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Le guerre dello streaming: altre 4 Major aderiscono al progetto Movies Anywhere di Disney

Movie Anywhere è davvero un bel progetto, che potrebbe spostare l’ago della bilancia della guerra dello streaming dalla parte delle Major, portando più rapidamente al pettine i nodi del modello produttivo di Netflix. A patto, però, di essere tecnicamente impeccabile.

Fox, Sony, Universal e Warner Bros. si sono unite a Disney per il lancio del suo progetto Movies Anywhere, che dopo le scaramucce di questa estate è  una delle battaglie chiave della guerra contro Netflix, in quanto è quella che si gioca sul suo territorio, quello tecnologico, dopo che l’azienda di Hastings ha sfidato in modo sempre più determinato le Major nel campo della produzione con i suoi Netflix Originals. Come altre volte, abbiamo la fortuna di vivere in tempi interessanti.

Online si consumano, fin dalle origini della rivoluzione dell’informazione portata da internet, guerre tra colossi della tecnologia, dell’informazione e di ogni altro genere di settore che a volte si svolgono in modo diretto, tra aziende più o meno innovative per intenderci, come fu la guerra dei browser tra Netscape ed Explorer, altre volte indirettamente con startup distruptive che mettono in crisi un’intero settore, il modello economico su cui ha sempre funzionato e indirettamente anche le aziende che lo abitano. Quest’ultimo è il caso ad esempio di Uber e in generale del car sharing, che minaccia il modello di funzionamento del trasporto su gomma in città; di Amazon, che si sostituisce sia al piccolo commercio al dettaglio che alla grande distribuzione; ma anche di Airbnb che crea una nuova offerta di ospitalità nelle città versus l’offerta alberghiera che stava a malapena imparando, anche qui grazie ad alcuni grandi operatori che stanno monopolizzato il mercato, a sostituire le vecchie agenzie di viaggio con internet per acquisire clienti. Più in generale è un fenomeno che riguarda qualsiasi settore in cui un modo più efficace ed efficiente di far incontrare domanda e offerta possibile grazie all’intermediazione fatta da siti o app può sostituirsi a organizzazioni limitate dall’uomo e da vecchie metodologie: vuoi mettere prendere il taxi con una app rispetto al passare dal vecchio centralino?

Queste aziende, che in alcuni casi chiamiamo ancora startup, riescono nell’impresa di aggredire singolarmente interi settori, aprendo poi la strada a imitatori vari, perché intorno a un’idea centrale perfettamente eseguita -sono infatti innanzitutto servizi che funzionano- aggregano risorse finanziarie del tutto sproporzionate rispetto ai metodi di valutazione delle aziende con modelli tradizionali, attraverso cui permettersi cose altrimenti impossibili. Mi sembra ieri quando in Italia si gridava allo scandalo perché Tiscali capitalizzava più  di FIAT e giusto qualche settimana fa un’infografica faceva riflettere proprio sullo sbilanciamento tra ricavi e profitti di Disney vs valori di borsa di Netflix, dove quest’ultima continua a godere di una valutazione per azione quasi al doppio di quella di Disney, e di 222 volte sugli utili, rispetto al solo moltiplicatore di Disney a 17.

Questi valori non rappresentano altro che la scommessa fatta dal mercato sul fatto che tra 20 o 30 anni ci sarà Netflix al posto della Disney e, probabilmente, di molte altre Major. Una scommessa che si autoalimenta perché è proprio grazie a questa credibilità e risorse che Netflix sembra essere diventato il paradiso della produzione audiovisiva, fino al punto di retroagire su uno dei pilastri fondamentali su cui si fonda l’industria del cinema, il film, destinato di questo passo a essere emarginato (qualcuno ha detto che questa estate era la fine dei film) grazie ai progetti scelti per essere prodotti finiscono per trasformare ogni concept in qualcosa che “conviene sviluppare” in almeno 13 puntate e con molti produttori che si trasformano da cinematografici a seriali.

Le prime scaramucce di questa guerra annunciata sono diventate evidenti questa estate, quando Disney ha dichiarato che avrebbe tolto i suoi film a Netflix, Netflix ha “rubato” Shonda Rymes alla ABC, Carlton Cuse che invece torna alla ABC, Netflix che espande i suoi studi, e tutta una serie di annunci di questo tipo che facevano capire quanto tutti gli operatori del settore vecchi e nuovi si stessero preparando ad entrare nel vivo di un conflitto, reso più interessante anche dall’ingresso di Apple, che proprio l’altro ieri ha annunciato che produrrà la nuova serie Amazing Stories di Steven Spielberg.

Contemporaneamente è sempre durante questa estate che qualcosa ha iniziato a rompersi nel perfetto storytelling che Netflix aveva saputo costruire introno al suo brand che partendo dalla supremazia della propria tecnologia di streaming e di un algoritmo di raccomandazioni su cui tutti abbiamo dei dubbi, aveva anche costruito a partire da House of Cards una storia di produzioni di grande qualità e successo. Per quanto non manchino le serie ottimamente accolte da critica e pubblico, non è tutto oro quel che Netflix manda in streaming e questa estate hanno cominciato a chiederselo un po’ tutti (incorporo qui accanto un post Facebook di Giorgio Viaro che ben riassume queste considerazioni, al di là delle preferenze personali) anche chi ha sempre dimostrato grande amore per il brand considerando geniali quelli che qui consideriamo palesi pasticci ben travestiti da una comunicazione che, ironia del destino, ha cominciato a perdere colpi proprio dopo la cancellazione di Sense8.

Ora il gioco si fa veramente interessante perché Movies Anywhere sposta il confronto su un territorio in cui Netflix non teme davvero confronti e su cui sono affondate tutte le precedenti iniziative delle Major di affrontare il mercato digitale, come ad esempio UltraViolet. Nessuno ha dubbi sul fatto che le major sappiano produrre bene e abbiano le risorse per attirare i talenti necessari a farlo, ma se ci guardiamo alle spalle continuiamo a vedere realtà che non hanno mai saputo maneggiare la tecnologia. Che ai tempi in cui si diceva content is king (e deve essere ancora così se c’è tutta questa convergenza di interessi) hanno lasciato che si sostituisse il pensiero context is queen, ovvero che alla fine ciò che conta è controllare il canale e poi la gente ti segue valorizzando anche contenuto medio, come certi prodotti non di marca che troviamo sugli scaffali del supermercato e che vendono proprio perché sono in quel canale, in quel preciso momento. Non abbiamo nemmeno dubbi che i prezzi di questi servizi siano destinati a salire, perché le aziende non restano startup per sempre e una cosa è produrre con un indebitamento fisiologico, un’altra da startup.

La leva tecnologica e del marketing di questi servizi sarà quindi fondamentale e Movies Anywhere sulla carta sembra davvero interessante da quel che si legge perché parte ad esempio con la promessa che usando sia un sito web che una app gratuita i consumatori possano accedere a tutte le loro library connettendo il loro account con Amazon Video, Google Play, iTunes e Vudu; da qui sincronizzare le loro librerie e mandare in streaming e/o scaricare i contenuti sui device Amazon, Android (comprese le Android TV), iOS ed anche su Apple TV, Chromecast e i device Roku.
Tutto bellissimo, peccato che stia provando ad andare da quando ho cominciato a scrivere sul servizio per fare almeno un’immagine da mettere nell’articolo e l’unica cosa che ho ottenuto sia l’immagine che vedete qui sotto. Non bene per il giorno di esordio e dimostrazione, ancora una volta, che il rischio di queste iniziative è che fare una startup tecnologica è una sfida imponente.

Chiudo con un aneddoto personale. Ieri sera ero in una sede con una connettività, sia wifi che mobile, traballante. Volevo vedere la nuova serie degli Inhumans su Sky  ma SkyGo , come sempre in casi di connessione bassa, non andava oltre il bel Play Verde della prima schermata. Allora ho ripiegato su Amazon Prime, ma purtroppo nemmeno Amazon Prime funzionava. A malincuore, perché su al momento non c’è niente che mi interessi vedere, ho aperto Netflix e magicamente è partito subito lo streaming di una di quelle serie che “non è un granché ma qualcuno mi ha consigliato di vederla” che è durato ininterrottamente per due ore. E ancora una volta mi sono ricordato del motivo del mio entusiasmo per l’arrivo di Netflix in Italia ormai due anni fa: servizi che funzionano!

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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