Le contraddizioni del doppiaggio: i casi di Defiance e The Reader


Il caso di due film attualmente al cinema pone un interrogativo forte che con la sua sola esistenza costringe a confrontarsi con il problema di quale sia il senso del doppiaggio.
Sia che si sia a favore sia che si sia contro la sovrapposizione di voci italiane ad immagini di attori che parlano un’altra lingua un dato di fatto è inoppugnabile: il doppiaggio c’è e non se ne andrà, dunque occorre capire quale sia la logica che lo guida.
Defiance che The Reader sono film girati in lingua inglese che raccontano di fatti che hanno al centro personaggi non inglesi (polacchi nel primo caso e tedeschi nel secondo) nei quali i registi hanno deciso di far recitare i propri attori in un inglese sporcato da una cadenza polacca o tedesca. Una decisione molto particolare che non può non porre il problema dell’adattamento italiano.

La cosa infatti è già sufficientemente fastidiosa in lingua originale, poiché costringe lo spettatore a rompere la sospensione dell’incredulità ricordandogli continuamente come non si stia parlando la lingua corretta, ma in italiano costituisce addirittura un triplo salto mortale linguistico tra idiomi che è ancor meno coinvolgente (perchè palesa anche il doppiaggio stesso). Eppure non replicare una scelta così forte da parte del regista equivale a snaturare una parte del senso del film, cosa che il doppiaggio dovrebbe evitare sempre.
La soluzione scelta in entrambi i casi è stata di fare come se nulla fosse e ignorare quella scelta del regista di far echeggiare nelle pronunce degli attori la cadenza della parlata originale di quei personaggi.
E’ difficile allora non chiedersi quale sia il senso di doppiare un film se il prodotto finale ne esce mutato.

L’idea dominante è che il doppiaggio sia il modo migliore di rendere fruibile una pellicola straniera perchè ne traduce il significato fingendo che gli attori stessi abbiano parlato italiano mentre la giravano. Per fare questo si replicano le inflessioni, si cerca una parlata e una voce simile all’originale e si insegue la sincronia del labiale.
Il problema dell’adattamento di scelte registiche che replicate in italiano svilirebbero il film svela però tutte le contraddizioni di un sistema che sovrappone alla volontà del regista o del produttore originario quella dei direttori del doppiaggio italiani, altri uomini che in altri momenti prendono decisioni sulle loro opere. Decisioni che solitamente sono dirette verso la semplificazione dei significati, la nazionalizzazione (se non regionalizzazione) dell’umorismo e l’appiattimento delle sfumature linguistiche.

Il doppiaggio, come si diceva all’inizio, c’è e resterà. Ma proprio per questo motivo non sarebbe auspicabile una sua regolamentazione? Qualcosa che uniformi le singole decisioni dei direttori di doppiaggio ad uno standard condiviso, con l’idea di rispettare le opere di partenza anche a scapito della comprensione del grande pubblico. Perchè sentire e seguire cose che non sempre conosciamo o riconosciamo fino in fondo è motivo di arricchimento e non di impoverimento.

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