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Disney: i soliti alti e bassi nella trimestrale

Con la comunicazione dei dati di Disney di ieri, si conclude un periodo di trimestrali che ha visto coinvolti anche Comcast, Paramount, Warner Bros. Discovery e Sony…

Prima di affrontare i numeri Disney, conviene citare questo articolo dell’Hollywood Reporter, che affronta l’ipotesi di una vendita dell’azienda ad Apple. Di per sé, è una tesi sentita mille volte e che ultimamente è tornata in auge, soprattutto dopo che Iger ha fatto capire che alcune realtà di Disney (in particolare, i network televisivi) non sono più centrali (insomma, si possono cedere), cosa che aiuterebbe un passaggio ad Apple, anche soltanto per un giudizio più favorevole dell’Antitrust. Ma, a dire il vero, leggendo con attenzione l’articolo, si capisce che si tratta solo di opinioni di alcune fonti, più che di voci concrete che questo ‘piano’ di vendita sia veramente in atto.

E passiamo ai dati di questo trimestre. Sul fronte parchi, c’è sicuramente l’ennesima conferma di quanto questo reparto sia il pilastro dell’azienda Disney, grazie a utili in crescita notevole (2,4 miliardi contro i 2,1 miliardi di un anno fa). C’è da segnalare però il calo dei parchi americani, che passano da un utile di 1,6 miliardi contro i 1,4 miliardi di questo terzo trimestre.

Per quanto riguarda i network lineari, un dato fa capire bene le ragioni per cui Bob Iger non trova più questo settore centrale per la Disney. Infatti, benché gli utili siano ancora molto importanti (quasi 1,9 miliardi), sono decisamente inferiori a quelli di un anno fa (quando erano vicini ai 2,5 miliardi).

In calo il settore Content Sales/Licensing and Other (2,082 miliardi di ricavi contro i 2,111 di un anno fa, con una perdita di 243M), che comprende anche la parte cinema, che sconta i dati non straordinari di alcune pellicole arrivate in sala tra aprile e giugno.

Sul fronte Direct to Consumer, nonostante i tagli di tanti prodotti che hanno portato benefici fiscali, le perdite sono ancora molto ingenti (512M), anche se in netto miglioramento rispetto al terzo trimestre 2022 (quando avevano superato il miliardo). Da segnalare anche la situazione abbonati, non tanto per quanto riguarda i numeri degli iscritti, ma soprattutto sull’ARPU. In effetti, Disney+ migliora leggermente a livello ‘mondiale’ con 105,7M abbonati contro i 104,9M di tre mesi fa, ma crollano i numeri di Disney+ Hotstar, da 52,9M a 40,4M per la perdita dei diritti del cricket.

Hulu è sostanzialmente stabile (44M contro 43,7M), così come ESPN+ (25,2M contro 25,3M). E’ interessante come, rispetto al passato, Disney voglia ‘escludere’ nei conti i numeri di Hotstar (prima veniva segnalato un totale complessivo di tutte queste realtà, che a un certo punto era arrivato a un numero massimo di 164,2M), per ragioni che si possono notare anche nell’ARPU delle varie realtà geografiche. In effetti, nella regione Stati Uniti/Canada si passa da un ricavo medio per Disney+ di 7,14$ nello scorso trimestre a 7,31$ attuali; a livello internazionale da 5,93$ a 6,01$; mentre Hotstar si trova ancora sugli stessi identici numeri bassissimi (addirittura peggiorati rispetto a un anno fa, quando erano al doppio, 1,20$), sempre 0,59$. Miglioramento anche per Hulu (12,39$ contro 11,73$), mentre è in calo ESPN+ (5,45$ rispetto ai 5,64$ precedenti), flessione che dipende anche dal fatto che molti abbonati vedano questa piattaforma attraverso il Bundle dei tre streamer Disney (in effetti, è indicato anche nella relazione di bilancio) e che quindi forse venga vista come la ‘terza’ gamba, quella meno importante (indicazione che non sottovaluterei nel discorso “sicuramente ESPN passerà completamente sullo streaming, prima o poi”, come ha confermato più volte Iger).

Novità importante. Dopo che è stato introdotto negli Stati Uniti a fine dell’anno scorso, arriverà anche in Italia (così come in Francia, Regno Unito, Germania, Svizzera, Spagna, Norvegia, Svezia e Danimarca) il piano con pubblicità, che nel nostro Paese costerà 5,99 euro al mese, contro i 8,99 del piano standard e gli 11,99 di quello premium.

Nella call agli azionisti, Iger ha fatto presente come “si considerino un’ampia varietà di opzioni strategiche”. Insomma, sicuramente si potranno trovare varie soluzioni per le televisioni lineari e per ESPN (dove è stata annunciata la ricerca di un partner). Ma sembrano non essere escluse neanche ipotesi più radicali. Insomma, se Iger un anno fa aveva scartato l’idea di una vendita ad Apple, forse adesso la situazione è diversa. Nelle contrattazioni post chiusura in Borsa, il titolo è leggermente in aumento.

E veniamo alle altre società che hanno a che fare con il cinema. Il caso di Comcast è molto interessante. Peacock continua a essere una macchina mangiasoldi, tanto che in questo trimestre ha perso altri 651M, contro i 457M dell’analogo periodo del 2022 (e già erano cifre enormi). Gli abbonati sono arrivati a 24 milioni, ma siamo sempre su numeri troppo bassi e che rappresentano un modello di business insostenibile, senza peraltro che venga fornita una road map su come (e quando) la situazione migliorerà.

Ma quello che funziona ancora bene in realtà sono le attività extra-audiovisivo, come i parchi a tema (2,2 miliardi di ricavi, 833M di EBITDA rettificato), così come la banda larga e l’offerta mobile. In effetti, nel settore della banda larga, Comcast è bravissima a far pagare di più i propri abbonati, che però sono leggermente calati (solo di 19.000 unità, poca roba considerando il totale di 32,3M), portando a un utile di ben 7 miliardi. La telefonia mobile invece vede un aumento di 316.000 abbonati, che così arrivano a 6 milioni complessivi.

E’ ancora importante la tv via cavo, ma siamo sempre al solito discorso: è un business in flessione, che produce ancora profitti notevoli e che non invitano a staccare la spina adesso, ben sapendo però che da qui si può solo scendere. In effetti, i ricavi arrivano a 7,3 miliardi, ma un calo di abbonati di 543.000 unità, che portano il totale a 14,98M, con 1,2 miliardi di utile (ma -18% rispetto a dodici mesi fa).

Sul versante studios, ovviamente bella spinta fornita dai numeri di Super Mario Bros. – Il film, che portano i ricavi dai 550M del secondo trimestre 2022 ai 913M di questo, con utili per 255M.

E passiamo a Warner Bros. Discovery. Partiamo dalla notizia positiva, sta procedendo bene la riduzione del debito, questione fondamentale per l’azienda, considerando come si stava solo un anno fa (49,1 miliardi di debito) e come si sta ora (44,7 miliardi, sempre tanti, ma è un miglioramento).

E veniamo agli aspetti problematici. In generale, i ricavi sono diminuiti del 4% rispetto all’anno scorso, collocandosi a 10,3 miliardi, e soprattutto c’è una perdita netta di 1,2 miliardi. Diversi i settori ‘responsabili’.

Tra questi, la parte ‘studios’, che ovviamente ha visto un duro colpo nel semestre dai dati di Flash (mentre invece la grande soddisfazione per i record di Barbie si rifletterà nei conti del terzo trimestre), ben rappresentato da un calo del 24% nei ricavi, passati dai 3,4 miliardi dell’anno scorso ai 2,6 miliardi del trimestre attuale. In calo anche la televisione lineare, con ricavi che scendono a 5,8 miliardi dai 6,1 di un anno fa.

Per quanto riguarda lo streaming, c’è stato un calo di 1,8M di abbonati (adesso le due piattaforme ne hanno complessivamente 95,8M), ma quello era atteso, considerando che nel secondo semestre Max ha iniziato a comprendere anche l’offerta Discovery+, quindi era naturale perdere qualcosa. Sostanzialmente, il settore DTC è in pareggio (per la precisione, ha perso 3 milioni di dollari), mentre buoni segnali arrivano dall’aumento dell’ARPU, sia negli Stati Uniti (sopra gli 11 dollari) che in generale, con un ARPU mondiale di 7,71$ (ma quello a livello internazionale, benché miglior dato della storia della società, è ancora a un bassissimo 3,65$). E i ricavi sono aumentati del 14%, da 2,4 a 2,7 miliardi, così come fa segnare un +25% la raccolta pubblicitaria, che evidentemente è in controtendenza rispetto a tutti gli altri mezzi.

In effetti, chi è messo proprio male, è proprio il settore generale della pubblicità, che ovviamente sconta la situazione attuale (e quella delle piattaforme è l’unica in controtendenza). Basti dire che i ricavi sono a 2,5 miliardi e in calo del 7%, in particolare è in grossa sofferenza la pubblicità per la tv via cavo (-13%).

E arriviamo a Paramount, che ha annunciato i propri dati a inizio di questa settimana. In uno dei consueti paradossi di Wall Street, i risultati non sono stati positivi, ma visto che ci si aspettava di peggio, il titolo ha avuto un miglioramento in Borsa.

La notizia più importante è sicuramente la vendita dalla casa editrice Simon & Schuster al fondo di investimenti privati KKR, per 1,62 miliardi di dollari. Era ovvio che il settore legato agli studios avrebbe perso rispetto all’anno scorso, visto che in quel secondo trimestre era sbarcato il ciclone Top Gun: Maverick. Quest’anno, non c’è stato nulla del genere, considerando che Transformers: Il risveglio si è dovuto accontentare di 433 milioni di dollari nel mondo (risultato comunque da non sottovalutare). Quindi, nei conti legati agli studios, solo 5 milioni di utile quindi questo trimestre, contro i 181M di un anno fa.

Il settore Direct to Consumer rappresenta sempre una spina nel fianco, con una perdita di 424M nel trimestre (magra consolazione il fatto che un anno fa erano 445M). In effetti, se sono aumentati i ricavi (1,66 miliardi contro i 1,1 miliardi di dodici mesi fa) sono aumentati anche i costi (quasi 2,1 miliardi contro 1,6 miliardi precedenti). E gli abbonati alle varie realtà streaming sono ormai stabili, visto che dai 60M precedenti si è visto un leggerissimo aumento a 60,7M. Non stupisce l’annuncio del CEO Robert Bakish, che afferma che si stia cercando soluzioni di bundle con altre realtà, dopo che Paramount+ ha assorbito Showtime, scelta che almeno porta a una riduzione nei costi. Sul fronte televisione lineare, ricavi e utili in diminuzione, anche se quest’ultimi rimangono una parte importante per Paramount, con quasi 1,2 miliardi.

Infine, la Sony, nello specifico i dati di Sony Pictures, che ha visto un calo degli utili, passati dai 394M di un anno fa ai 115M di quest’ultimo trimestre (-68%). E’ una flessione che in realtà non dipende dai risultati cinematografici, visto che Spider-Man: Across the Spider-Verse ha ottenuto quasi 600 milioni di incassi mondiali, ben al di sopra del maggior dato di un anno fa (Morbius con 167M).

Direi che, da tutti questi numeri (tranne quelli Sony, che è la Svizzera delle guerre dello streaming), risulta chiarissimo come ormai non ci sia nessuna crescita nel numero degli abbonati alle piattaforme, anzi talvolta si ha difficoltà a mantenere i livelli del passato. E’ finita insomma la leggenda metropolitana che ha causato tanti danni dal 2020 a oggi, quella delle piattaforme che avrebbero portato profitti enormi, talmente alti da poter fare a meno di tutti gli altri sfruttamenti. E speriamo che adesso lo abbiano capito tutti…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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