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Far quadrare i conti dello streaming è sempre più difficile

Si parla molto di ‘ottimizzazione’ per le piattaforme. Ma ridurre i costi e aumentare le tariffe non basta, è proprio il modello di base a dover essere messo in discussione…

Mi è capitato spesso di dire che Doug Shapiro è la persona che meglio ha capito in questi anni i problemi del modello delle piattaforme streaming, anche quando tutti lo esaltavano come una miniera d’oro. Il suo ultimo articolo, che fa ipotesi molto importanti sul futuro di questo mezzo, mi conferma che è ancora così.

La tesi di Shapiro in questo caso è forte, ma anche molto razionale. Al momento, dopo l’ubriacatura di tante realtà, che si preoccupavano solo di aumentare gli abbonati, convinte che Wall Street le avrebbe premiate come ha fatto per anni con Netflix, si parla tanto di ‘ottimizzazione’. Con questo termine, ci si riferisce a scelte come una riduzione di costi, aumenti delle tariffe e introduzione della pubblicità, tutto per far sì che queste aziende entrate nello streaming da pochi anni a vedere finalmente dei profitti e non solo ingenti perdite.

Ma per Shapiro questo non basta, perché il modello streaming attuale è talmente costoso per chi lo porta avanti, che dire semplicemente “dobbiamo fare dei profitti” è riduttivo. Non è tollerabile infatti che realtà che hanno IP enormi e spendono decine di miliardi in contenuti, ottengano dei profitti ridotti dopo aver perso per anni ingenti soldi dalla scelta di creare e nutrire le loro piattaforme, senza vendere questi prodotti ai maggiori offerenti. Pensate, in effetti, a questo potrebbe guadagnare la Disney cedendo in seconda finestra (magari 60-90 giorni dall’uscita in sala) un Avengers o un Encanto a Netflix e lo stesso discorso vale per Warner Bros. Discovery con Batman, Universal con Fast & Furious o Paramount con Top Gun. D’altronde, è quello che sta facendo la Sony (che non ha un’offerta cinematografica del livello delle tre major citate, a parte Spider-Man).

Secondo Shapiro, la questione è semplice:

“Se il mercato non è in grado di supportare sette o otto servizi di streaming del mercato di massa, deve accadere una delle due cose, o una combinazione di entrambe: diverse realtà devono fondersi e/o alcune devono scegliere se puntare sulla produzione di contenuti o la distribuzione. Il primo è un costante argomento di discussione. Il secondo no”.

Per chiarire la situazione, Shapiro ha creato questo schema a quattro quadranti:

A seconda delle strade scelte, si potranno avere diversi scenari. Al momento, quello che stiamo vivendo è il verticale/frammentato, ossia composto di tante realtà diverse che sono impegnate sia nella produzione che nella distribuzione streaming di contenuti. Tuttavia, Shapiro ritiene che un cambiamento verso un’organizzazione orizzontale è più probabile che un consolidamento.

Intanto, perché Shapiro ritiene che “ottimizzare” non sia sufficiente (anche se comunque indispensabile)? Per tutta una serie di enormi costi (ne aveva parlato soprattutto in questo articolo), che valgono anche per una realtà che può fare notevoli economie di scala come Netflix, figuriamoci per tutte le altre, che hanno molti meno abbonati.

Per questo, una possibilità per alcune realtà che hanno le loro piattaforma sarà di fornire queste piattaforme anche ad altri distributori, come avviene per i Canali di Amazon, che permettono di abbonarsi a realtà come Paramount, Starz, Mubi o HBO Max (quest’ultima solo negli Stati Uniti). E’ possibile che, con il passare del tempo, questi aggregatori potrebbero ottenere più abbonati per quelle piattaforme che la vendita diretta di queste realtà. A quel punto, sarebbe naturale per questi soggetti rinunciare ad avere piattaforme indipendenti e occuparsi solo della produzione e dei pacchetti di contenuti, non più della distribuzione.

Detto questo, devo anche confessare che, nel caso specifico, non sono sicurissimo che gli Amazon Channels abbiano un impatto così forte. Si dice in effetti che, quando Warner decise di abbandonare questa strada, abbia dovuto rinunciare a cinque milioni di abbonati, numero non certo indifferente ma non così enorme (peraltro, difficile dire se una parte di questi non sono poi passati al servizio ‘indipendente’). Ma di sicuro, al di là del singolo caso, l’idea dell’aggregatore in grado di dar vita a bundle importanti (pensiamo a quello che fa TIM da noi, con il pacchetto Timvision Gold che mette assieme DAZN, Netflix, Disney Infinity e la stessa Timvision), è sicuramente efficace. A quel punto, si seguirebbe la strada percorsa da molte major discografiche, che prima hanno cercato di distribuire da soli la loro musica, per poi lasciarlo fare a realtà come Spotify.

L’alternativa sarà quella del ‘consolidamento’, derivante da fusioni/acquisizioni, come avvenuto di recente con Warner Bros. Discovery. Ma Shapiro non la considera una strada così ovvia, soprattutto perché ci sarebbe il fortissimo rischio che intervengano le autorità antitrust. Oltre al fatto che, aggiungo io, in questo momento tante realtà hanno debiti importanti, per esempio Disney, WBD e Paramount, che certo non aiutano a fare ‘shopping’, peraltro in una situazione in cui il costo del denaro da prendere in prestito (indispensabile per operazioni che magari valgono decine di miliardi) è aumentato. Se così fosse, i maggiori problemi che sta vivendo lo streaming in questa fase (tasso di churn elevato, consumatori molto attenti ai costi e pronti a tagliare le piattaforme poco utilizzate, ecc.) rimarrebbero tali, così come i bassi livelli di profitto (se non le vere e proprie perdite). Se invece il consolidamento avvenisse (e fosse approvato dalle autorità) la situazione migliorerebbe decisamente, anche se – conviene segnalarlo ancora una volta – senza raggiungere i notevoli margini di profitto che si ottenevano con la TV via cavo/satellite. Shapiro pronostica in effetti dei margini poco sopra il 20%, nel caso migliore. Devo ammettere che la lettura dell’articolo mi ha portato a non essere più sicuro che vedremo acquisizioni/fusioni importanti nei prossimi 12-24 mesi, cosa invece di cui ero molto convinto (ma continuo a pensare che Paramount non possa continuare a procedere da sola).

Dove Shapiro non sembra avere dubbi (e penso proprio che abbia ragione), è nel ritenere che Netflix sia in una posizione ideale. In teoria, potrebbe anche diventare essa stessa un aggregatore, mettendo assieme sotto il suo cappello le altre piattaforme più importanti in una sorta di “casa di tutta la televisione disponibile”. Ovviamente, ci vorrebbe il consenso di queste realtà, cosa non facile visto che tutte le loro scelte sono partite dal non voler più vendere i propri contenuti a Netflix e scendere in campo direttamente. Se quindi è veramente difficile pensare che Disney o WBD possano tornare a diventare dei fornitori totali per Netflix, è ormai tramontata la fissazione maniacale di tenersi tutti i propri contenuti nelle piattaforme societarie (qui non c’è bisogno di pronostici, è stato già annunciato, soprattutto da David Zaslav). In ogni caso, Netflix potrà muoversi al meglio, in base a come si comporteranno gli altri soggetti del Mercato.

Infine, c’è uno scenario estremo, quello del consolidamento/orizzontale, con pochi fornitori di contenuto (Disney, NBCU, WBD, Paramount) e alcuni distributori (in particolare, Amazon, Apple e Youtube).

E’ importante evidenziare alcune cose. Per realtà come Amazon o Apple, che hanno già una struttura basata su un rapporto diretto con i consumatori, è più semplice e conveniente essere dei distributori puri (e dovrebbero seriamente pensare di lasciar perdere la costosissima fase di produzione, soprattutto Apple, che finora non ha portato quasi mai a dei successi).

Per quanto riguarda Disney, bisogna anche considerare come la sua grande capacità di intercettare il pubblico a 360 gradi, tra film in sala, canali televisivi lineari e via cavo (compreso quello sportivo più importante, ESPN), parchi a tema, può far diventare Disney+ (e lo streaming in generale) come un mezzo per fondere insieme tutte queste realtà, cosa che si sta già pensando di fare con una sorta di abbonamento, che possiamo definire “Disney Prime”.

Insomma, ancora una volta si conferma come le letture superficiali che si concentrano solo sul numero di “abbonati”, siano veramente insufficienti per capire la complessità dell’universo streaming e delle tante scelte difficili che dovranno fare gli amministratore delegati nei prossimi mesi. D’altronde, questo periodo di trimestrali hanno visto il gruppo Paramount “migliorare” di 10 milioni di abbonati (probabilmente, in larga parte frutto dell’accordo con Walmart), ma perdere 575 milioni nel segmento Direct to Consumer (un record negativo per questa azienda). Warner Bros. Discovery ha sicuramente migliorato i conti, visto che nell’ultimo trimestre perde ‘solo’ 217 milioni e a livello di abbonati c’è un leggero progresso, ma anche in quel caso sembra frutto più di operazioni promozionali (e del ritorno sugli Amazon Channels).

Insomma, tra tante scelte possibili, il rischio di sbagliare è molto forte. Vedremo chi soccomberà e deciderà di abbandonare il campo di battaglia, optando per un altro percorso…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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