi media audiovisivi”).

Inoltre, ovviamente titoli che escono come evento, ma che hanno preso contributi non cinema (ma Tv/web), non perdono ovviamente quei contributi. Insomma, operazioni che fanno arrivare in sala le puntate di serie importanti (Gomorra e L’amica geniale, solo per fare due esempi) rimangono ancora fattibili senza nessun problema. Inutile dire che, per quanto riguarda i titoli stranieri, non c’è nessun cambiamento, visto che per quello servirebbe una legge dello Stato su tutte le window (enormi successi come Loving Vincent possono continuare a uscire nello stesso modo).

Va ricordato che le window obbligatorie per i film italiani sono state sancite da un decreto dell’allora ministro Bonisoli nel 2018, dopo il clamore generato dall’uscita in day and date (sale e Netflix) di Sulla mia pelle. Per quanto riguarda la window sugli eventi, le ragioni sono varie e diverse, almeno a sentire chi era stato coinvolto all’epoca. C’è chi sostiene, per esempio, che fossero un modo per ‘limitare’ i possibili incassi sala di un film che non credeva tanto nei cinema (in un momento in cui gli incassi erano ancora ‘normali’, a differenza di adesso). Come dire: se vuoi prendere un vantaggio per arrivare in fretta sul piccolo schermo, almeno ti limito nei possibili incassi sala.

Ovviamente, questa norma serviva anche per aiutare i titoli a basso budget nel loro lancio, che così poteva essere ‘unico’ (e non costringeva prima a un lancio ‘sala’ e poi magari dopo 90 giorni a un altro lancio per promuovere gli sfruttamenti successivi). Ma c’erano tanti titoli italiani che venivano prodotti e pensati anche con l’aiuto di Sky e delle piattaforme (di certo, prodotti non così appoggiati a livello di contributi pubblici) e che sarebbe stato stupido non far passare in sala (aiutando magari i conti degli esercenti in giornate feriali). Possiamo citare casi notevoli, come il documentario su Chiara Ferragni, alcuni docu/concerti di grande successo o diversi documentari d’arte che ottenevano risultati significativi.

Fatte tutte queste precisazioni, spero utili, io credo che il problema sia ben più ampio della durata delle window e delle norme per una finestra più corta. Pensate al tax credit esterno. Era una norma che, a livello teorico, era ottima, ossia far investire delle aziende esterne nel mondo del cinema e permettere loro di prendere un tax credit importante (il 40%) per sostenere il settore. Poi si passa alla pratica, che sostanzialmente, in alcuni casi (purtroppo finiti agli onori delle cronache) significava che il produttore si metteva d’accordo per prendere il contributo dell’azienda esterna e poi ‘restituirgli’ magari il 70% di quel contributo. In questo modo, l’azienda esterna aveva già guadagnato (tra contributo pubblico e restituzione dell’investimento) un 10%, il produttore poteva comunque utilizzare un 30% di quell’investimento ‘esterno’ (e magari ci chiudeva un budget) e intanto lo Stato veniva truffato. Risultato? Valore della norma dimezzato al 20% e – inutile nascondercelo – anche chi lo voleva utilizzare correttamente è molto meno incentivato a farlo.

Non c’è dubbio insomma che – una volta che ci sono delle norme che hanno degli obiettivi ‘utili’ – si possano utilizzare anche per scopi che non aiutano tutto il nostro sistema. Beninteso, nell’utilizzo smodato della window a 10 giorni non c’è nessuna truffa e nessuno finirà a processo, quindi non sto paragonando i due fenomeni. Ma si è pensato – così come avvenuto con il tax credit esterno – decisamente troppo all’interesse privato e poco all’interesse comune. Il che, in una società capitalistica, non è certo nulla di inedito, ma che sicuramente avrebbe dovuto portare a reazioni più rapide da parte del governo. E, soprattutto, è un comportamento nell’interesse presente e futuro del nostro sistema? Perché magari un governo che sostiene molto (e concretamente) il settore, non cambia opinione comunque; ma un governo che non è un gran sostenitore, può decisamente utilizzare certe scelte egoistiche a riprova del suo scarso interesse.

In generale, credo anche che la situazione sia semplice, soprattutto a livello di produttori: troppi soggetti, magari entrati in campo solo negli ultimi anni per sfruttare determinati vantaggi, significano anche che molti, pur di sopravvivere, faranno di tutto, anche molto di peggio che sfruttare una window a loro vantaggio (cosa che, ripeto, era assolutamente legale). Forse, al di là della retorica del boom delle produzioni e della piena occupazione delle troupe (ma fino a quando? E poi quale sarà la situazione?), conviene iniziare a pensarci. E a prendere decisioni importanti. Ma a questo punto, temo che, comunque vada, eventualmente non lo farà l’attuale Ministro, ma quello nuovo…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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