Dobbiamo battere la pirateria con un’offerta più ganza!*

Dopo aver passato anni a discutere di pirateria, anche online, sostenendo che non ha senso combatterla senza aver creato una vera alternativa legale che soddisfi la domanda di prodotti audiovisivi di qualità fruibili attraverso il computer e le sue periferiche (compreso il televisore), non penso che ci sia molto da aggiungere ad un dibattito in realtà inesistente, almeno nella sua parte propositiva.

Il problema è che mentre negli USA ci sono degli operatori che hanno immediatamente e direttamente a cuore il ritorno economico dall’opera audivisiva, le Major, e in altri paesi Europei (o dell’est del mondo) un mercato sufficientemente grande da giustificare l’ingresso di nuovi player, da noi, banalmente, mancano le entità “istituzionalmente” interessate a sviluppare il settore del download legale, sia definitivo che in noleggio. O, meglio, entità che abbiano nella loro mission aziendale, nei loro cromosomi, l’obiettivo e i budget per farlo.

Così mentre negli USA sono le Major stesse che creano Hulu e progetti analoghi, oppure decidono di usare YouTube come canale distributivo, bisogna considerare che da noi le stesse Major hanno una presenza tattica e, salvo sporadiche eccezioni, non strategica. Sono cioè entità destinate allo sfruttamento di uno o più canali di distribuzione già definiti di un prodotto, non certo a crearne uno nuovo.

Potrebbe essere diverso per le due Major italiane, 01 Distribution e Medusa, se non fosse che fanno entrambe riferimento a due broadcaster per i quali il cinema (e le fiction tv) serve ad impreziosire e dare dignità ad un palinsesto altrimenti in balia dei reality e, coerentemente con tali obiettivi, rientrare in un tentativo di estensione online dell’offerta del broadcaster stesso. Estensioni che al momento appaiono abbastanza tristi.

Non parliamo poi degli operatori telefonici e ISP, che possono anche creare bundle con offerte di cinema on demand ma fanno un altro mestiere, quello di vendere connessioni ad internet sempre più veloci: a loro interessa che in rete ci sia contenuto che transita (più ce ne è e più è gratis, meglio è), non certo fare business vendendo quel contenuto.

Quindi, mentre le Major si possono muovere nel nostro paese solo per attuare le strategie decise all’estero, i broadcaster vogliono i diritti di film e serie tv per loro al fine di inserirli nei loro tentativi di riproposizione online del modello televisivo, gli operatori telefonici fanno un altro mestiere, l’Italia continua a non avere una seria alternativa legale alla pirateria.

A conferma di questa analisi sta il fatto che le migliori considerazioni sull’argomento vengano nel nostro paese da chi i film li fa, come Paolo Virzì, o li produce, come Riccardo Tozzi, di cui seguono due interviste raccolte da Gabriele Niola.

Rispetto alla lentezza di cui parla Riccardo Tozzi vorrei solo ribadire che il vero problema della pirateria è che quando arriverà un evento traumatico tale da smuovere la lentezza di questi fenomeni sarà, purtroppo, come è già in gran parte per la musica, troppo tardi.

Questo perché nell’assenza di un’offerta legale la domanda trova ovviamente soddisfazione alle sue richieste attraverso canali pirata che sono tutt’altro che immediati e di facile accesso per l’utilizzatore medio della rete. Il vuoto di presenza legale è riempito da decine di iniziative che, anche vestendosi di una legalità, si affiancano a chi ci arriva spontaneamente o con l’aiuto di amici più esperti nell’introdurre nuovi consumatori alle diverse opportunità offerte dalla pirateria.

Ecco quindi che non solo si radica negli utenti, spesso anche in buona fede, l’abitudine a non pagare per un contenuto in cui ci si può imbattere come per un video qualsiasi di YouTube, ma diventano anche d’uso comune gli strumenti attraverso cui si realizza la pirateria stessa.

Non ci saranno “eventi” traumatici, semplicemente, un giorno, i conti non torneranno più così, come già non tornano quelli delle case discografiche, costrette a ridefinire pesantemente e drasticamente i loro modelli di business. E se questo non ha portato ad una scomparsa della musica è semplicemente perché produrre una canzone, anche di eccellente livello, è molto meno costoso che produrre un film.

Nel vuoto di progetti legali italiani, inintenzionale per alcuni e sistemico per altri, è necessario che, a fare qualcosa, siano proprio, anche da noi, coloro che hanno come core business la produzione del film, non un suo canale di distribuzione. Il motivo è semplice: le strade intraprese dagli altri operatori, non a caso esclusivamente repressive, non hanno a cuore la difesa dell’economia della produzione, ma del proprio canale distributivo.

E’ successo alla musica con il cd, sta accadendo al cinema con i DVD e accadrà con gli altri canali di distribuzione. In questo il “cinema in sala”, o il film al cinema che dir si voglia, rischia di essere doppiamente vittima perché a differenza degli altri canali, definiamoli “domestici” o “personali”, di sfruttamento del film, non è in diretta competizione con internet e finisce per subire le conseguenze della difesa dei canali distributivi che lo sono.

Il film al cinema è l’unico ad avere un valore aggiunto ed un carattere distintivo, il grande schermo e l’aspetto sociale, rispetto alla fruizione sul televisore mediata dal DVD o dal “segnale” terrestre o satellitare che sia. Questo carattere distintivo, più che le finestre secondo me, ha mantenuto in vita il cinema con l’avvento della televisione e dell’homevideo e non vedo perché non dovrebbe farlo ora che è semplicemente arrivato sul mercato un mezzo alternativo al DVD e alla Tv.

L’irrigidimento del sistema a protezione degli altri canali e, soprattutto, una lotta solo repressiva alla pirateria, possono invece trasformare una questione che si dovrebbe risolvere con l’apertura di un nuovo mercato in una battaglia ideologica, che danneggerebbe tutto il settore.

Non ho parlato qui della stima sui danni della pirateria e del profilo del pirata italiano perché si tratta non solo di dati che altri hanno già criticato, ma perché penso che il settore dovrebbe preoccuparsi di quanto detto sopra più che di misurare un fenomeno che via, via colpirà tutti, per mancanza di alternative.

Sull’argomento segnalo anche, sempre via gparker, Vittorio Zambardino, che mi sembra concluda in modo del tutto analogo.

* Per il titolo del post ho preso in prestito una frase di Paolo Virzì.

Davide Dellacasa: Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.

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