Il Podcast di Cineguru: il mondo del doppiaggio tra sfide e opportunità. Ospite Daniele Giuliani Cineguru Podcast by cineguru - Gennaio 7, 20250 La situazione dei professionisti del doppiaggio, tra sfide e opportunità. Daniele Giuliani ospite del nuovo episodio del Podcast di Cineguru. Loading the Elevenlabs Text to Speech AudioNative Player...Nel nuovo episodio del Podcast di Cineguru, Daniele Giuliani, presidente di ANAD (Associazione Nazionale Attori Doppiatori), parla con Davide Dellacasa e Robert Bernocchi della situazione attuale dei professionisti del doppiaggio. Si discute delle difficoltà legate a tempi di lavorazione sempre più stretti e budget ridotti, che spesso impediscono di lavorare al massimo delle proprie capacità. È davvero questa la realtà del settore? Come molte attività artistiche, anche il doppiaggio si trova ad affrontare la sfida dell’intelligenza artificiale e il rischio di essere sostituito da una macchina. Oltre a sensibilizzare il pubblico sull’argomento, quali strategie possono essere messe in campo per tutelare questa professione? Infine, un approfondimento sul mestiere del doppiatore e del direttore di doppiaggio. Daniele Giuliani, voce italiana di Paura in Inside Out 2 e di Jon Snow ne Il Trono di Spade, è attualmente impegnato come direttore del doppiaggio del film A Complete Unknown dedicato a Bob Dylan. In questo episodio, ci racconterà la sua esperienza diretta e condividerà preziose riflessioni sul suo lavoro. Potete ascoltare il Podcast di Cineguru nei seguenti player. Potete ascoltare il podcast anche ai seguenti link: Spotify Ed ecco anche l’intera trascrizione del podcast: Questa trascrizione è stata generata tramite un servizio di trascrizione. La versione attuale potrebbe non essere definitiva e potrebbe essere soggetta ad aggiornamenti Davide Dellacasa Buongiorno, buongiorno a tutti, ciao Robert. Robert Bernocchi Ciao Davide, come va? Davide Dellacasa Bene, grazie. E te, tutto bene? Robert Bernocchi Tutto bene. Davide Dellacasa Allora, senti, questa settimana non parliamo di box office perché abbiamo con noi un ospite. Buongiorno Daniele. Daniele Giuliani Buongiorno, buongiorno, ciao ragazzi, buongiorno a tutti. Robert Bernocchi Buongiorno. Davide Dellacasa Allora, Daniele Giuliani, attore, doppiatore, direttore del doppiaggio e presidente di ANAD, che è l’Associazione Nazionale degli Attori Doppiatori, appunto. E chiaramente siamo qui per parlare non di effetti speciali, ma di voce. Allora, innanzitutto siamo molto contenti di averti qui con noi, insomma il doppiaggio è sempre un argomento molto interessante, dibattuto e discusso. ci porta sempre, diciamo, molte cose da gestire, mettiamola così, a cui stare attenti e seguire. Comunque, cominciamo un po’ dall’inizio. In realtà ci piacerebbe conoscere la situazione attuale di chi lavora al doppiaggio. È chiaro che veniamo tutti da anni a tratti faticosi, l’impressione che i tempi del vostro lavoro, un po’ come quelli di tutti, siano sempre più ridotti. I budget magari anche, si riesce a lavorare al meglio delle vostre possibilità oppure no? Daniele Giuliani Sai, si riesce a lavorare al meglio in certe circostanze, mentre in altre no. È innegabile che i tempi di produttività siano piuttosto serrati. Il rischio, in queste situazioni, è che passi il messaggio che le piattaforme siano il problema. Tuttavia, credo di poter affermare con serenità che le piattaforme hanno portato un indotto di lavoro significativo in questo settore negli ultimi dieci anni. Non sono quindi il problema in sé. È vero però che, a livello di richieste di consegna di materiali, lavori e simili, i tempi siano spesso eccessivamente stretti, e su questo concordo. Tuttavia, ciò dipende da una cultura non italiana, dal loro modo di lavorare: ci inviano materiali da lavorare o doppiare quando loro stessi non hanno ancora terminato il prodotto. Questo genera una corsa continua. Il problema è che, in tali condizioni, la qualità rischia di risentirne, perché – come mi dicevano quando ero piccolo – qualità e velocità non vanno molto d’accordo. Detto questo, ritengo che questo settore, nella stragrande maggioranza dei casi, riesca ancora a fornire un ottimo prodotto. Faccio un esempio: se doveste preparare 10 interviste al mese, le preparereste in un certo modo. Ma se doveste prepararne 10.000, probabilmente la qualità ne risentirebbe. Credo che questo principio valga per tutti i lavori, incluso il doppiaggio. Davide Dellacasa E quindi dipende un po’ dalle situazioni delle produzioni, insomma, un po’ come per tutti, eh, perché poi… Daniele Giuliani Certo, certo, certo. Davide Dellacasa Quindi si riesce ancora a fare un buon lavoro quando ci sono le condizioni. Daniele Giuliani Secondo me ci sono ancora delle realtà che fanno molto bene questo lavoro. Robert Bernocchi Tu hai parlato di circostanze in cui magari si riesce a lavorare bene, è più legato magari a film a grosso budget, grandi blockbuster, a film d’autore che magari ci tengono ad avere un doppiaggio di qualità? Dove ti trovi meglio? Daniele Giuliani Guarda, secondo me è una buona domanda questa, non la fa quasi mai nessuno. La realtà, secondo me, non è che cambia la qualità del doppiaggio in relazione al prodotto; cambia la qualità del doppiaggio in relazione all’azienda che lo doppia. E questo, secondo me, è diverso. Il mondo del doppiaggio è costruito da tante aziende private che, formalmente, sarebbero società di servizi, ma che in realtà sono aziende di doppiaggio a cui vengono affidati i lavori. Alcune lo sanno fare bene, altre no. E questo, a mio avviso, è il vero ago della bilancia. Robert Bernocchi Adesso mi sembra opportuno affrontare un grande tema, di grande attualità, che è la sfida dell’intelligenza artificiale e il rischio che il lavoro umano venga sostituito da una macchina. Un rischio che, ovviamente, è molto ampio e riguarda diversi settori, non solo l’intrattenimento. Secondo te, a parte sensibilizzare il pubblico su questo tema, come avete magari già fatto con le vostre iniziative, cosa si può fare di concreto? Daniele Giuliani Sì, è un tema molto caldo, ovviamente, e come hai giustamente sottolineato, non riguarda solo il mondo del doppiaggio, ma il mondo dell’arte in generale. Purtroppo, la cosa più importante è continuare a sensibilizzare, non smettere mai. Ci sono percorsi che come Anad abbiamo intrapreso, percorsi istituzionali che ci hanno portato a confrontarci con le istituzioni, sia italiane che non. Io stesso, personalmente, sono stato a Bruxelles, alla Commissione Europea, al gabinetto di Thierry Breton, ormai un anno e un paio di mesi fa, ed è stato molto interessante. Un confronto che ha avuto conseguenze positive sia per noi che per loro, come Commissione Europea, visto che sono loro a scrivere le leggi in Europa, non sono certo gli ultimi arrivati. Avevamo iniziato un percorso simile che ci ha portato a un incontro interessante con l’ex ministro della Cultura italiana, San Giuliano, che poi ha avuto un altro tipo di problema. Eppure, le istituzioni italiane si erano dette non solo disponibili, ma anche molto motivate, quasi come se avessero la necessità di percorrere insieme a noi questa strada. In realtà, però, come troppo spesso accade in questo paese, quella strada sembra essere stata sepolta da tante altre questioni che si considerano più importanti. Ma mi chiedo, davvero sono più importanti? Perché poi io ho due figlie, una di 12 anni e una di 8. Vanno a scuola, la maggiore fa le medie, la più piccola le elementari. E tra le tante cose che studiano, c’è ancora spazio per l’arte. Ma non l’arte contemporanea, quella di oggi, no, studiano l’arte di millenni fa: i primi geroglifici nelle caverne, tutto ciò che l’umanità ha lasciato come lascito e che consegniamo alle future generazioni. Non solo gli aspetti tecnologici, sociali e linguistici, ma anche quelli artistici. Quindi, secondo me, c’è una domanda che dobbiamo porci: l’intelligenza artificiale nel doppiaggio, nella musica, nel giornalismo, nella traduzione, in tutti i campi, a favore di chi è? Perché questa è la domanda cruciale. A favore di 8-9 macro-aziende mondiali che, con un fatturato di 50 miliardi, sostituiranno tutti i laboratori? Vi faccio un esempio concreto. Come abbiamo fatto a portare la nostra voce all’attenzione del governo italiano un anno fa? Gli abbiamo detto: “Se tutti questi 3 milioni di laboratori smettono di lavorare, chi vi paga le tasse?” Ecco, le tasse sono attivate. Perché c’è un discorso economico e sociale, a cascata. Ci sono tanti aspetti, che forse sembrano banali, ma sono veri. Rischiamo di distruggere tutto ciò che produciamo come artisti, ma a favore di chi? Io non voglio che le mie figlie vadano a un concerto dei prossimi Måneskin (chiunque siano) e vedano un computer al posto di un batterista sudato, che magari sbaglia un colpo e buca un charleston. Perché la batteria campionata la sentiamo tutti, non sbaglia mai, ma in un concerto ci emozioniamo. Lo stesso vale per il doppiaggio, per le traduzioni, per i giornalisti. Ho amici giornalisti che sono disperati. Quindi cosa si può fare? Continuare a sensibilizzare il pubblico, perché alla fine si tratta di mercato. A proposito, immaginate un futuro in cui nessuno vorrà più vedere un film senza attori, ma solo con robot. In quel caso, nessuno produrrà più film se non c’è un pubblico che li guarda. Se nessuno vorrà leggere libri scritti da un’intelligenza artificiale, non li faranno più scrivere. Alla fine, tutto ruota attorno alla vendita, all’interesse del pubblico. Quindi, il primo passo è sensibilizzare il pubblico, e poi continuare a fare pressione sulle istituzioni, sia italiane che europee. Ma le istituzioni hanno davvero un interesse reale a intraprendere questo percorso? Me lo chiedo senza polemica, davvero. Perché ci sono pressioni di varia natura, anche economiche, sulle istituzioni. È inutile negarlo. Quindi, chissà, lo scopriremo andando avanti se davvero vorranno darci una mano o meno. Davide Dellacasa Non più da entusiasta della tecnologia, ma da ex entusiasta, perché su certe questioni, diciamo che questi ultimi vent’anni ci hanno insegnato qualcosa. Ne parlavamo anche la settimana scorsa nel podcast con Robert, perché quando si parla del 2025, non si può non toccare questo argomento e l’incertezza che porta con sé. Sono assolutamente d’accordo con te. Il problema è che ogni volta che c’è stata un’innovazione di questa portata, e forse non ce ne sono state altre così travolgenti, soprattutto sul tema del lavoro, come dicevi tu, le istituzioni sono sempre arrivate troppo tardi. Settimana scorsa citavo il caso di Google: ma che senso ha oggi prendersela con Google per questioni che sono avvenute vent’anni fa? Negli Stati Uniti stanno ancora discutendo su come separare Chrome da Google. Ma chi se ne frega? Una volta che hai separato Chrome da Google, il problema non è più quello. I veri problemi sono altri, ma arrivano vent’anni dopo. Arrivano quando ormai 20 anni di danni in certi ambiti sono già stati fatti. Daniele Giuliani Per esempio, nel caso specifico della vendita illegale di dati personali, ma questo si collega anche all’intelligenza artificiale nel nostro campo. Mentre stiamo parlando, ci sono siti che vendono la mia voce e quella di colleghi a 10 dollari in modo totalmente illegale, senza che ci sia modo di fermarli. Si apre una causa, ma ci vuole tanto tempo, ed è un meccanismo lunghissimo e complesso. Quello, ad esempio, è un furto. Tra l’altro, c’è da tempo un confronto legale a livello europeo su se la voce sia o meno un dato biometrico. La legge, come è scritta, è interpretabile in entrambi i modi. Ma, a prescindere dal fatto che lo sia o non lo sia, è comunque un furto. E in relazione a quello che sta accadendo negli Stati Uniti, ci sono furti di voci. Fanno microcriminalità, come il caso in cui qualcuno simula una voce dicendo: «Mamma, mamma, aiutami, mandami 3.000 dollari di corsa, aiuto, aiuto!», e quella voce è generata artificialmente. Quando siamo stati alla Commissione Europea, ci siamo presentati con un cellulare. Sapevamo che Thierry Breton non sarebbe stato presente, anche perché se non è nel prossimo consiglio dei ministri francesi, poco ci manca. Ce lo aspettavamo. Noi ci siamo presentati come delegazione di UVA, che è una confederazione mondiale di doppiaggio, creata da Anad e fondata con altre associazioni. UVA è globale, con associazioni di doppiaggio da tutto il mondo. Quindi, contrariamente alla concezione che il doppiaggio esista solo in Italia, siamo una realtà internazionale. Quando siamo arrivati lì, avevamo questo telefono con un audio di Thierry Breton che diceva: «Ma che mi frega a me dei doppiatori, vado a giocare a tennis». Le persone del suo gabinetto si sono messe a ridere, capendo che si trattava ovviamente di un fake. Poi, io, che ero il primo a parlare della delegazione, ho detto: «Bene, sono contento che vi faccia sorridere, ma vi faccio una domanda: se avessi detto, invece di “vado a giocare a tennis”, “I soldi dell’escort te li lascio al solito posto”, avreste riso?». Gelo. E lì ho detto: «Benvenuti a questo incontro. Ora possiamo cominciare a parlare». Ovviamente, la situazione è cambiata, e hanno cominciato a capire la gravità della questione. Questo lo hanno percepito anche le istituzioni italiane, quando mi hanno invitato come presidente di Anad e Carlo Cosolo, come rappresentante del consiglio di Adid (l’associazione dei direttori di doppiaggio italiani), alla Camera del Lavoro, qualche mese fa. Noi avevamo preparato un lungo discorso che doveva durare sette minuti, ma ci hanno fatto parlare per 40 minuti, perché si sono interessati e si sono messi paura. Quando siamo usciti dalla sala della Camera del Lavoro, ci hanno fermato, dicendo: «Scusate, ma veramente sareste in grado di far dire a chiunque di noi qualunque cosa?». E noi abbiamo risposto: «Sì, certo». Ci hanno guardato come se fosse più grave di quanto pensassero, e la risposta, in fondo, doveva essere: «Buonanotte. Ma perché non l’avevate capito che è grave?» Davide Dellacasa Eh sì, ma non so come non lo capiscano. Infatti, tutte le volte sembra che vivano in altre dimensioni, finché non li tocca direttamente. Robert Bernocchi Ecco, io mi chiedevo una cosa: secondo te, ci sono strumenti dell’intelligenza artificiale che potrebbero essere utilizzati nel nostro lavoro? Leggevo, per esempio, che si stanno iniziando a usare molto degli strumenti per creare storyboard a partire dalle sceneggiature, e questo permette a molti sceneggiatori, ma anche a piccole produzioni che magari non avrebbero i fondi per creare storyboard elaborati, di avere un materiale che sarebbe utile anche nelle presentazioni dei progetti. Mi chiedevo se ci fosse qualcosa che potrebbe essere utilizzato anche nel nostro settore, continuando però a mantenere il nostro lavoro. Daniele Giuliani Faccio un passo indietro. Giustamente parliamo di intelligenze artificiali, ma queste non sono vere intelligenze artificiali. Si tratta di algoritmi di calcolo che, con una velocità incredibile, processano miliardi di informazioni e producono qualcosa. Ma ciò che producono non è del tutto autentico, non è un’intelligenza. E qual è la differenza? Facciamo un esempio pratico: il chirurgo usa un laser, un macchinario che incide con precisione micrometrica il ginocchio di una persona per operare il crociato, giusto? Quel laser non sbaglia di un millimetro, quindi l’incisione è molto più precisa di quella che farebbe il chirurgo con il bisturi. Ma se fosse un’intelligenza artificiale, una volta aperto il ginocchio, vedrebbe da sola che anche il menisco è rotto, qualcosa che magari i medici non avevano notato, e opererebbe anche sul menisco senza essere stato programmato per farlo. Ecco, questo sarebbe un esempio di intelligenza. Ma un algoritmo non fa questo, fa solo ciò che gli è stato detto. Quindi, questa non è un’intelligenza, è un algoritmo di calcolo. Tutto ciò che è veramente intelligente implica un pensiero e una scelta razionale, ma al momento non esistono strumenti del genere. Un programma che divide ogni fonema della mia voce in 270 parti e poi costruisce un’intonazione quasi sempre sbagliata, non è un’intelligenza, è un algoritmo di calcolo. Quindi, partiamo dal presupposto che oggi non esistano vere intelligenze, ma solo strumenti. Robert Bernocchi Sì. Daniele Giuliani Ce li abbiamo noi? Sì. Da 20, 25, 30 anni utilizziamo il Pro Tools, che è uno strumento straordinario che permette, per esempio, di prendere una S da una scena e metterla in tutte le S del film, se non riesco più a pronunciare correttamente la S. Questo è uno strumento, ma prevede sempre l’utilizzo umano. Cioè, è l’uomo che usa questo strumento. Ci tengo a sottolineare, tra l’altro, che io, l’ANAD, il doppiaggio, nessuno è contro l’evoluzione tecnologica. Siamo tutti d’accordo, immagino che sia molto più comodo e facile viaggiare con un treno elettrico, con pannelli solari, piuttosto che con una locomotiva a vapore, giusto? Il punto è che quando l’intelligenza artificiale va a toccare i campi artistici, lì sorge il problema. È l’arte. Perché l’arte è meravigliosa, dirò una grande banalità, nelle sue imperfezioni. Io dico sempre che la parte più bella di Bohemian Rhapsody dei Queen è nella seconda strofa, quando Freddie Mercury ha un piccolo calo di voce. E lì è bello, lì ti viene la pelle d’oca. Non quando è tutto perfetto, perché l’arte non è perfezione, l’arte prevede errori, individualità, unicità, e quelle individualità e unicità vanno difese. Nel nostro campo, al momento, non ci sono strumenti particolarmente avanzati. Qualcuno azzarda a usare traduttori intelligenti per tradurre i copioni originali, ma il risultato sono dei casini immondi. Un traduttore artificiale va per statistiche, d’accordo? Quindi, ad esempio, ‘pool’ in inglese può significare sia ‘piscina’ che ‘biliardo’. Ma se nell’80% dei casi è tradotto come piscina, allora il traduttore artificiale restituirà ‘piscina’, anche quando in realtà si parla di biliardo. Inoltre, nel nostro settore c’è un aspetto cruciale per il livello produttivo e artistico del doppiaggio, ed è l’adattamento dei dialoghi. In quel caso bisogna usare il cervello, trovare alternative. Quante volte, ragazzi, a scuola facevamo una versione di latino, prendevamo 7, ma non voleva dire niente? Dicevamo: ‘Ho preso 7, ma non significa nulla’, perché era una traduzione letterale. Tradurre, lo dico da laureato con una tesi in traduzione interculturale, significa tradire. Gli inglesi tendono a verbizzare i sostantivi, le cicale ‘cicalano’ per loro, ma se io scrivo in un romanzo fantasy ‘le cicale cicalavano all’ombra della sera’, per noi potrebbe sembrare ridicolo, ma non per loro. Se io traduco, devo farlo culturalmente, altrimenti ho fatto un pessimo lavoro. Quando mi dicono: ‘Emma nell’originale diceva un’altra cosa, voi avete detto un’altra cosa’, la risposta è sì, perché probabilmente non avevamo la possibilità di rendere lo stesso gioco linguistico nella nostra cultura. L’importante è che sorridi come nell’originale, che piangi come nell’originale, non che ho cambiato una parola. Tradurre vuol dire tradire. Oggi, soprattutto in Italia, siamo troppo concentrati sul concetto di autenticità dell’originale. Esistono decenni di sociologia che spiegano come tradurre un’opera, tradurre un libro, sia un arricchimento per l’opera stessa. Ma non lo dico solo io, ci sono teorie consolidate che lo spiegano. La traduzione è un arricchimento, dà qualcosa di più all’opera. Lo vediamo con opere come ‘Cantami o Diva’ dell’Iliade, che non è in italiano, ma tutti la conoscono come traduzione. E lo stesso discorso vale per libri come ‘Guerra e Pace’ o ‘Uomini che odiano le donne’ di Stieg Larsson, che sono tradotti dallo svedese. Parlate svedese? No, quindi traduciamo. Se mi chiedete come fruire di un’opera, senza dubbio, se sei madrelingua, l’originale è migliore. Ma attenzione: i sottotitoli, per esempio, ti danno solo 40 battute per una frase. Se la battuta è più lunga, il sottotitolo sarà una sintesi per forza. Perché non si può fare un sottotitolo troppo lungo, altrimenti non si riesce a leggere, o leggi o guardi il film. Quindi, se sei madrelingua, certo, l’originale è preferibile. Ma se non lo sei, meglio il doppiaggio. È come un libro: se conosci il tedesco, leggi un libro in tedesco. Se non lo conosci, leggi in italiano. Oltre a ciò, c’è una cinematografia globale: quella coreana, francese, tedesca, spagnola. ‘La Casa di Carta’ è spagnola, ‘Dark’ è tedesca, ‘Squid Game’ è coreano. Siamo usciti dall’era del cinema americano, anche se una grossa fetta del mercato è ancora loro, ma non sono più gli unici produttori dell’audiovisivo. Davide Dellacasa Non per la voce, ma perché è tutto molto interessante e ci sarebbe da discutere per giorni. Chiaramente, il tema in generale è vasto, perché stiamo parlando di traduzione, doppiaggio e adattamento, che sono tutte cose affascinanti per chi ama quest’arte, questo intrattenimento, insomma. E poi, sul tema dell’intelligenza artificiale, dell’impatto e di come cercare di gestire una situazione che, temo, ci travolgerà, è importante riflettere. Come dicevi, gli interessi delle 8-10 grandi società che oggi controllano lo sviluppo di queste tecnologie sono tali che possono comprare qualsiasi cosa. Ne parlavamo anche la settimana scorsa: quando guardi la capitalizzazione di queste aziende, capisci che hanno il potere di comprare il mondo, e quindi il vero tema è proprio questo. Però, visto che il tempo a disposizione è poco, chiudiamo magari con qualche nota più personale. Non tutti lo sanno, ma sei stata la voce di Paura in Inside Out 2 quest’anno, un film che ha rappresentato una svolta importante per il mercato, soprattutto perché, fino a quel momento, c’erano molte preoccupazioni su come sarebbe andato e come si sarebbe chiuso l’anno al cinema. Ora stai lavorando su A Complete Unknown, che arriverà tra qualche settimana in Italia. Questo è uno dei casi più interessanti, almeno per chi come noi guarda da questo punto di vista, sia per il personaggio con cui ti confronti, sia per il tema che, nell’ambito dei film e dell’adattamento, rappresenta sempre una grande preoccupazione: lavorare con le musiche, con le canzoni. Daniele Giuliani Diciamo che sono sicuramente due prodotti di punta. Inside Out 2, in particolare, penso abbia generato un mare di incassi, e credo che se li meriti, tra l’altro, perché è un’opera molto ben scritta. Sicuramente riconcilia con il cinema. È quello che ho pensato anch’io quando mi hanno invitato all’anteprima: ‘Questo è un bel film da vedere al cinema’, ed era un po’ che non mi capitava, devo essere onesto. È un prodotto che tocca le corde giuste a tutti i livelli, dai bambini agli adulti, quindi sì, sicuramente ha dato nuova linfa all’intero meccanismo del cinema, e anche alla Disney. A Complete Unknow, poi, è un gran bel film. Innanzitutto, è un gran bel film. Poi, chiaramente, non posso entrare nei dettagli, anche solo per aver firmato un NDA, ma è davvero bello. Quando lo vedi, esci dal cinema e probabilmente ti scarichi tutta la sua discografia. È proprio un bel film, un film che, per quanto ‘bello’ sia un termine spesso usato a sproposito, in questo caso è proprio un film che merita di essere definito così. È godibile, coinvolgente, e sono sicuro che andrà molto bene. Sono anche convinto che qualcuno sarà candidato a premi molto importanti. Vi consiglio davvero di dargli un’occhiata, perché è uno di quei film che, quando esci dalla sala, non puoi proprio essere deluso. Robert Bernocchi Volevo ringraziare Daniele, perché questo è un approfondimento che facciamo per la prima volta con un doppiatore e mi sembra davvero il momento giusto per capire non solo le difficoltà di questo lavoro, ma anche il suo fascino. Credo che Daniele ci abbia fornito un’ottima panoramica di entrambi gli aspetti. Daniele Giuliani Un quadro molto chiaro e interessante. Vi ringrazio, è stato davvero piacevole. È sempre utile avere queste occasioni per spiegare, per parlare e per confrontarsi. Mi dispiace solo che tra due minuti dovrò iniziare a lavorare, ma se ci sarà occasione in futuro, sarò più che disponibile a parlarne ancora. Davide Dellacasa Penso che questo sarà uno dei temi che cercheremo di portare avanti con Robert durante quest’anno: il confronto con le varie professioni e l’impatto che un cambiamento come questo avrà su tutta l’industria. Un cambiamento che, sicuramente, in parte sarà subito, ma che bisogna comunque cercare di gestire. Non si tratta assolutamente di fare passi indietro. Va bene, grazie e buon lavoro! Daniele Giuliani Quando vorrete allora ci risentiremo. Grazie a voi e buon lavoro. Ciao. Robert Bernocchi Grazie.