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Il podcast di Cineguru: l’esordio di Thunderbolts*, dagli USA dazi sui film prodotti all’estero?

Nuovo episodio del Podcast di Cineguru: parliamo degli incassi di Thunderbolts* e dei dazi annunciati da Donald Trump

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Nel nuovo episodio del Podcast di CineguruDavide Dellacasa e Andrea Francesco Berni parlano dell’avvio dell’estate cinematografica americana con l’esordio di Thunderbolts*: il nuovo film dei Marvel Studios conquista il box-office USA mentre registra dati meno incisivi all’estero. In Italia, si conclude un periodo di ponti e festività che ha visto poco movimento al cinema.

Si passa poi a parlare della breaking news della nottata: il presidente degli Stati Uniti ha annunciato dazi del 100% sui film prodotti all’estero, con l’obiettivo di incentivare le produzioni americane e “salvare” Hollywood. Come potrebbe essere implementata una simile misura (estesa probabilmente anche alle serie tv), e che conseguenze potrebbe avere su un’industria globale che ancora cerca di riprendersi dal Covid e dagli scioperi?

Si parla poi dei David di Donatello, che si terranno il 7 maggio. Tra i premi già annunciati, un David speciale a Timothée Chalamet, uno a Ornella Muti, il David alla carriera a Pupi Avati, il David dello spettatore a Diamanti e il David al miglior film internazionale ad Anora.

Infine, nell’ultimo segmento si parla di Intelligenza Artificiale e in particolare di come Meta intende integrarla nelle sue piattaforme per generare campagne pubblicitarie mirate (anche sul piano creativo).

 

 

 

 

Ed ecco anche l’intera trascrizione del podcast:

Questo testo è stato generato tramite un servizio di trascrizione. La versione attuale potrebbe non essere definitiva e potrebbe essere soggetta ad aggiornamenti

Davide Dellacasa:

Buongiorno Andrea! Allora, ti è piaciuto Thunderbolts? Prima di parlare di come è andato…

Andrea Francesco Berni:

Sì. Anche se non ho capito bene il collegamento con A24… forse con i film più recenti dello studio, ma non mi è chiarissimo il nesso lato comunicazione che è stato creato. Però il film mi è piaciuto molto, devo dire. Mi ha divertito un sacco.

Davide Dellacasa:

Sì, il film è divertente, piace. Adesso entriamo un po’ nel merito dei risultati. Anzi, partiamo dal fatto che si posiziona tra i film Marvel “medi”, il che non è un male… Negli ultimi tempi eravamo abituati a esordi e risultati finali poco entusiasmanti, ma soprattutto non c’era un passaparola così positivo. Su questo film, invece, ho letto davvero poche note negative.

Davide Dellacasa:

Thunderbolts ha chiuso il weekend con 1,8 milioni in Italia. In realtà è uscito mercoledì, quindi il totale aggiornato al lunedì mattina è 2,3 milioni. Forse è un po’ più basso di quanto ci saremmo aspettati, ma d’altra parte tutti questi ponti non hanno certo portato le persone al cinema…

Andrea Francesco Berni:

No, infatti. Vediamo se il maltempo previsto nelle prossime settimane riuscirà a trascinarle al cinema. Io penso che Thunderbolts possa giovare del passaparola, come dicevi: chi non l’ha visto nel primo weekend magari lo recupera nei prossimi giorni. Anche io speravo incassasse un po’ di più, almeno da noi. Ma, in generale, la classifica del weekend non è esaltante. Thunderbolts ha raggiunto quasi 2,4 milioni in 5 giorni, mentre il secondo posto è molto distante: Black Bag con 400 mila euro. Già questo dice molto sul fatto che gli italiani, negli ultimi giorni, non si siano riversati al cinema.

Andrea Francesco Berni:

Veniamo comunque da un aprile positivo. E maggio è pieno di nuove uscite, grandi blockbuster, film anche molto diversi tra loro. Quindi non ho dubbi che nelle prossime settimane avremo delle sorprese. Aprile ci ha già stupito da vari punti di vista.

Andrea Francesco Berni:

Per il resto, Thunderbolts si posiziona – nell’articolo che abbiamo scritto – accanto a Black Widow, che è il principale comp di riferimento. Certo, Black Widow uscì in un periodo particolare, mentre oggi c’è più competizione e il mercato è molto cambiato. Però, tematicamente, il collegamento c’è. Mi sembra quasi che i fan di Black Widow siano andati al cinema a vedere Thunderbolts. Vediamo se si espande questo effetto.

Davide Dellacasa:

Sì, il potenziale del passaparola – lo dicevamo – c’è tutto. Mi sembra ottimo. È un ritorno importante per i Marvel Studios. Il film ha momenti divertenti e interessanti in prospettiva, compresa la scena post-credit. Almeno una di queste scene è davvero intrigante per quello che suggerisce sul futuro dell’MCU. Finalmente si torna a provare quella sensazione che si aveva “una volta”, quando queste scene post-credit facevano davvero effetto.

Davide Dellacasa:

Il titolo più vicino resta Captain America: Brave New World, che ha esordito meglio – quasi 3 milioni nel primo weekend, per un totale finale poco sopra i 6. Credo che Thunderbolts abbia le carte per andare oltre, grazie proprio al passaparola. E chissà che il brutto tempo non aiuti in questo.

Davide Dellacasa:

Dietro Thunderbolts, come dicevamo, c’è Black Bag al secondo posto, con quasi 400.000 euro. Regge bene, tutto sommato. Anche Until Dawn, per il genere e il tipo di film che è, tiene: è terzo con 300.000 euro.

Davide Dellacasa:

Poi troviamo Minecraft, che ha dominato aprile e continua a incassare bene: anche lì siamo intorno ai 300.000 euro. E al quinto posto ci sono I Peccatori, che hanno superato il milione di euro da noi. Vedremo, quando commentiamo il box office americano, che lì il film continua ad andare molto meglio, ad altri livelli. Poi c’è di nuovo 30 notti col mio ex, che non si è comportato male.

Davide Dellacasa:

Ah, ed è tornato anche Clave! Ne parlavamo la settimana scorsa: è stato proprio ridistribuito.

Andrea Francesco Berni:

Sì, esatto. È tornato in vetta alle classifiche, o meglio, è andato in vetta su Electronics True, VOD e via dicendo. Ma è tornato anche al cinema. Non era solo quel film che guardavi sul volo di rientro in aereo: ora lo stanno recuperando un po’ ovunque.

Andrea Francesco Berni:

È sceso molto invece The Accountant 2, che ha perso parecchio.

Davide Dellacasa:

Sì, anche negli Stati Uniti ha avuto una bella frenata. Ho provato a capire perché: di solito queste cose accadono quando un titolo viene cannibalizzato da un altro, ma mi sembra improbabile che Thunderbolts abbia rubato pubblico a The Accountant 2. Forse Black Bag, nel nostro caso.

Andrea Francesco Berni:

È sceso al nono posto con 105.000 euro, per un totale di 557.000 euro. Onestamente mi aspettavo una performance migliore. Che sia stato “front loaded” dai fan del primo film? Non lo so. Anche perché The Accountant è un titolo popolare, ha un pubblico ampio. Qui va fatta una riflessione: può essere uno di quei casi in cui il pubblico pensa “me lo vedo in streaming”.

Andrea Francesco Berni:

È un comportamento che stiamo notando su alcuni titoli. Il pubblico inizia ad associarli a un altro tipo di visione. E ce lo diciamo spesso: il pubblico andrebbe “rieducato” tra virgolette. È positivo che il film sia uscito al cinema grazie ad Amazon MGM negli Stati Uniti e da noi con Warner Bros.

Andrea Francesco Berni:

E poi chiude la top ten Queer, che ha superato il milione. Insieme a 30 notti col mio ex, Until Dawn e I Peccatori è uno dei titoli che hanno superato questa soglia psicologica.

Andrea Francesco Berni:

A proposito, ieri sera ho visto Thunderbolts in una proiezione IMAX e, prima della solita sigla, ce n’era una personalizzata fatta da Marvel Studios per Fantastic Four. Invece del classico conto alla rovescia, c’era un “4” che si trasformava nel logo dei Fantastici Quattro. Una cosa geniale. Considerando che Fantastic Four sarà un film che, nelle sale PLF, incasserà parecchio, mi sembra un modo interessante di iniziare a stimolare il pubblico.

Davide Dellacasa:

Sì, ho visto quella segnalazione nelle tue storie. Grazie di avermela raccontata senza che dovessi neanche chiedertelo!

Davide Dellacasa:

Comunque, stamattina abbiamo pubblicato anche l’articolo di bilancio del mese di aprile – lo trovate su Cineguru. Aprile si è chiuso bene, è un altro mese positivo per quanto riguarda gli incassi del 2024.

Davide Dellacasa:

Continuando con le considerazioni sull’anno, anche stamattina parlavamo del 2019, ma io vorrei proprio dimenticarmelo, il pre-Covid. È un’altra epoca. Lo ricorderemo solo quando – forse – ci torneremo.

Davide Dellacasa:

E parlando di estate cinematografica americana: tu hai detto che parte bene con Thunderbolts, che ha incassato 76 milioni negli Stati Uniti. E parte, appunto, a maggio. Con tanta roba in arrivo.

Andrea Francesco Berni:

Tantissima, sì. E aprile è forse il primo mese in cui il cinema italiano è meno protagonista a livello di incassi. Il che è positivo, se vogliamo: vuol dire che sono tornati i grandi blockbuster americani.

Andrea Francesco Berni:

Penso all’anno scorso, quando la stagione era partita male per via degli scioperi: niente film Marvel come da tradizione, perché Deadpool & Wolverine era slittato a luglio. Così è toccato a The Fall Guy, in cui avevamo riposto tanta fiducia… ma non ce l’ha fatta. Se non ricordo male, aveva debuttato con 27-28 milioni di dollari.

Andrea Francesco Berni:

Quest’anno, invece, è tornato un film Marvel. Nel primo weekend estivo americano, sono stati incassati in totale oltre 144 milioni in tre giorni. Thunderbolts ha fatto 76 milioni: significa che il resto dei film ha fatto la metà. È un dato importante. Non mi piace quando un film da 200 milioni domina e dietro c’è solo una scia di titoletti da 1-2 milioni. È successo in vari momenti negli ultimi anni. Quindi questo è un segnale di mercato più sano, speriamo continui così.

76 milioni per Thunderbolts, ma a livello globale la performance è meno positiva. Il weekend è stato da 162 milioni di dollari, il che lo posiziona accanto a titoli “minori” o comunque film corali come Shang-Chi ed Eternals. Shang-Chi ha avuto una buona tenuta, ma nessuno dei due è tra i migliori incassi Marvel. Detto questo, Thunderbolts è un film a sé, non parte di un vero franchise, quindi il comportamento mi sembra incoraggiante. Vedremo se crescerà nei mercati esteri.

Al secondo posto c’è I Peccatori con altri 33 milioni: siamo al terzo weekend e continua a sorprendere, considerando che ha perso quasi tutte le sale IMAX, passate a Thunderbolts. Il circuito ci ha tenuto a precisare che il 15 maggio ci sarà una giornata dedicata a I Peccatori, quando finirà l’esclusiva del Marvel. Quasi 10.000 dollari di media per sala, 180 milioni negli USA e 230 nel mondo: è un enorme successo. Non lo definirei neanche sleeper hit, è una hit e basta.

Terzo posto per Minecraft, che sfiora i 400 milioni negli USA e ha superato gli 800 nel mondo, siamo a 873 per la precisione. Poi il crollo di The Accountant 2, che fa 9,4 milioni nel weekend e arriva a 41 totali. Non è un disastro, ma è costato quasi 80 milioni. Vedremo come chiuderà. Quinto Until Dawn, che rallenta anche lui: 3,8 milioni nel weekend, 14,3 totali. È costato poco, quindi penso che in Sony siano soddisfatti.

In fondo alla top 10 americana ci sono due film: Hit e Unknown Title, con circa un milione e 700.000 dollari. The King of Kings, il film d’animazione uscito nel periodo pasquale, sta ancora tenendo. Ha un cinemaScore A+, e ha raggiunto i 57 milioni, niente male.

Davide Dellacasa: Senti, aprile – grazie a Minecraft e ora a Thunderbolts – ha invertito la tendenza anche negli USA. Il mercato è a +14% rispetto all’anno scorso, giusto?

Andrea Francesco Berni: Sì, siamo a +15,8%. Poi c’è sempre il confronto col 2019, ma magari rimandiamolo a fine anno, dai.

Davide Dellacasa: Spoiler: quanti dei film che hai elencato finora in testa al box office americano sono film americani?

Andrea Francesco Berni: Bravo, perché questo è il punto. Io lo trovo allucinante. Il pranzo con Jon Voight, non lo so, non è stato chiarissimo… Non si è fatto capire. La battuta è su una notizia di stanotte: Trump ha twittato su Truth – o ha “truttato”, come si dice? – dicendo che vuole imporre dazi del 100% su tutti i film prodotti all’estero. Già i commenti di Variety, Hollywood Reporter e altri fanno notare quanto sia surreale. Nolan, ad esempio, era in Sicilia fino a pochi giorni fa per Odissea… che cos’è, dov’è, è un film americano o no?

Davide Dellacasa: Tutti i film oggi hanno parti girate all’estero. Il punto vero sono le produzioni spostate in Canada, UK, Ungheria e altrove grazie agli incentivi. E poi è difficile anche definire cosa significhi “film estero”. Se è girato per metà in Georgia e metà in Ungheria? Come lo tassano?

Andrea Francesco Berni: Esatto, e comunque gli Stati Uniti, da questo tipo di dazi, hanno solo da perdere. I film americani esportano tre volte quello che importano.

Davide Dellacasa: Infatti, se seguiamo la logica di Trump – quella per cui ha introdotto i dazi qualche mese fa con certi calcoli – in questo caso dovrebbe toglierli, non metterli. Ma il punto è un altro: lo Stato della California è in piena crisi. Hollywood si sta frammentando, e il governatore sta cercando di rafforzare gli incentivi per tenere le produzioni a Los Angeles. L’idea del dazio è una risposta sbagliata: invece che una toppa, è un buco più grande.

Andrea Francesco Berni: E poi, pochi giorni fa, c’è stata anche la riunione con la Borgonzoni sul tax credit italiano, con risposte che aspettiamo da mesi per rilanciare la produzione. E ora arriva una notizia del genere, che gela il sangue anche da noi. E bisognerebbe considerare anche le serie tv, perché lui non le ha citate, ma valgono quanto i film.

Davide Dellacasa: Certo. È da vedere come si attuerebbe questa proposta. Jurassic World – Il Dominio, ad esempio, è costato 450 milioni di sterline ed è stato girato nel Regno Unito con 89 milioni di incentivi. Non è un problema solo per Hollywood, ma anche per produzioni interne agli USA. Alcuni stati si fanno la guerra tra loro per attrarre i set.

Davide Dellacasa: Mettere dazi sui film interstatali? Ridicolo. E comunque, al di là del mal di testa che queste dichiarazioni ci procurano, Trump fa spesso annunci così. Poi bisogna vedere cosa succede davvero.

Andrea Francesco Berni: Settimana prossima c’è Cannes. Tutti i potenziali acquirenti si stanno spostando lì, e un annuncio del genere a pochi giorni dal Marché è pesante, anche se non avrà ripercussioni concrete. Solo il panico che genera è già un problema.

Davide Dellacasa: Già. Ma non abbiamo chiuso col cinema: questa settimana ci sono i David.

Andrea Francesco Berni: Sì, i David di Donatello il 7 maggio, in diretta su Rai 1. Non ci sarà più Carlo Conti, ma Mika ed Elena Sofia Ricci. Le votazioni sono chiuse da un po’. Alcuni premi già annunciati: David speciale a Timothée Chalamet, premio speciale a Ornella Muti, David alla carriera a Pupi Avati e David dello spettatore a C’è ancora domani, che è un po’ un premio di consolazione, visto che ha ricevuto solo due nomination nonostante l’enorme successo. Miglior film internazionale andrà ad Anora. Tra i film più candidati ci sono Partenope e Berlinguer con 15 candidature, Vermiglio e L’arte della gioia con 14. E poi c’è The Egg Gregors Theory di Andrea Gatopoulos, un corto realizzato con immagini generate con intelligenza artificiale, ammesso perché non viola il regolamento. L’ANAC sta chiedendo di rivedere le regole per inquadrare questi casi: se oggi un corto può entrare, domani magari anche un lungo.

Ma un’altra cosa: ci sono due serie tv candidate come miglior film, Dostoevskij e L’arte della gioia. Sono state presentate come serie a Cannes, ma poi sono uscite al cinema e ora sono candidate come film. È lo stesso caso di Esterno Notte, che poi vinse anche diversi premi. Invece M. Il figlio del secolo, che è una serie straordinaria uscita solo in TV, non può essere candidata perché non è uscito nelle sale. La risposta a chi si chiede perché una serie tv può essere candidata è semplice: il regolamento dei David prevede che i lungometraggi debbano essere proiettati in almeno due sale italiane con tenitura di 7 giorni, compreso un weekend, tra il 1 gennaio e il 31 dicembre. Se rispetti questa regola, puoi concorrere. E questi due titoli l’hanno rispettata. Personalmente, penso che si potrebbe aggiungere una categoria per le serie tv. Non dico di rispolverare il Telegatto, ma un premio alla serialità sarebbe interessante. Parliamo di opere eccezionali che meritano riconoscimenti.

Davide Dellacasa: Come dici tu, qualche premiuzzo se lo porteranno a casa. Alla fine sono anni che, con l’arrivo delle piattaforme di streaming, il confine tra film e serie tv è diventato molto più labile. Quello che fa la differenza, forse, è il livello della produzione, la qualità, non il fatto che sia uscito al cinema o in televisione. In questo caso questi prodotti hanno fatto entrambe le cose e usano ciò che i regolamenti consentono. Come dicevi, rivedremo i regolamenti. Sull’intelligenza artificiale capisco bene il discorso. Abbiamo tutti un atteggiamento un po’ bipolare verso l’AI: da una parte ne vediamo i benefici, dall’altra abbiamo paura che tolga spazio e ossigeno economico al nostro lavoro. Non ricordo dove l’ho sentito, ma qualcuno diceva: “Non ho mai visto ritirare un Nobel per la fisica solo perché il vincitore ha usato una calcolatrice”. È un po’ diverso, certo, ma rende l’idea.

Davide Dellacasa: L’AI può intervenire a tantissimi livelli nel processo creativo, e sarà sempre più difficile regolarla, gestirla, inquadrarla. E in un mondo in cui esistono da un lato l’industria mainstream hollywoodiana e dall’altro tutta la produzione YouTube, social, e creator economy, siamo in un contesto in cui le media factory digitali hanno ormai un peso enorme. Prendi MrBeast: qualche settimana fa ha raccolto investimenti a una valutazione superiore a quella di A24. E lì, dall’altra parte, non staranno certo a guardare se hai usato l’intelligenza artificiale o no. È un confronto tra due mondi, e quello tradizionale rischia di diventare irrilevante se inizia a escludere strumenti e linguaggi che il resto del settore adotta senza problemi. Se i quindicenni di dopodomani guarderanno solo YouTube e contenuti generati da AI, cosa succede all’industria classica, sempre più marginalizzata?

A proposito di AI, chiudiamo con un altro tema: le trimestrali di questi giorni, tra cui quella di Meta. Zuckerberg ha detto chiaramente che vede un futuro in cui tutta l’advertising su Meta sarà gestita dall’intelligenza artificiale. Il cliente dà il budget, dice cosa vuole, e l’AI si occupa di tutto: creatività, pianificazione, targeting.

Andrea Francesco Berni: A me colpisce che Zuckerberg, dopo aver investito miliardi nel metaverso – cambiando anche il nome della società – dica finalmente qualcosa di realmente disruptive. E stavolta è una cosa concreta, sensata, e anche un po’ inquietante. Negli anni i social hanno democratizzato la pubblicità, come il digitale ha fatto con la fotografia: chiunque ora può promuoversi online, anche con pochi euro. Basta scegliere il pubblico, caricare una foto e pagare.

Meta potrebbe migliorare le performance di quella massa di piccoli inserzionisti, offrendo loro suggerimenti e creatività automatizzata, strumenti più efficaci di quelli che può improvvisare un utente con una foto orrenda e zero esperienza. È una grande fetta di ricavi per Meta, che può gestire direttamente senza passare dai centri media. Le grandi aziende, invece, che passano da agenzie e centri media, non so quanto siano pronte ad abbracciare questa trasformazione. Per i centri media potrebbe essere un colpo durissimo.

Se poi Meta sviluppasse strumenti da vendere ai centri media per ottimizzare e velocizzare il lavoro, sarebbe un’altra rivoluzione. Ricordiamo che Google ha già cambiato completamente la pubblicità negli ultimi anni, ed è ora sotto processo antitrust sia in Europa che negli Stati Uniti.

Davide Dellacasa: Processi che, come dicevamo, arrivano sempre tardi. Non voglio dire che “nel lungo periodo saremo tutti morti”, ma nel breve potremmo restare senza lavoro se certe cose non vengono regolate per tempo. Auspichiamo che ci sia attenzione – vera attenzione – su questi temi. Il problema è che manca la competenza in chi dovrebbe gestirli.

A proposito di AI, mi è capitato di leggere una newsletter di Stephen Follows. Diceva: “Se non avete la pazienza di leggervi tutti i brevetti di Netflix, l’ho fatto io”. E ha trovato cose interessanti. Netflix è partita con la leggenda dell’algoritmo, ma nei brevetti ci sono davvero chicche: uno sistema che identifica il comportamento dello spettatore anche senza profilo – il che potrebbe risolvere il problema dei miei figli, che mi rovinano tutte le raccomandazioni guardando roba inguardabile.

E poi c’è un brevetto che predice cosa vorrai vedere dopo e inizia a caricarlo prima ancora che tu finisca il contenuto in corso. O il doppiaggio e sottotitolaggio automatizzati in tempo reale – quello lo si immaginava. Ma la parte più interessante è sulla creazione dei trailer: non solo automatizzata, ma personalizzata. Io vedo un trailer, tu ne vedi un altro. E poi ci sono tool creativi anche per le thumbnail e la parte visuale.

Andrea Francesco Berni: Loro hanno dei brevetti assurdi, anche sulla codifica video. Gestiscono la banda in modo incredibile. Sono responsabili di una quota enorme del traffico dati globale, e hanno ottimizzato tutto al massimo. Quei brevetti valgono oro.

Davide Dellacasa: Fin dall’inizio sono stati avanti. Io mi ricordo, quando Netflix arrivò in Italia, facevo esperimenti a casa: usavo tutti i device miei e dei figli in contemporanea per vedere come reggeva il servizio. E devo dire che, tecnicamente, Netflix è ancora il punto di riferimento. Su qualsiasi fronte: gestione dei download, qualità dello streaming… Anche se poi mi hanno “tanato”: dopo due anni si sono accorti che mia figlia non viveva più con me, e ho dovuto farle un abbonamento. Avevo provato l’estensione “aggiungi membro esterno”, ma se stai negli Stati Uniti non vale. Quindi abbonamento nuovo. È ufficialmente diventata grande. E con questo, direi che possiamo chiudere la puntata. Michele Casula sarà contento che ho fatto un altro riferimento ai miei figli.

Andrea Francesco Berni: Bene, buona settimana.

Davide Dellacasa: Buona settimana.

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