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I numeri delle piattaforme – Netflix (prima parte)

Cosa possiamo capire dal bilancio di Netflix? Quali sono i punti di forza e le eventuali debolezze di questa azienda? Iniziamo a scoprirle…

Da oggi, iniziamo un’analisi approfondita delle principali piattaforme streaming, facendo attenzioni non solo ai loro contenuti, ma soprattutto a bilanci, abbonati e introiti. Ovviamente, non potevo iniziare se non con la società al vertice, Netflix.

Ho pensato di suddividere questa analisi in due articoli specifici: uno sui numeri di bilancio, l’altro sui contenuti e le strategie che Netflix ha comunicato (o che possiamo presagire), magari proprio nelle relazioni di bilancio. Questo primo articolo quindi sarà discretamente noioso, come tutto quello che è legato ai bilanci aziendali, ma d’altro canto sarebbe impossibile effettuare una valutazione efficace se non ci concentrassimo sui fondamentali.

Per prima cosa, devo dire che mi ha stupito come nel suo bilancio Netflix ponga l’accento su decine e decine di cose che potrebbero andare male e provocare perdite all’azienda. Sicuramente, sarà anche un modo per mantenere alta la guardia, ma devo dire che non riscontro ‘avvertenze’ simili nei bilanci di aziende italiane.

Dalle tante informazioni che ho letto (il bilancio 2020 si può trovare qui, mentre i risultati aggiornati ai primi tre trimestri del 2021 invece qui), alcune cose mi sembrano particolarmente degne di nota. Vediamole.

Se è ovvio dire che (cito dalla loro relazione) “la crescita di abbonati può essere influenzata dalle date di uscita dei contenuti e dai cambiamenti nel prezzo dell’abbonamento”, è interessante leggere che “la maggiore crescita Netflix storicamente la viva nel primo e nell’ultimo trimestre, quindi da ottobre a marzo”. Per quanto riguarda l’ultimo trimestre, posso immaginare che il maggior tempo libero a Natale (e un’offerta che di solito è più ricca) incentivi l’abbonamento, mentre per il primo trimestre ammetto di non avere congetture valide per spiegarne l’importanza. A dire il vero, comunque, i dati dei primi tre trimestri 2021 non confermano questo predominio del primo trimestre.

Le ragioni per cui viene cancellato l’abbonamento sono abbastanza ovvie (tra queste, la percezione di non utilizzare abbastanza il servizio, il bisogno di tagliare le spese domestiche, contenuti non soddisfacenti, problemi che non vengono risolti dal customer care o concorrenza che viene giudicata migliore). Tuttavia, questo spinge a dire testualmente “abbiamo bisogno di aggiungere costantemente nuovi abbonati sia per rimpiazzare chi ha abbandonato e per far crescere l’azienda al di là dell’attuale base di abbonati”. Potrà sembrare una considerazione ‘banale e scontata’, ma su questo aspetto si basa tutto il futuro dello streaming, non solo per Netflix. In effetti, cosa succede quando un servizio streaming raggiunge un picco di abbonati e non riesce più a crescere? Non è certo un futuro remoto, visto che gli abbonati di Netflix nell’area Stati Uniti/Canada (74 milioni al 30 settembre 2021) sono rimasti invariati rispetto a fine 2020, quando erano 73,9 milioni. Ed è un problema simile anche per Disney+ (meno forte visto che questa azienda è arrivata solo due anni fa sul Mercato, ma essendo partita molto bene, inizia già ad avvertirlo in patria).

E’ indubbio che Netflix viva di abbonati e in questo senso il grafico che ho preparato sotto mostra la crescita nelle varie zone mondiali, che ha portato ad avere quasi 214 milioni di abbonati complessivi al 30 settembre (l’infografica interattiva è qui, i dati sono espressi in migliaia):

Qui invece (per comodità) possiamo vedere la crescita degli abbonamenti mondiali complessivi dal 2018 al 2021 (qui l’infografica interattiva):

Dico subito che sarebbe ottimale avere dei dati nazione per nazione (soprattutto la zona Europa, Medio Oriente e Africa mette insieme realtà e prezzi molto diversi), ma per ora dobbiamo accontentarci di questi. Comunque, ci sono delle indicazioni interessanti, oltre alla già citata ‘stabilità’ del mercato nordamericano. Sappiamo tutti che, a causa del Covid, Netflix ha vissuto una crescita vertiginosa nel 2020, che ovviamente ha portato a risultati inferiori nel 2021. Tuttavia, in Europa, Medio Oriente e Africa gli abbonati sono passati dai 66,6 milioni del 2020 ai 70,5 milioni al 30 settembre 2021 (e il sorpasso sul Nord America sembra molto probabile nel 2022); In America Latina, dai 37,5 milioni (2020) a 38,9 milioni (30 settembre 2021); dai 25,4 (2020) ai 30 milioni in Asia, dove si è registrata la crescita più importante. E’ interessante chiedersi se sia dovuta a Squid Game, ma probabilmente non è così, considerando che quella serie è uscita il 17 settembre (vedremo quali saranno i dati asiatici dell’ultimo trimestre 2021). Al momento, nel 2021 gli abbonati sono aumentati di circa 10 milioni e si prevede che l’anno si chiuderà con un aumento di 18 milioni. Forse è un’ipotesi troppo ottimista, ma va detto che Netflix nel terzo trimestre ha ottenuto 4,3 milioni di nuovi abbonamenti, al di sopra delle sue previsioni (3,5 milioni) e di quelle degli analisti (3,8 milioni). Alcune previsioni parlano di una cifra tra i 25 e i 27 milioni di aumento di abbonati nel 2022 (ma mi sembra difficile fare valutazioni, anche non sapendo bene quale sarà la situazione sanitaria nei prossimi mesi).

Dove conviene fare molta attenzione sono i numeri sul costo medio dell’abbonamento, dai quali si deduce che in realtà c’è comunque (anche nelle zone in cui il numero degli abbonati è sostanzialmente stabile) una crescita notevole di ricavi, come si può vedere in questa infografica (qui la versione interattiva):

Prendiamo gli Stati Uniti: Il prezzo medio dell’abbonamento era di 11,45 dollari a fine marzo 2019, 13,09 dollari un anno dopo ed è 14,68 dollari a settembre 2021. L’aumento tra un anno e l’altro ha toccato il 13% nel 2019, il 6% nel 2020 (chiaramente si è fatto molta attenzione a non aumentare troppo i prezzi nell’anno della pandemia, che ha messo in difficoltà tante persone) e al momento è a +9% nel 2021. Per quanto riguarda l’Europa/Medio Oriente/Africa, si è passati da 10,23 dollari (marzo 2019) a 10,40 (marzo 2020) e 11,62 nel 2021, con un +10% in quest’ultimo anno. Insomma, Netflix ha già dimostrato di poter riuscire a rendere il costo dell’abbonamento più in linea con le spese necessarie per dar vita a centinaia di prodotti ogni anno e senza che questo faccia calare il numero degli utenti.

Discorso molto diverso in America Latina, dove si è partiti da 7,84 dollari a marzo 2019 per arrivare a 7,86 dollari a settembre 2021, con un 2020 che in certi trimestri ha fatto segnare un calo in doppia cifra. In Asia, dai 9,37 dollari di marzo 2019, siamo adesso ai 9,68 dollari di settembre 2021, con un 2020 in cui si era scesi anche sotto i 9 dollari. Qui chiaramente c’è il desiderio di attrarre nuovi abbonati con prezzi più bassi, come conferma anche il recente calo dei prezzi in India (dove Netflix è dietro a Disney+ – grazie alla forza della piattaforma Hotstar, acquisita con 20th Century Fox – e Amazon Prime Video).

In ogni caso, i ricavi consolidati a fine 2020 sono aumentati del 24% rispetto all’anno prima, frutto quasi esclusivamente dell’aumento nel numero di abbonati (anch’esso +24%), visto che il prezzo medio dell’abbonamento è salito solo dell’1%. Da notare come il margine operativo in questi primi nove mesi sia di 5,5 miliardi di dollari, quindi già ben superiore ai 4,5 miliardi ottenuti in tutto il 2020.

Nella relazione di bilancio, si fa notare come, in caso di mancata crescita, “considerando che i costi per i contenuti sono per lo più fissi e con accordi su diversi anni, si potrebbe non riuscire a equilibrare le nostre spese o aumentare i ricavi per abbonato per compensare il tasso di crescita inferiore, tanto che i nostri margini, la liquidità e i risultati operativi potrebbero essere influenzati negativamente”. Un punto fondamentale che viene evidenziato è come, fino al 2020, il cash flow operativo fosse negativo. Se tornasse a esserlo, Netflix “dovrebbe cercare ulteriori capitali”, ma in realtà l’azienda ha annunciato nel 2021 che dal prossimo anno il cash flow sarà positivo.

La relazione mette in evidenza anche la volatilità del prezzo delle azioni Netflix, che ovviamente può portare a conseguenze negative. In realtà, va detto che finora i cambiamenti sono sempre stati positivi, come si può vedere in questo grafico:

Qui c’è un discorso fondamentale da fare, che alcuni analisti (per esempio David Poland) hanno messo in evidenza più volte, ossia il fatto che Netflix viene considerata un’azienda tecnologica (è quotata al Nasdaq) e non una semplice azienda di intrattenimento. Tante altre realtà (soprattutto le major con le loro piattaforme) vorrebbero avere questo rapporto P/S tra capitalizzazione di Borsa e fatturato, che è attualmente (22 dicembre) di 9,76 per Netflix.

Un aspetto che vorrei sottolineare è la diminuzione dei costi di marketing avvenuta nel 2020 rispetto all’anno prima (2,2 miliardi contro 2,6). Tuttavia, quest’anno si è tornati esattamente ai valori del 2019 con 1,7 miliardi spesi nei primi tre trimestri. La riduzione del 2020 era legata al calo negli investimenti pubblicitari (dovuti ovviamente anche al Covid), ma i dati del 2021 confermano che si è tornati a investire molto su questo aspetto, nonostante negli ultimi due anni il brand Netflix sia cresciuto molto (e, mi permetto di dire, sia ormai molto più importante di quasi tutti i singoli contenuti presenti sulla piattaforma).

E veniamo a un dato assolutamente fondamentale e che per anni ha lasciato qualche perplessità sui conti di Netflix, ossia quello dei debiti. Al 31 dicembre 2020, la società aveva 16,3 miliardi di debiti da ripagare in sedici tranche tra il 2021 e il 2030. Va detto che gli ultimi dati sono in miglioramento: non solo i debiti a lungo termine, negli ultimi nove mesi, sono passati a 14,7 miliardi (visto che è stata pagata una tranche a febbraio 2021 e la prossima a febbraio 2022 è quindi a breve termine), con una riduzione simile per quanto riguarda le spese totali (da 28,2 a 27,4 miliardi). Qui sotto, potete vedere i tempi di pagamento delle 16 tranche:

E’ interessante notare come non ci saranno debiti da ripagare nel 2023 (cosa utilissima per aumentare gli investimenti in contenuti o per ridurre in generale i costi, a seconda delle scelte che il management farà), mentre invece ci saranno da ripagare circa 2 miliardi nel 2025, quasi 4,1 miliardi nel 2028 e addirittura 5,4 miliardi nel 2029, annualità in cui ovviamente bisognerà fare molta attenzione.

Comunque, a gennaio scorso Netflix ha annunciato che non dovrà più richiedere soldi in prestito alle banche per finanziare le proprie attività, grazie a un cash flow che – come detto sopra – dal 2022 sarà positivo, con l’idea di mantenere un debito tra i 10 e i 15 miliardi sul lungo periodo.

In ogni caso, il vantaggio enorme di Netflix su tutti gli altri concorrenti (almeno quelli che non vedono le loro piattaforme come dei loss leader, è il caso magari di Amazon o Apple), è quello di poter iniziare ad aggiustare la rotta legata al debito (e ovviamente le spese per i contenuti) e farlo su basi affidabili di abbonati/ricavi, mentre gli altri devono continuare a spendere senza sapere bene dove arriveranno esattamente e se riusciranno mai a trovare un equilibrio economico.

Una cosa sulla quale mi sembra che Netflix venga sottovalutata (e che potrebbe invece portare importanti benefici nei prossimi anni) è che le acquisizioni di property importanti (come quella delle opere di Roald Dahl) e in generale la popolarità di alcuni prodotti potrebbe dar vita a operazioni di merchandising e licensing di valore. Recentemente, lo si è visto con i costumi di Halloween ispirati a Squid Game, ma in futuro perché non pensare ad attrazioni nei parchi a tema, magari collegati a Stranger Things o a La casa di carta, solo per citare due nomi? Sarebbe, peraltro, una fonte di ricavi che diversificherebbe quella attuale, esclusivamente legata al numero di abbonamenti e al ricavo medio generato dal singolo utente.

Sul futuro, segnalo solo un aspetto importante, ossia la Cina. 1,4 miliardi di persona fanno gola a tutte le realtà dell’entertainment, ma finora le piattaforme straniere non hanno potuto competere in questa nazione. Arriverà un giorno in cui saranno liberi di farlo, magari associandosi a qualche società locale (cosa che sembra obbligatoria)? Lo speriamo, anche se la situazione geopolitica attuale non invoglia all’ottimismo e sta già provocando grossi danni a tanti blockbuster americani che non hanno avuto il permesso di uscire nei cinema cinesi.

(Fine Prima parte – Continua)

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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