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La leggenda metropolitana dell’algoritmo

Secondo molti, a determinare le scelte produttive degli streamer sono gli algoritmi e non i dirigenti. Una tesi senza fondamento e senza senso…

Il discorso dell’algoritmo lo avevo sott’occhio da tempo, ma un ottimo articolo di Entertainment Strategy Guy (lo trovate qui, ma è a pagamento) mi ha spinto ad approfondire il discorso.

Vediamo alcuni casi importanti tra le piattaforme e cerchiamo di capire se è stato il ‘cattivo algoritmo’ a prendere queste decisioni:

– Amazon ha ormai il poco invidiabile primato di aver realizzato le due serie più costose di tutti i tempi. Il signore degli Anelli: gli anelli del potere ha ottenuto dei risultati anche importanti, ma da leak citati da Hollywood Reporter, ha avuto anche un basso tasso di completamento. L’unica cosa sicura, però, è che gli showrunner a cui è stato affidato il progetto… non avevano mai fatto gli showrunner, neanche su una produzione a basso costo.
Citadel invece non è riuscita neanche a entrare nelle top ten Nielsen nelle sue prime due settimane di sfruttamento. Tuttavia, sono già state annunciate due serie spinoff (e sono in produzione) e la seconda stagione della serie ‘madre’. Quindi, Amazon avrebbe un algoritmo che consiglia di prendere showrunner inesperti e affidare loro la serie più costosa di tutti i tempi. O di dare il via libera a progetti collaterali/seguiti di una serie, senza sapere come è andata la prima stagione…

– Apple ha riempito il Mercato di serie ultraprestigiose e ultracostose, che (a parte Ted Lasso) non finiscono mai nelle classifiche Nielsen. Per esempio, la prima stagione di Pachinko è costata 100 milioni di dollari ed è stata vista pochissimo (un buon indicatore sono le recensioni su Imdb, arrivate adesso a poco più di 10.000, decisamente troppo poche per quel budget). Questo non ha impedito di realizzare una seconda stagione, altrettanto costosa. C’è un algoritmo impostato su “facciamo le serie belle, non importa se non le vede nessuno?”.

Evidentemente no, queste non sono decisioni di un algoritmo, sono decisioni di esseri umani che ritengono ci siano cose più importanti dei risultati (per esempio, nel caso di Citadel, il rapporto con i fratelli Russo). Così come l’abbondanza di prodotti prestige per un pubblico adulto/sofisticato è legata a ragioni non necessariamente commerciali (visibilità mediatica, partecipazione a Festival importanti e alla serata degli Oscar/Emmy, ecc.).

Uno dei temi che giustamente ESG mette in evidenza, è che le piattaforme in realtà non possono avere tantissimi dati, almeno se li confrontiamo con quelli in possesso di aziende come Google o Meta. Quindi, riuscire a fare previsioni esatte su cosa funzionerà e cosa meno, è veramente ridotto.

Anche limitandoci alle sole raccomandazioni di visione (e non di ‘produzione’) che fanno gli streamer, il panorama è limitato. ESG sottolinea come negli Stati Uniti Netflix abbia un catalogo di 6.473 titoli, che ovviamente possono essere divisi per centinaia di categorie e sottocategorie (alcune magari composte da… 8 prodotti?). Insomma, il campione statistico in certi casi è veramente limitato.

Peraltro, qualcuno crede veramente che quando uno streamer lancia un prodotto costosissimo, non te lo segnalerà in bell’evidenza in home page, solo perché tu hai visto finora prodotti molto diversi? Sarebbero folli a ‘nasconderlo’ e in quel caso non c’è algoritmo che tenga, il film da 150 milioni di dollari comparirà non appena ti colleghi, che ti piaccia o sia lontanissimo dai tuoi gusti.

Ci sono poi dei cambiamenti radicali di strategia nel corso degli anni, che sarebbe inspiegabile considerare frutto delle scelte di un algoritmo. ESG fa notare come Netflix qualche anno fa aveva deciso di puntare forte sui prodotti di animazione per adulti, mentre poi ultimamente li ha tagliati senza pietà e ha deciso di investire invece su animazioni più tradizionali (anche di catalogo, non necessariamente realizzati in esclusiva).

Io segnalo invece altri cambiamenti. Per anni, gli streamer hanno sostenuto che fosse fondamentale avere tanti prodotti in catalogo (e in esclusiva, solo per loro) e li hanno tenuti comunque, anche se magari venivano poco visti. Inoltre, si è pensato che acquistare film cinema (senza fare un passaggio in sala) o produrli direttamente (con costi enormi) fosse un’ottima idea. Adesso, per risparmiare, tanti streamer eliminano delle loro produzioni (magari per rivenderle ad altre realtà, quindi rinunciando all’esclusiva). O, come sta avvenendo per Netflix Italia, si diminuiscono (almeno così sembra al momento) i film Original prodotti e si punta maggiormente su titoli di catalogo, di solito già passati non solo in sala, ma anche su altre realtà come Sky e Amazon. Non è l’algoritmo che ha cambiato idea, ma gli amministratori delegati, che, sotto pressione da Wall Street, fanno ormai di tutto per diminuire i costi.

D’altro canto, due domande semplici: se fa tutto l’algoritmo, perché ogni Paese importante ha i suoi reparti editoriali che scelgono i nuovi progetti? E perché nelle serie ci sono differenze enormi tra i risultati di Paesi come la Spagna e l’Italia (se consideriamo i primi duecento risultati mondiali dei prodotti in lingua non inglese, il rapporto di visioni è 30 a 1)? Se ci fosse un modo per far funzionare tutti bene grazie all’algoritmo, i risultati non dovrebbero essere in linea con gli investimenti e la popolazione di un Paese? D’altro canto, come dice ESG, se tutto è già stato previsto dall’algoritmo, da dove arrivano enormi successi a sorpresa come Squid Game, Tiger King e The Manifest?

Un altro aspetto assurdo, è il fatto che l’algoritmo ormai fornirebbe indicazioni e note su come modificare le sceneggiature. Se ne erano lamentati registi come Cary Fukunaga e Alex Gibney, mentre c’è chi sosteneva che l’algoritmo dicesse cose come “a circa tre quarti della storia, deve accadere qualcosa all’eroe che faccia pensare al pubblico che tutto andrà male”.

Ma come giustamente nota ESG, queste sono semplici regole che si trovano in tanti manuali di sceneggiatura (lui citava il classico Save the Cat, ma trovate indicazioni simili più o meno ovunque). Così come sono decenni che tanti sostengono di aver trovato le formule giuste per realizzare film di successo, basandosi sui risultati passati (peccato che poi, alla prova dei fatti, nessuno abbia dimostrato di avere la formula magica in questo senso).

In realtà, non c’è dubbio che queste regole spesso siano disattese da tanti prodotti italiani. Penso soprattutto a certo cinema d’autore, in cui spesso mi è capitato di notare un modello di film che può essere descritto così: vengono presentati dei personaggi spesso respingenti e che per un’ora ripetono/fanno le stesse cose (come se il pubblico avesse bisogno di veder spiegate alcune scelte decine di volte). Poi, dopo un’ora molto minimalista, succede qualcosa di molto forte ed estremo, che cambia la situazione. Ma, francamente, nel frattempo uno spettatore di una piattaforma – con la grande ricchezza di prodotto a disposizione – avrà già smesso di vedere il film in questione. E’ ovvio che, di fronte a progetti del genere, chiunque dovrebbe segnalarti delle modifiche da fare. E magari preferiscono dire “è stato l’algoritmo”, così non te la puoi neanche prendere con il dirigente in carne e ossa, che in realtà ha fatto quella scelta.

In effetti, come hanno segnalato altri report interessanti, non solo sono i dirigenti ad avere l’ultima parola, ma ultimamente Netflix ha anche creato dei focus group interni tra i propri abbonati per avere dei feedback su prodotti ancora non usciti (insomma, i pareri umani esterni servono).

E francamente, anch’io con le mie ricerche posso tranquillamente sostenere che su Netflix alcuni progetti funzionano meglio di altri. Per esempio, guardate i dati (tutti nelle top ten mondiali, con risultati decisamente importanti) di alcuni film usciti nell’ultimo anno, molto simili tra di essi e in cui le tematiche principali (spesso combinate insieme) sono la vendetta e la protezione dei propri figli: AKA, The Mother, Granchio nero, Il mio nome è vendetta e The Mother’s Day (quest’ultimo sembra quasi il remake polacco di The Mother… o il contrario).

Questo significa che qualsiasi film di vendetta sarà un grande successo? Assolutamente no. Però, se mi date dieci nuovi film di vendetta e dieci film autoriali da Festival che escono su Netflix alle stesse condizioni economiche (budget produttivo e promozionale) sono sicuro che i dieci film di vendetta complessivamente andranno meglio. Serve un algoritmo per dirlo? No, basto tranquillamente io…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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