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Festival di Venezia: Intervista ad Alberto Barbera

Il direttore della Mostra del cinema di Venezia ci parla delle difficoltà del Mercato, dell’eccesso di produzione italiana, ma anche della fiducia nel ritorno del pubblico in sala…

Per chi volesse, è possibile ascoltare l’intervista in formato podcast qui.

Tutti ti chiederanno della presenza di Netflix e dei loro film per vari motivi. Io penso che forse si pone un po’ troppa attenzione a questa questione e mi chiedo se per qualcuno è utile avere una realtà non italiana come Netflix, perfetta come capro espiatorio di tanti problemi molto più ampi e complessi…

Credo che tu abbia in parte ragione. Non c’è dubbio che additare le piattaforme come i responsabili dei mali del cinema italiano in questo momento sia una scappatoia, è un capro espiatorio. I mali sono tanti, la maggior parte li conosciamo e sono stati analizzati. C’è però anche il rifiuto delle parti di prendere atto di questa cosa e soprattutto di tentare di uscirne con soluzioni concertate, perché è chiaro che si esce da una situazione di impasse o di difficoltà soltanto se si individuano modalità e regole nuove, lavorando insieme per lo stesso obiettivo e per gli stessi risultati, cosa che purtroppo in Italia avviene con difficoltà. Poi, la crisi di questi ultimi due anni di pandemia non ha fatto altro che acuire queste diversità e contrapposizioni spesso corporativistiche, che non hanno davvero ragione di esistere. Insomma, oggi dare la colpa alle piattaforme è un modo per scaricarsi di responsabilità, che invece sono in gran parte proprie del sistema italiano.

Da tutte le rilevazioni e anche da semplici racconti degli esercenti, il target di pubblico che non è ancora tornato al cinema in Italia sono soprattutto gli over 40-50. Quale contributo pensi possa dare la Mostra per aiutare a cambiare questa situazione, considerando che ci sono ovviamente molti film indirizzati a questo target?

Ovviamente la maggior parte dei film di Venezia sono film d’autore, che naturalmente si rivolgono a un pubblico un po’ più esigente ed elitario, se vogliamo, anche a quel pubblico che aveva garantito fino a poco tempo fa la sopravvivenza delle sale d’essai, di Circuito Cinema, delle sale più attente a proporre titoli di qualità. Questo non riguarda i blockbuster americani, che peraltro vanno benissimo, è significativo che in questo momento gli unici che incassano siano i grandi titoli americani di forte richiamo.

Io sono ottimista. Ci sono tante cause dietro il fatto che quel pubblico non sia ancora tornato in sala. Ci sono stati, per esempio, pochissimi film attraenti, che motivassero il pubblico a consumare meno titoli sulle piattaforme a casa per andare a vedere i film in sala. Io stesso devo dire francamente che avrei trovato pochi motivi per andare a vedere certi titoli che sono stati proposti in questi ultimi mesi. Se al cinema manca il prodotto, perché il pubblico deve andare in sala, quando ha un’offerta illimitata sulle piattaforme a casa propria?

Perché allora sono ottimista? Perché invece con la nuova stagione, con l’uscita dei nuovi titoli e dei tanti film che sono rimasti fermi in attesa di momenti migliori, la qualità dell’offerta crescerà tantissimo. E se cresce la qualità dell’offerta e la capacità attrattiva dei film, sono convinto che un po’ alla volta tornerà anche quel pubblico che finora è stato latitante. Io non sono assolutamente pessimista su questo aspetto.

Hai parlato di blockbuster americani. Io vorrei citare un caso molto importante della scorsa edizione, ossia quello di Dune. Ha avuto un incasso notevole in Italia, non solo in assoluto, ma anche a livello di quota sul resto del mondo. E mi sembra che sia stato fondamentale il passaggio a Venezia, così come un’uscita anticipata a settembre rispetto ad altre parti del mondo, tra cui gli Stati Uniti. Pensi che quest’anno ci siano altri titoli a cui la Mostra possa dare una grande spinta, magari non solo film americani, ma anche italiani?

Beh, intanto non c’è un Dune quest’anno, perché la seconda parte di Dune uscirà solo l’anno prossimo. Però sicuramente ci sono dei film a cui la Mostra potrebbe dare una spinta da questo punto di vista. Se pensiamo ai film americani, per esempio Don’t Worry Darling della Warner Bros. Discovery potrebbe ricavare dei benefici dalla presentazione veneziana. Ma tanti film selezionati, la maggioranza dei quali, tra quelli in concorso e fuori concorso, sono già stati acquistati per la distribuzione italiana, beneficeranno della promozione veneziana. Peraltro quest’anno il Festival torna a pieno regime e a essere un festival regolare, senza limitazioni di sorta, con la capienza delle sale al 100%, con il tappeto rosso com’era prima e con una componente di presenze molto forte, stando alle previsioni, alle persone che si sono già registrate e alle prenotazioni alberghiere. Quindi io credo che l’effetto promozionale che Venezia ha acquisito negli ultimi anni, con la diversificazione che abbiamo fatto all’interno della selezione veneziana, possa diventare un elemento non marginale per quanto riguarda la distribuzione dei film in sala nei mesi successivi.

Nelle scorse settimane mi è capitato di sottolineare come ci sia stata una grande produzione di film autoriali per un settore che ovviamente fatica per vari motivi. C’è un po’ il rischio che Venezia venga vista da molti non solo come un bel punto di partenza per un percorso lungo e che si spera di successo, come capita per i film americani, ma da come un punto di arrivo? Come se il discorso si limitasse al Festival e non coinvolgesse più un pubblico anche in sala. In questo senso, i film italiani di questa edizione ti sembrano poter ampliare il loro pubblico e magari essere anche più in grado di riportare questo target al cinema?

Io sono abbastanza convinto che la risposta alla tua domanda sia positiva, nel senso che conversando con gli autori, i produttori e i distributori non mi è sembrato di cogliere da parte di nessuno di loro che Venezia fosse percepita come un punto di arrivo. Invece, ho sentito una fortissima volontà di essere presenti a Venezia per sfruttarne le potenzialità promozionali in vista dell’uscita in sala. È un elemento che hanno sottolineato tutti, anche quelli legati ai film che non ho preso. Loro facevano pressioni per venire a Venezia e per essere selezionati non per ragioni di prestigio o di pura visibilità legate all’evento in quanto tale, ma per l’effetto che la presenza a un festival può avere, ossia la capacità di raggiungere un pubblico più ampio nella distribuzione in sala, e quindi di avere successo da tutti i punti di vista. Non c’è nessuna garanzia, ovviamente, ma può essere utile.

Comunque, non possiamo nasconderci che nel cinema italiano quest’anno si sono prodotti 250 film, un numero assolutamente spropositato rispetto alla capacità di assorbimento in un mercato limitatissimo come quello nazionale. E perché questo avviene? Perché ci sono tanti soldi, ci sono i sostegni del Ministero, il tax credit al 40%, ci sono i sostegni delle film commission e gli investimenti privati. Insomma, tutta una serie di cose per cui oggi trovare i mezzi per fare un film è relativamente facile. La cosa paradossale è che, siccome i soldi ci sono e non vanno restituiti, si producono tantissimi film, indipendentemente dal fatto che poi questi titoli possano uscire o essere acquistati da parte delle piattaforme. Molti si accontentano semplicemente di aver fatto un film e questo vale per una quota rilevante della produzione nazionale di quest’anno.

Ovviamente, questo discorso non vale per i film che hanno ambizioni più alte, come quelli che sono stati invitati a Venezia o anche quelli che volevano venire e che alla fine non ho potuto prendere. Per fortuna ci sono produttori che invece sono consapevoli della difficoltà del momento e della necessità di puntare in alto. Il film di chiusura, The Hanging Sun, prodotto da Sky con Cattleya e con Groenlandia di Matteo Rovere, è una produzione internazionale, con un cast prevalentemente di attori stranieri, girato in inglese in location diverse rispetto alla storia tratta dal romanzo di Jo Nesbø. È un esempio della volontà di scommettere su un prodotto internazionale, per non parlare di altri titoli, come quello di Guadagnino, il nostro autore più cosmopolita, che ha fatto un film interamente finanziato in Italia, ma girato con grandi star in America e con una storia americana, guardando soprattutto al mercato internazionale e tutto sommato poco a quello nazionale, anche se naturalmente spera di avere un grande successo anche in Italia. Per fortuna, ci sono casi di questo genere che fanno ben sperare nel futuro, nella capacità di misurarsi con le sfide che il cinema italiano di oggi deve affrontare. Tuttavia, poi c’è anche tutto il resto, come i produttori che si accontentano di chiudere un film senza preoccuparsi di che fine farà.

A proposito di cinema italiano, una frase che sento dire spesso è che “dobbiamo trovare i nuovi Garrone e Sorrentino”. A me preoccupa un po’, perché uno ha iniziato a fare il film nel 1997, l’altro nel 2001, quindi non esattamente ieri. Io credo che ci siano ovviamente grandi talenti tra i registi italiani, ma forse c’è una certa difficoltà ad ampliare il proprio raggio di azione e avere un pubblico un po’ più vasto. Secondo te quali sono le ragioni?

E’ difficile rispondere, perché bisogna fare un’analisi approfondita delle ragioni e non è semplice. Posso dirti questo. Io ho visto tantissimo nuovo cinema italiano e una quantità enorme di opere prime e seconde, ma, a differenza del solito, erano molto deludenti. La qualità era davvero inaccettabile, sono titoli che non andranno da nessuna parte, a parte quei pochi che abbiamo selezionato e che rivelano un talento e la volontà di fare qualcosa di diverso, la voglia di puntare su un giovane che ha le carte in regola e le spalle solide per fare un secondo film e andare avanti. Gli altri mi sembrano film buttati via, senza lavorare sulle sceneggiature, senza accompagnare i registi in un processo di crescita, che è complicato. Ovviamente non è un discorso che vale per tutti, che si tratti di disattenzione o semplicemente la voglia di chiudere una produzione senza preoccuparsi del futuro. Però è vero che siamo carenti da questo punto di vista, in quella fase delicatissima che è l’accompagnamento di un giovane al suo debutto o al suo secondo film, che invece è decisivo per aiutarlo a diventare qualcuno, come è stato fatto vent’anni fa per i Sorrentino o i Martone.

E questo andrebbe assolutamente fatto, se vogliamo che ci sia quel rinnovamento anche generazionale del cinema italiano che è assolutamente indispensabile, perché poi con i giovani sappiamo che questo vuol dire anche avere nuove storie e la capacità di rapportarsi con il pubblico della loro età. Insomma, siamo un po’ indietro da questo punto di vista. Tuttavia, lo stesso limite e gli stessi errori li ho visti in gran parte dei film francesi arrivati quest’anno. Anche loro producono tantissimo e fanno esordire un sacco di giovani registi. Ma la maggior parte degli esordi francesi di quest’anno erano molto deludenti ed erano poche le opere che si salvavano, quindi è un problema generale, come se queste due anni di pandemia avessero tarpato la voglia di investire e di lavorare. Sembra che si sia semplicemente fatto ricorso agli strumenti a portata di mano per girare comunque dei film, senza preoccuparsi del futuro.

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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