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I David di Donatello sono un premio a Golia?

Lo strabismo di una cerimonia fra red carpet e zerbini.

Dopo la cancellazione dell’appuntamento originariamente previsto per il 3 aprile, in pieno lockdown, lo scorso 8 maggio si è tenuta la cerimonia di assegnazione dei David di Donatello, con una formula che ha dovuto tener conto dei perduranti vincoli di distanziamento sociale. E’ una delle “tappe di avvicinamento” all’interno dell’auspicato processo di normalizzazione del settore, che a brevissimo scoprirà tempi e modalità per la gestione delle riaperture delle sale. Di questo processo e delle dinamiche del ri-avvicinamento degli spettatori all’esperienza del cinema in sala si parlerà nel secondo incontro virtuale organizzato da Brad&k ed Ergo research (il primo era dedicato a IL FUTURO DEL CINEMA IN SALA NELLA PROSPETTIVA DEGLI ADDETTI AI LAVORI), che proverà a rispondere al seguente interrogativo: GLI ULTIMI (AD ESSERE STATI AL CINEMA) SARANNO I PRIMI (A TORNARCI)? L’appuntamento è per giovedì 14 alle 16:59. Qui il link per l’iscrizione.

La cerimonia dei David di Donatello tenutasi lo scorso 8 maggio ha premiato, nelle diverse categorie, il meglio della produzione cinematografica uscita in sala nell’arco del 2019. In oltre 20 categorie, con relative cinquine, ruotavano una trentina di titoli italiani (evidenziando una forte concentrazione nelle candidature), a fronte di oltre 130 titoli iscritti (fra i soli lungometraggi, documentari esclusi), che dimostrano al tempo stesso quanto sappia essere prolifico il mondo delle produzioni cinematografiche e quanto sia diffusa la “sindrome dello scarrafone”. Molti cercano nei premi assegnati dall’Accademia del Cinema Italiano la consolazione che non hanno trovato al box office o nella loro vita festivaliera; la sanatura dell’incomprensione da parte del pubblico o di altre giurie. Anche nelle cinquine principali (miglior film e miglior regia; identiche) sono finiti film non “larghissimi”, ad eccezione di PINOCCHIO (oltre i 15 milioni di box office) e de IL TRADITORE (vicino ai 5). Gli altri (IL PRIMO RE, LA PARANZA DEI BAMBINI e MARTIN EDEN) hanno oscillato fra 1,5 e 2 milioni di incassi, con un numero di spettatori in sala compresi fra 250k e 350k. Non esattamente titoli “larghissimi”, almeno in relazione alla loro vita in sala, dato che, viste le date di uscita, si tratta di film resi poi disponibili per noleggio ed acquisto digitale, con alcuni ormai disponibili anche in abbonamento (qualche titolo su Sky e Now TV, altri su Infinity, qualcuno su Prime Video… nessuno su Netflix). In sé non ci sarebbe niente di male, se non fosse che la cerimonia in questione è da tempo un evento di prima serata programmato su Rai 1 e, come tale, ambirebbe ad una popolarità sufficiente almeno per garantire ascolti in linea con la media di rete. L’edizione del 2020 si è fermata a quota 2.040.000 spettatori, con uno share pari all’8,4% (contro i 2.975.000 del 2019, con share al 15%).

Insomma, il trepidante meccanismo del “the winner is…” regge da un lato se la fan base dei titoli candidati è sufficientemente ampia e spera ardentemente che vinca il “suo” film (ma il presupposto dell’avvenuta visione valeva per un numero relativamente basso di titoli e spettatori), oppure se sostenuto dalla spettacolarità del “come” avviene la premiazione (non a caso, con alterne fortune, per la cerimonia degli Oscar ci si è spesso affidati a figure brillanti come Jimmy Kimmel o Chris Rock o Neil Patrick Harris, chiamati a dare dignità di spettacolo alle “cuciture”). Anche il red carpet ed il glamour della serata ed il colpo d’occhio dei talent in sala (ah, la sala…) gioca evidentemente un ruolo fondamentale, ed il passaggio forzato dal red carpet allo zerbino di casa non ha aiutato. Intendiamoci, lo sforzo di salvare la manifestazione è stato lodevole, ma è chiaro che la fascinazione di certi talent funziona di più nel mutismo dell’eleganza e del red carpet che dalle finestre zoom-style ed ai discorsi improvvisati (perché non tutti hanno imparato la lezione di Oscar Wilde quando sosteneva: “generalmente mi ci vogliono più di tre settimane per preparare un discorso improvvisato” e, fuori da una sceneggiatura, capita di smarrirsi).

La sensazione però è che, sottotraccia, a “lavorare contro” (la riuscita della cerimonia come evento capace di intrattenere un vasto pubblico) ci sia un malcelato intento pedagogico che suona un po’ come “caro pubblico, tu vai poco al cinema e, quando lo fai, di solito scegli male: avresti dovuto scegliere fra questi”. In sé non è certo un obiettivo disdicevole quello di lavorare sui paradigmi di gusto; la sensazione è che sia migliorabile il “come”, smarcandosi dalla dicotomia noi-voi (che, al singolare, rischia di assumere sfumature alla Marchese del Grillo).

Mettiamo comunque da parte le discutibili riserve mentali di chi scrive, ed assumiamo che tutto vada bene e che la cerimonia dei David celebri con efficacia il meglio della produzione cinematografica del 2019. Molti spettatori (anche quei 2 milioni non sono pochissimi) hanno preso appunti e, fra le cinquine, decidono di recuperare un po’ di film perduti. Dove vanno, ispirati dal buon David? Ma ovviamente a casa di Golia! I film in questione sono infatti “in mezzo al guado” fra la finestra theatrical (nominalmente chiusa) ed i passaggi free. In questo non si può non notare un certo strabismo, visto che il tutto si celebra nel tempio del generalismo gratuito (Rai 1) con l’intento di esaltare l’unicità dell’esperienza della sala.

Tutti i titoli delle cinquine principali sono disponibili su Sky (e molti su Infinity). PINOCCHIO è anche su Prime Video, nessuno è su Netflix (ma è fondamentalmente una questione di tipologia di diritto). Quasi tutti (e buona parte di quelli nelle altre cinquine) sono inoltre disponibili in buona parte delle piattaforme specializzate in noleggio ed acquisto digitale (TVOD ed EST). Interessante il fatto che IL SINDACO DEL RIONE SANITA’ sia disponibile gratuitamente su Rai Play (pare con buoni risultati), che la piattaforma ospita anche tutti i corti in cinquina. Le diverse piattaforme avranno beneficiato di questo slancio ecumenico?
Non è dato saperlo (almeno non in base a regole e prassi attualmente in vigore), perché mentre Cinetel da una parte ed Auditel dall’altra sono “scatole trasparenti”, gli atti di visione all’interno delle piattaforme rimangono chiusi all’interno di una black box (con implicazioni che varrà la pena di approfondire).

C’è da sperare (come promesso da Piera Detassis, presidente dell’Accademia David di Donatello) che molti fra i titoli vincitori o presenti nelle cinquine siano fra i protagonisti dell’estate delle arene estive o nella programmazione delle prime settimane post-riapertura delle sale, ri-portandoli verso il contesto della fruizione collettiva (sia pur “distanziata”).

Un’ultima considerazione va a qualcosa che manca/mancherà agli addetti ai lavori e che si caratterizza per elementi che, opportunamente declinati, potrebbero guadagnare rilevanza anche per il grande pubblico. Mi riferisco a Ciné: la splendida vetrina sul cinema prossimo-venturo che illuminerà le sale nei mesi successivi. Sappiano che il tradizionale appuntamento riccionese dell’inizio di Luglio salterà, ma in molti sperano che, in una qualche forma, lo si possa recuperare. E’ fondamentale che, definita la roadmap delle aperture, i distributori ricomincino a definire un calendario di uscite e che gli esercenti si orientino in merito al programmabile (pur in un probabile contesto di distribuzione ibrida). Chiunque abbia partecipato ad una edizione di Ciné indossa al tempo stesso la casacca di addetto ai lavori e di spettatore, e, di fronte a convention e listini, si è ritrovato a stilare la sua personale lista di quello che gli piacerebbe vedere.
Perché non studiare un format che estenda questo meccanismo anche agli spettatori, sfruttando anche tutto il potenziale dell’interazione digitale (es. titolo e listino più votato)? So che su molti dei contenuti proposti a Ciné agli addetti ai lavori si applicano stringenti regole di embargo, ma sono sicuro che in tantissimi coglierebbero questa opportunità di promozione, inducendo anche lo spettatore a guardare avanti (e non lo specchietto retrovisore, come inevitabilmente accade con i premi).

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