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I festival di cinema hanno un pubblico giovane e crescono (con moderazione)

Una nuova ricerca AFIC-Ergo Research racconta un ecosistema festivaliero in crescita e indica le leve per rendere il sistema più sostenibile ed efficace

Cinema di oggi, spettatori di domani. Da sx Joana Fresu De Azevedo, Giorgio Gosetti, Pedro Armocida, Michele Casula
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Una nuova indagine condotta da Ergo Research per conto dell’AFIC (Associazione Festival Italiani di Cinema) offre una fotografia approfondita dell’attuale ecosistema dei festival cinematografici italiani, mettendo in evidenza dinamiche evolutive, criticità strutturali e caratteristiche del pubblico. Gli ambiti dell’indagine sono stati: una consultazione diretta con i responsabili dei festival, un’analisi della programmazione e della distribuzione delle opere, uno studio sul comportamento degli spettatori e un’osservazione dell’impatto dei festival sul panorama nazionale degli atti di visione.

La questione economica

Tra i risultati più interessanti ci sono quelli riguardo il finanziamento. Il budget medio dei festival risulta in aumento sia su base annua che in prospettiva futura. Le fonti sono per il 70% di natura pubblica: il 23% del budget proviene dalle Regioni, il 19% dal Ministero della Cultura e il 17% dai Comuni. Il restante 30% si compone di contributi da sponsor privati (15%) e ricavi da biglietteria (5%). 

Invece quello per cui i festival spendono è nel 20% dei casi destinato agli ospiti (voli, alberghi ecc. ecc.), in un altro 20% al personale interno, nel 14% alle sale e alle attrezzature, nell’11% alla comunicazione e nel 10% alla grafica. Nonostante questo quadro di crescita, il 47% dei festival non riesce a coprire completamente i propri costi con le risorse a disposizione, un dato in aumento rispetto al 40% registrato l’anno scorso. Solo l’1% ha registrato un avanzo di bilancio, mentre il 52% ha raggiunto il pareggio. In media, i festival dichiarano di avere bisogno di un incremento del 30% del budget attuale per operare in modo ottimale.

È il secondo anno che Ergo conduce questo studio e rispetto allo scorso anno, il numero delle edizioni consuntivate è raddoppiato, passando da 42 a 86. Questo aumento ha permesso di raccogliere un numero maggiore di dati e voci, in particolare da direttori artistici e responsabili della programmazione con un’esperienza media di circa 25 anni. Questo modulo autovalutativo è stato poi affiancato da un’analisi indipendente dei percorsi distributivi delle opere programmate, utile a misurare l’effettiva ricaduta dell’attività festivaliera nel mercato.

Le difficoltà maggiori, secondo i partecipanti, sono legate quasi esclusivamente alla questione temporale. Il 73% lamenta i tempi lunghi per la pubblicazione dei bandi ministeriali, il 71% segnala problematiche nel reperimento degli sponsor, mentre il 50% evidenzia ritardi nell’erogazione dei finanziamenti e il 45% nei bandi locali. “Tutti gli ostacoli principali si concentrano sui tempi” ha sottolineato Michele Casula di Ergo Research “ed è su questo aspetto che andrebbe ripensata l’efficacia dell’intero sistema”.

Le proiezioni

Un altro elemento significativo riguarda le modalità di fruizione. Oltre un terzo dei festival prevede contenuti accessibili tramite piattaforme online, con una parte digitale che ha registrato una semplificazione delle procedure di accesso. I dati mostrano che il numero di atti di visione online è triplo rispetto a quelli in presenza. Per quanto riguarda le modalità di accesso, il 35% del pubblico utilizza un accredito a pagamento, il 53% acquista un biglietto per ogni proiezione e il 31% accede gratuitamente all’intera offerta.

L’attività media di un festival comprende circa 75 proiezioni dal vivo. Il 29% delle manifestazioni offre oltre 100 titoli per edizione e nel 44% dei casi si è riscontrato un aumento dell’offerta rispetto all’anno precedente. In termini di contenuti i cortometraggi sono più dei lungometraggi (55% i primi, 45% i secondi) e solo il 30% dei lungometraggi trova poi una distribuzione nelle sale tracciate da Cinetel, con un incasso medio di 388.000 euro, in lieve calo. “Si tratta di incassi in linea con quelle dei film finalisti ai David di Donatello” sottolinea Casula. Il restante 70% delle opere invece non raggiunge volumi di distribuzione sufficienti per essere mappato.

Va registrato come dato importante che nel 50% dei casi le sedi delle proiezioni nei festival sono spazi non convenzionalmente adibiti a proiezioni cinematografiche. Significa che di fatto viene portato il cinema là dove altrimenti non c’è. Gli eventi collaterali associati alle proiezioni rappresentano un ulteriore punto di forza: nel 24% dei casi si organizzano incontri con talent, mentre nel 21% è previsto intrattenimento di tipo musicale o conviviale come concerti e aperitivi.

Cinema di oggi, spettatori di domani

Il pubblico

Dal punto di vista del pubblico, i dati Cinetel e Cinexpert mostrano nel periodo considerato un calo del 3,2% degli ingressi in generale, mentre i festival vanno in controtendenza con una crescita del 4%. In linea con quanto si è registrato negli ultimi anni per le sale anche ai festival il profilo anagrafico degli spettatori è giovane. L’età media è di 37 anni, ben inferiore alla media nazionale di chi va al cinema che è di 47 anni. I giovani tra i 15 e i 34 anni costituiscono il 60% degli spettatori dei festival, mentre nel mercato generale rappresentano il 50% del box office: “Il pubblico più giovane si dimostra più aperto al binge-watching da festival e premia format e contenuti diversi “ dice Casula “una tendenza da osservare con attenzione anche per la distribuzione tradizionale”.

Senza sorprese i frequentatori abituali, definiti spettatori “filofestival”, acquistano in media 13,7 biglietti all’anno, a fronte di una media nazionale di quattro biglietti all’anno per gli spettatori generici. Inoltre, il 41% di questi dichiara l’intenzione di aumentare la propria frequenza in sala nei prossimi mesi. Bisogna considerare che negli ultimi cinque anni 32 milioni di italiani sono stati almeno una volta al cinema, tra questi circa 3 milioni hanno partecipato ad almeno un festival, ovvero il 10% dell’intera popolazione cinematografica.

I commenti

A margine della presentazione della ricerca c’è stato modo e spazio per un commento. Ogni rappresentante di una diversa istituzione ha affrontato la ricerca e i suoi esiti dal punto di vista dei propri associati. Ad esempio Alessandro Usai, presidente ANICA, ha parlato del fatto che l’importanza dei festival risiede prima di tutto nel loro valore territoriale: “I festival sono strumenti fondamentali per garantire visibilità in certe zone d’Italia a opere che non avrebbero altrimenti la forza per emergere nel circuito commerciale. Sono una “scintilla” in grado di far circolare titoli al di fuori delle logiche del marketing tradizionale”.

Una riflessione particolarmente accorata arriva da Salvo Nastasi, presidente della SIAE, istituto partner della ricerca, che ha voluto rimarcare due aspetti: “Il dato che mi ha veramente sconcertato in positivo è l’assoluta assenza di prodotti presentati nei festival rispetto alle piattaforme,” ha dichiarato. A colpirlo è stato anche il profilo del pubblico, “mediamente giovane e vede cose che altrimenti non vedrebbe,” un segnale della capacità dei festival di intercettare nuove fasce di spettatori. Tuttavia Nastasi ha evidenziato un grave squilibrio nei finanziamenti: “Il pubblico dà poco e dovrebbe dare di più perché i risultati sono eccellenti.”. Che è stato un po’ l’elefante nella stanza e una delle ragioni non dichiarate per le quali esiste questa ricerca, per avere dei dati con cui raccontare quello che i direttori di festival già vedono con i loro occhi.

Tuttavia Giorgio Gosetti, direttore del Noir Festival da lui fondato, giornalista all’ANSA e delegato generale delle Giornate degli autori, ha messo in discussione l’intero impianto della promozione culturale pubblica: “Conta molto quanto fai sapere quello che stai facendo,” ha detto, lamentando un’allocazione molto bassa di risorse per la promozione da parte del Ministero, ferma a circa 7 milioni di euro. Gosetti ha inoltre criticato la difficoltà di attrarre investimenti privati, legata anche all’assenza di strumenti di incentivazione efficaci: “Continuo a dire che se non diamo una forte ragione al privato di investire non si può chiedergli di farlo, non sono mecenati.” Da qui la proposta concreta: “Io chiedo che sia consentito un tax credit esterno per chi investe come soggetto privato.”

Il suo discorso si chiude con un monito: l’evento culturale non può sopravvivere senza pubblico. La difficoltà di costruire relazioni durature con gli spettatori e di attrarre risorse extra pubbliche rischia, secondo Gosetti, di minare le basi stesse della sostenibilità dei festival. “Le finanze pubbliche non sono infinite e non possono esserlo,” ha detto, ponendo l’accento sulla necessità di ridefinire il ruolo del pubblico istituzionale non come unico motore, ma come garante di credibilità e cornice di fiducia entro cui attivare nuovi equilibri economici.

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