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Coda e le aspettative sbagliate sulle piattaforme

Cosa ci attendiamo dalle realtà OTT? Spesso, la soluzione a problemi che non li riguardano e che non hanno intenzione di risolvere…

Il recente arrivo in sala di Coda, vincitore dell’Oscar per il miglior film, ha suscitato molto interesse e grandi discussioni. Di certo, non per il suo incasso (o forse, anche per il suo incasso), decisamente non all’altezza di quello che si attende dal trionfatore del premio cinematografico più importante al mondo. Tuttavia, come spesso succede in questi casi, temo che ci sia una grande confusione.

Partiamo da un punto. Le piattaforme investono tantissimi soldi (chiaramente troppi, con investimenti che non dureranno per sempre, almeno non a questi livelli) per la creazione di nuovi contenuti (o l’acquisizione di prodotti già realizzati, come è stato appunto il caso di Coda). Se lo fanno, è per arricchire il loro business principale, che deriva dagli abbonati (o anche dai loro consumatori in generale, come nel caso di Apple e Amazon).

Così, anche se è comprensibile la frustrazione dell’industria tradizionale, si confonde il prodotto di major e società che magari da un secolo vivono di theatrical (e che dovrebbero continuare a farlo), con quello delle piattaforme, sperando che le seconde si comportino come le prime (mentre invece è esattamente il contrario: sono le società tradizionali che vogliono diventare ‘innovative’ e puntare tutto sullo ‘streaming’, costi quel che costi, letteralmente parlando).

Così come è molto diverso chi prende contributi statali e chi non li prende (E’ stata la mano di Dio, lo ricordo, non li ha presi, cosa che ha fatto risparmiare tanti soldi allo Stato, non si può dire lo stesso di tanti film ‘cinema’ che le sale in questi due anni le hanno viste poco o nulla). Il punto non è che le piattaforme dovrebbero fare uscire tanti/tutti i loro titoli nei cinema e destinare loro una lunga window esclusiva. Non lo faranno e state pure tranquilli che, se non fosse per alcuni prodotti destinati a Oscar e Festival, non capiterebbe mai.

Per chi volesse citare il recente accordo di Netflix in Francia, ricordo che la società si è impegnata a produrre 10 film all’anno e che l’investimento sarà di 30 milioni in tre anni. Il conto è presto fatto: un budget medio di un milione, che porterebbe a prodotti a basso budget anche in Italia, mentre in Francia siamo sul ‘bassissimo’. In ogni caso, è positivo che si incentivi le piattaforme a realizzare film per il cinema riducendo la finestra di sfruttamento sala, ma questo è un altro discorso, che è più adatto affrontare quando si discute di window.

Se pensate “ma le piattaforme potrebbero investire anche nel cinema e fare soldi anche in quel campo”. In teoria, sì, potrebbero. In pratica, significa concentrarsi e investire somme importanti su un campo di cui non si occupano. Per una realtà come Netflix, significherebbe avere i costi di una major (dipendenti in 190 Paesi nel mondo che si occupano solo della sala), dei P&A ingenti (mentre al momento si investe in marketing per un ristretto numero di produzioni e con costi decisamente inferiori a quelli di un importante film cinema, almeno per singolo prodotto) e, soprattutto, disperdere la loro attenzione.

Qui va ricordato un passaggio molto importante del libro di Marc Randolph (fondatore e primo amministratore delegato di Netflix), That Will Never Work, in cui parla del “Canada Principle”. Ci si riferisce alla decisione, per i primi dodici anni di vita della società, di non attivare il servizio nel vicino Canada, ma poi il “Canada Principle” è diventato un modo di descrivere la politica di Netflix, quella di non perdere il proprio ‘focus’ su troppe cose, preferendo concentrarsi solo su quelle poche veramente fondamentali. E’ per questo che chi si aspetta che Netflix (al di là di sporadici acquisizioni di singoli cinema, magari utili alle loro uscite in sala di film per gli Oscar e/o per anteprime speciali) voglia spostare l’attenzione sulle sale e investirci, si fa grosse illusioni.

D’altronde, non è che per gli altri la realtà sia diversa. Ricordo che Amazon Prime Video in passato credeva molto nell’esperienza sala, basti pensare a un’uscita importante come Manchester By The Sea o anche soltanto all’accordo per realizzare diversi film con Woody Allen (andato male per motivi extra-cinematografici). Ma ormai, chiaramente, ha preso un’altra strada. Realtà come Apple non ci hanno proprio mai pensato, nonostante il recentissimo vincitore dell’Oscar, Coda, considerando che anche l’uscita sala americana è stata fatta solo per candidarsi agli Oscar e non per provare a ottenere un incasso significativo (comunque, tenuto nascosto, a conferma che non deve essere stato immenso).

Andiamo avanti. C’è una stranissima aspettativa da parte di alcuni esercenti sui prodotti delle piattaforme, secondo la quale, se questi venissero proposti nelle sale, farebbero un sacco di soldi. Non so da dove è nata questa idea, ma proviamo a farlo per gioco. Certo, prodotti come House of Dragon o la nuova stagione di Stranger Things sarebbero molto interessanti (anche economicamente) come eventi, proponendo le prime due puntate. Ma i produttori (e le piattaforme) se la sentono di farli uscire nelle sale di tutto il mondo e rischiare la pirateria? E comunque, di che cifre parliamo? Se vediamo quanto avvenuto in Italia per prodotti come Gomorra o L’amica geniale, qualche centinaio di migliaia di euro. Ottimo per rimpolpare gli incassi nei giorni feriali, ma non certo per stravolgere il Mercato. E sto parlando di due brand fortissimi, figuriamoci prodotti molto meno popolari e ‘incentivanti’, in grado di convincere le persone a uscire di casa e pagare un biglietto per qualcosa che – entro pochi giorni – potrebbero avere gratis.

Ci sono poi alcuni film che comunque in sala ci arrivano. Ma quanto fanno realmente Don’t Look Up (con le due maggiori star del pianeta!!!) e The Power of the Dog? Molto, molto poco, rispetto a quello che otterrebbero se fossero dei film theatrical con lunga window (ma, come detto, perché deve essere un problema delle piattaforme, che non sono concentrati sulle sale?). D’altronde, è stato stimato che Red Notice, uscito in qualche centinaio di sale negli Stati Uniti, abbia ottenuto circa 1,5 milioni di dollari (il nulla per un blockbuster del genere). La realtà è che, per la stragrande parte dei prodotti, l’abbonato a una piattaforma può tranquillamente aspettare di vederlo quando se lo ritrova nel salotto di casa. Sì, ci sono delle eccezioni, come E’ stata la mano di Dio, ma lì c’è il maggiore regista d’essai italiano (che comunque ha trovato un pubblico vasto e molto più ampio degli addetti ai lavori da Festival) e la percezione di ‘doverlo vedere al cinema’. D’altra parte, perché un abbonato dovrebbe pagare una piattaforma, se questa mettesse tutti i suoi contenuti in sala e con una finestra esclusiva?

Certo, per una singola sala, magari specializzata in cinema d’autore, può essere utile programmare alcuni titoli. Il caso del Beltrade di Milano, che ha fatto tre dei suoi maggiori cinque incassi di sempre con titoli Netflix, è molto intrigante (ma se parliamo di ‘caso’, è perché non è un risultato facilmente ripetibile ovunque). In generale, veramente pensiamo che titoli che magari incassano qualche centinaio di migliaia di euro (il caso di Coda è emblematico), cambierebbero la situazione delle sale italiane e mondiali?

Discorso diverso invece per quanto riguarda l’Academy, che dovrebbe richiedere lunghe finestre theatrical ai titoli che puntano all’Oscar. Ma qui la domanda da porsi è: vogliono veramente far arrabbiare le realtà che ormai investono di più nella promozione dei loro film (e quindi, di riflesso, nell’Oscar stesso, che sta vivendo una grave crisi di ascolti)? Probabilmente no e quindi non fanno nulla (come dimostra anche il caso Will Smith, in cui è molto più grave la mancata reazione dell’Academy che il fatto in sé).

Insomma, non è quindi tanto un problema di Coda o dei film prodotti dalle piattaforme, che, con un sistema di window rigide come in Francia, in sala non ci uscirebbero mai. Il vero problema sono tutte quelle realtà (major, produttori, distributori) che magari in questo momento hanno interesse a risparmiare il più possibile dall’uscita in sala e che così facendo stanno impoverendo il Mercato sala (cosa di cui dovremo riparlare). La semplice lezione per tutti è: non chiedete alle piattaforme di risolvere problemi che non li riguardano. Invece, chiedete alle istituzioni di mettere delle regole rigide contro la loro voracità…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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