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Le piattaforme streaming costano troppo? O troppo poco?

L’offerta in streaming è ormai molto ricca e variegata. Ma cosa ci dicono i prezzi che vengono proposti? La realtà è decisamente complessa e forse anche contraddittoria…

Avrete forse visto il bell’articolo che ha fatto Filippo Magnifico e in cui monitora con grande attenzione i costi delle piattaforme streaming, non solo quelle di cinema e serie, ma anche le realtà di musica, sport e informazione. E’ un ottimo punto di partenza per fare tutta una serie di valutazioni e per capire meglio come sta andando avanti il mondo dell’audiovisivo via streaming.

Partiamo da una considerazione fondamentale: c’è un’enorme differenza tra il mondo della musica e gli altri settori, che si tratti di sport, film e/o serie. In effetti, l’abbonamento a un unico servizio (che sia Spotify, Amazon Music Unlimited o Apple Music) permette sostanzialmente di ascoltare qualsiasi cosa ci piaccia, compresa la musica classica dei secoli scorsi. Certo, potrà esserci qualche mancanza di nicchia (e qualcuno che ha boicottato Spotify per protestare contro Joe Rogan), ma in generale il grande pubblico con un unico abbonamento trova tutto quello che vuole.

Questo però significa anche che è veramente difficile guadagnare da questo business. Come potete vedere in questa pagina, i numeri di Spotify sono impietosi. La società non ha mai fatto segnare un utile operativo. Anzi, le perdite continuano ad aumentare. Basti pensare che nel 2020 aveva fatto segnare un rosso di 581 milioni, mentre nel 2019 era stato di 186 milioni. Certo, gli abbonati a pagamento sono in continua crescita (165 milioni l’anno scorso), ma è evidente che non bastano per ripianare le perdite, derivanti anche dai grandi investimenti non solo in musica, ma anche sui podcast. E preoccupa un ARPU che nel terzo trimestre del 2021 è di 4,34 dollari, che non solo non aumenta, ma diminuisce rispetto ai dati del 2018-2019. Insomma, è chiaro che Spotify, per vincere le guerre dello streaming musicale sta offrendo un servizio a un costo troppo basso per guadagnarci (si può dire lo stesso magari anche per gli abbonamenti musicali di Amazon o Apple, solo che lì – come diciamo spesso anche per le piattaforme audiovisive di queste realtà – ci sono discorsi più complessi e in cui può avere anche un senso essere un ‘loss-leader’).

Ma questo significa anche che al consumatore, in questo momento, le cose vanno benissimo non solo sul fronte dello streaming musicale, ma anche negli altri. Soprattutto perché un conto è il costo ufficiale di qualche realtà, un altro è quello effettivamente pagato. Personalmente, pago Disney+ solo 4,99 euro attraverso l’abbonamento a Tim (linea domestica). Ho fatto un abbonamento scontatissimo a Discovery+ (che comprende anche tutto Eurosport) per tutto il 2022 e a soli 29,99 euro (quindi, 2,5 euro al mese, il prezzo di due caffé). Tra parentesi: la fusione tra Warner e Discovery mi intriga molto, soprattutto perché potrebbero dar vita a una piattaforma con contenuti straordinariamente variegati, molto forte anche sul lato sportivo (se poi riusciranno a non ‘sommare’ i prezzi dei due servizi attuali, ma farne uno ‘medio’, diventerà probabilmente un affarone, almeno per i clienti, forse non per le aziende).

Non parliamo poi dei servizi a cui ti abboni solo in certi periodi, per poi disattivarli (e magari riprenderli mesi dopo). Mi è capitato di farlo recentemente per Now Tv (per le ultime puntate di Gomorra), costato 10 euro al mese per due mesi; Apple+ (quando c’è Ted Lasso, al prezzo normale di 5 euro); e Starz (un euro al mese per tre mesi). In tutte queste occasioni, ovviamente, ho cercato di recuperare tanti titoli di catalogo presenti in quelle piattaforme. Credo proprio di non essere il solo ad agire in questo modo.

Insomma, dal punto di vista dei consumatori, è sicuramente un periodo molto positivo, con tanti contenuti importanti a prezzi ridotti. Da addetto ai lavori, non posso invece che essere preoccupato della ‘sostenibilità’ di questi modelli (improntati al momento a raccogliere più abbonati possibile, costi quel che costi), per non parlare dell’offerta di ‘film cinema’ che arrivano su queste realtà dopo poche settimane dall’uscita in sala. E’ una scelta commerciale assolutamente comprensibile da parte di queste società private, ma bisognerebbe regolare questo aspetto in maniera decisa, altrimenti la lotta tra sala e piattaforme (che a mio avviso di base sono due forme di intrattenimento diverse, una a casa l’altra fuori casa) diventa un massacro.

E’ vero però che, a differenza di quello che avviene per la musica, i contenuti audiovisivi sono estremamente frammentati e divisi tra molte realtà. E qui arrivano i bundle, che probabilmente diventeranno ancora più popolari e diffusi nei prossimi anni, come già era avvenuto per la tv via cavo. In America, è ottimo quello che mette assieme Disney+, Hulu ed ESPN+ a soli 13,99 dollari. Da noi, è sicuramente molto intrigante (ma dovete essere appassionati di calcio, perché al centro di tutto c’è l’offerta DAZN) il pacchetto GOLD di Timvision, che offre Netflix, Disney+, DAZN, Infinity+ e, ovviamente, Timvision a 29,99 euro (diventerà 44,99 in seguito), rispetto ai 67 euro complessivi che costerebbero i singoli servizi.

Ma anche con i bundle, i conti tornano? Per il consumatore, sicuramente sì, ma per queste realtà (che da un bundle ovviamente non possono ottenere le stesse cifre che dall’abbonamento ‘autonomo’) c’è il rischio di ‘svendere’ un po’ il prodotto. E si arriva un po’ a un controsenso per queste realtà e i consumatori. Chi vuole avere un panorama di audiovisivo molto variegato e ricco, inizia a dover spendere cifre importanti, magari anche superiori al ‘vecchio’ piano Sky. Ma per le singole piattaforme, l’ARPU medio rischia di essere bassino e di dover quindi fare qualcosa (banalmente, alzare i prezzi e/o ridurre i costi). E’ l’ennesima conferma che, quando parliamo del ‘successo’ delle piattaforme, al momento vogliamo indicare la popolarità di questi servizi, non certo i risultati economici. Insomma, per rispondere al titolo dell’articolo, forse si può rispondere affermativamente a entrambe le domande. Dipende solo dai punti di vista…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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