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La WGA pronta allo sciopero?

Il primo maggio scade l’accordo base tra l’associazione degli sceneggiatori americani e quella dei produttori. Vediamo quali sono i punti in discussione, in una situazione veramente complicata…

Il rischio di uno sciopero degli sceneggiatori della WGA dal primo maggio prossimo diventa sempre più concreto. Ma quali sono i problemi che potrebbero portare a questa drastica scelta, dalle conseguenze molto pesanti?

C’è secondo me un problema di base, che ha fatto dire a molti “è una battaglia giusta, che avviene nel momento peggiore possibile”. I cambiamenti provocati dall’avvento delle piattaforme sono quelli che hanno portato a modificare maggiormente le modalità in cui gli sceneggiatori vengono contrattualizzati. Tuttavia, il panorama delle piattaforme (e soprattutto, gli equilibri economici di queste realtà) è talmente incerto e confuso al momento, che fare trattative che incideranno sui conti dei prossimi anni è veramente complicato. Da una parte, gli sceneggiatori vedono l’aumento di prodotti (e di budget produttivi) e trovano ingiusto non essere compensati in linea con questa ‘inflazione’; dall’altra, i produttori (e chi li sostiene) sanno benissimo che siamo in una fase particolare (che vogliate usare o meno il termine ‘bolla’) e che non si potrà continuare così. In effetti, come segnalava David Poland in una sua recente newsletter, un conto è chiedere di condividere i profitti, ma se l’anno scorso tutte le major hanno perso nello streaming più di 10 miliardi, al momento non ci sono proprio profitti da condividere e non sarà certo nel 2023 che verranno fuori. Come trovare quindi una sintesi? Non sarà facile. Si potrebbe pensare (idea mia) a standard economici legati al numero di produzioni realizzate, al numero medio di episodi e ai budget medi che vengono investiti, con aggiornamenti da fare anno per anno. Ma tutta questa trattativa avverrà cercando di spiegare al grande pubblico questioni molto tecniche e non facili da capire neanche per gli addetti ai lavori. Insomma, la comunicazione sarà fondamentale, da una parte e dall’altra.

Roy Price, nella sua newsletter, faceva un esempio di un possibile sceneggiatore e produttore esecutivo di una serie di 8 episodi, pagato 40.000 dollari a episodio, quindi 320.000 dollari totali. Sembra una gran cifra, ma tolte le spese per manager, agente e avvocato, più le tasse, ne rimangono 144.000, che per i costi della vita a Los Angeles non sono una somma straordinaria. Qui si potrebbe discutere del fatto che quindi il problema non sono il livello di guadagni generati dal lavoro di sceneggiatore, ma i costi fissi per farlo a Los Angeles. E già qui ci si potrebbe dividere tra produttori e sceneggiatori… ma è un altro discorso.

La differenza più evidente, è che mentre prima una serie standard durava 24 episodi (o, anche per quanto riguarda le serie della HBO più raffinate, almeno 13), ora lo standard è di otto o massimo dieci episodi.

L’altro problema è che, una volta finito il lavoro, lo sceneggiatore poteva sperare di partecipare ai guadagni futuri, grazie ai diritti sulle successive entrate (oltre al fatto che magari la serie sarebbe andata avanti per tante stagioni, cosa che significava un lavoro stabile e un maggiore valore di questo prodotto). Ora, con le piattaforme che acquisiscono tutti i diritti e che difficilmente arrivano a una terza-quarta stagione (Netflix non è mai andata oltre le sette-otto e sono casi straordinari), i soldi che si prendono subito sono quasi sempre anche gli unici.

Richard Rushfield, della newsletter The Ankler, che ha sentito una ventina di sceneggiatori, ne ha ricavato una categoria che si sente sfruttata e in cui manca completamente la fiducia nelle sue controparti. Ecco, questo aspetto mi sembra degno di una riflessione a parte. Mi chiedo infatti, perché in tutto il settore (non solo gli sceneggiatori, ma anche distributori, esercenti, broadcaster/piattaforme e addirittura produttori) ognuno si lamenta e si sente sfruttato? Come ci siamo arrivati a questo stato di cose?

Evidentemente, soprattutto il modello delle piattaforme presenta due aspetti totalmente negativi, collegati l’uno all’altro. Il primo è ovviamente quello di mantenere tutti i diritti e quindi privare i produttori della condivisione di un possibile successo, in maniera meritocratica. A questo punto, perché i produttori dovrebbero fare il prodotto migliore possibile e non invece farne quattro (mediocri) in contemporanea? Peraltro, visto che la maggior parte dei prodotti (come è sempre stato e a maggior ragione adesso, in cui sono veramente troppi) non ha successo, le piattaforme comprano tutti i diritti mondiali di qualcosa che non vede nessuno. Questa non è un’opinione mia, lo dice David Zaslav, che sostiene che questa sia la situazione per circa il 60% dei prodotti che attualmente sono disponibili su HBO Max. Questo dato spiega bene perché talvolta ha preferito eliminarli dalla piattaforma, così da non pagare i residuals agli autori.

A questo punto, il secondo aspetto negativo è la totale sfiducia tra le parti: le piattaforme pagano cifre importanti e decisamente superiori, almeno in Italia, agli standard della Rai (che però è l’unica realtà italiana che produce costantemente prodotti di successo e già questo è un totale controsenso, come scrivevo qui) e pensano di non ricevere in cambio quello che meriterebbero. I produttori indipendenti si sentono controllati su ogni spesa e – come detto – non hanno nessun incentivo a realizzare i prodotti migliori possibili. Gli sceneggiatori, alla fine di questo percorso, fanno quello che è normale, ossia accettare tanti incarichi, cosa che non può che diminuire il livello qualitativo medio dei prodotti.

Ma quali sono gli obiettivi della WGA? Qui trovate un elenco delle battaglie che verranno condotte (e che sono state approvate dal 98,4% degli iscritti al sindacato), di cui segnalo le cose più significative.

Alcune sono questioni relativamente semplici (da spiegare), per esempio avere un aumento importante del compenso minimo. D’altronde, se si lavora a tempo pieno su prodotti con meno episodi e senza prospettive di guadagno future, il salario minimo deve aumentare. Allo stesso modo, si chiede che ci siano compensi standard per i lungometraggi, senza fare distinzioni tra quelli che escono nelle sale o in streaming. In effetti, se in questi anni tanti amministratori delegati ci hanno detto che i film potevano andare direttamente in piattaforma e non passare dalle sale, tanto per la società andava bene lo stesso (lasciamo perdere che si è rivelato un modello fallimentare), perché ci dovrebbero essere differenze nel pagamento degli sceneggiatori?

Analogamente, bisogna fornire un compenso adeguato in tutte le fasi di lavoro (preparazione, riprese e postproduzione), così come fornire un tetto temporale al lavoro richiesto per ogni singolo episodio, per evitare che lo sceneggiatore magari debba lavorare un anno intero su una serie con poche puntate, senza poter accettare altri incarichi. Rushfield segnalava come sono possibili casi di sceneggiatori impegnati per 40 settimane in un anno per serie di dieci episodi, senza possibilità di prendere altri incarichi. Inoltre, c’è chi vorrebbe aumentare il numero minimo di sceneggiatori nelle squadre che si occupano di serie.

Alcune richieste invece sono più complicate da spiegare (e da regolare), per esempio il discorso delle “mini-rooms”. Con questo termine, si definiscono quelle situazioni in cui un broadcaster/piattaforma non è sicuro di voler realizzare una serie e a quel punto affida a una ristretta squadra di sceneggiatori l’incarico di realizzare uno sviluppo ‘minimo’ di questi prodotti, magari scrivendo anche qualche sceneggiatura. Il tutto, però, con paghe decisamente basse e tempi che possono essere anche lunghi, situazione che la WGA vorrebbe riequilibrare (anche se, naturalmente, non è facile trovare una sintesi, perché a costi maggiori un broadcaster potrebbe anche rinunciare a questo prodotto e semplicemente farlo morire). Ragionevole anche che, di fronte a prodotti che portano a compensi molto bassi, almeno ci siano dei pagamenti settimanali e almeno due rate di pagamento.

In altri casi (come la richiesta di aumentare i residuals per altri sfruttamenti poco pagati) è normale attendersi richieste più precise, che in questa fase ancora non sono state definite. Sul limitare l’uso dell’Intelligenza artificiale, sembra una di quelle richieste molto, molto preventive, per ‘posizionarsi’ meglio in un futuro (comunque non troppo lontano) in cui effettivamente queste realtà potrebbero sostituire l’apporto umano. Non dimentichiamo poi che tutte queste trattative avranno un impatto anche sulle discussioni che i produttori avranno con la DGA, l’associazione dei registi, il cui contratto scade il 30 giugno.

Quello che è interessante, è che probabilmente non ci sarà (come avviene di solito) un blocco granitico tra le major, che hanno obiettivi e situazioni diverse. Per dire, Disney ha già annunciato tre miliardi di tagli ai contenuti e sulle riduzioni di spesa di Warner Bros. Discovery si potrebbe scrivere un’enciclopedia. Proprio sicuri che qualche mese di stop sarebbe così drammatico? Per qualcuno più di altri, ma se l’eventuale sciopero fosse limitato a (diciamo) tre-quattro mesi (oltre questa soglia, in effetti, ci sarebbe una carenza di nuovo prodotto tra il 2024 e il 2025), penso che per alcune realtà non sarebbe una tragedia.

In tutto questo, mi viene da pensare che, tanto per cambiare, Netflix si ritrova in una situazione ideale. In effetti, se ci fosse uno sciopero degli sceneggiatori della WGA, gli unici a poter lavorare sarebbero i professionisti (stranieri) non iscritti a questo sindacato. E qual è l’unica piattaforma che produce tantissimo (anche) fuori dagli Stati Uniti e anche con buoni risultati? Netflix, ovviamente…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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