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Netflix: gli abbonati in forte aumento

Dall’ultima trimestrale della società, spicca una crescita di utenti molto superiore alle aspettative. Ma anche ricavi in calo, mentre Reed Hastings rinuncia alla carica di Co-CEO. Il titolo in Borsa aumenta del 7%…

E’ una trimestrale storica per Netflix. Non tanto per i dati forniti (comunque molto interessanti), quanto per la decisione di Reed Hastings di rinunciare alla carica di Co-CEO (che negli ultimi anni ricopriva con Ted Sarandos) e di optare per quella di Executive Chairman. Promozione per Greg Peters, che passa da COO a Co-CEO (con Sarandos), ma anche per Bela Bajaria (da Head of Global TV a Chief Content Officer) e Scott Stuber (diventato adesso Chairman of Netflix Film).

Partiamo dal discorso abbonati, con Netflix che aveva previsto un aumento di 4,5 milioni nel quarto trimestre, mentre diversi investitori erano stati leggermente più ottimisti (Anmuth ne prevedeva 4,75M, Cowen 4,73M e FactSet a 4,6M). Inoltre, Anmuth riteneva che, dei 4,75M di aumento di abbonati previsti, solo 250.000 sarebbero stati quelli nuovi derivanti dal piano con pubblicità, che però in totale a fine 2022 sarebbe arrivato a 1,27 milioni di abbonati, con circa 1M di persone che sarebbero quindi passate a questa opzione da una formula di abbonamento più cara (e senza pubblicità). E qui potrebbe esserci qualcosa di vero, almeno nella ‘tendenza’.

In realtà, l’aumento di abbonati è andato ben oltre le più rosee aspettative, facendo segnare un +7,66 milioni e raggiungendo un totale di 230,75M, come potete vedere qui:

Il risultato è chiaramente dovuto ad alcuni grandi successi di questo periodo, in particolare i dati straordinari di Mercoledì e di Dahmer (uscito in realtà il 21 settembre, ma che ha fornito risultati notevoli anche a ottobre). In questo senso, è la vittoria del modello “gourmet cheeseburger” (da un’efficacissima definizione di Bajaria), che ha regalato a Netflix anche titoli come Troll (di gran lunga il maggior successo per un film in lingua non inglese nella storia di Netflix) e Harry & Meghan (segnalato come secondo maggior dato per una serie documentario, credo dietro soltanto a The Tiger King). Per non parlare dei tanti sequel (film o serie che siano, per esempio le ultime stagioni di The Crown e Ozark), per una formula spesso criticata per la mancanza di rischi, ma che evidentemente è molto efficace e che piace ai consumatori, tanto che Netflix ha detto “i nostri abbonati hanno visto i sequel e le nuove stagioni delle serie nel 2022 come mai prima d’ora, in un’ampia gamma di generi”.

Invece, l’offerta ‘prestige’ ha confermato tutte le sue difficoltà, basti pensare a film molto attesi dai cinefili (e passati in concorso al Festival di Venezia) come White Noise e Bardo, andati malissimo (Bardo non è neanche finito in nessuna top ten nazionale), una difficoltà che abbiamo constatato anche per quello che è stato il maggiore investimento di Netflix Italia in questi ultimi anni, La vita bugiarda degli adulti, che non ha lasciato traccia fuori dal nostro Paese.

Questo era decisamente il lato positivo dei risultati di ieri, ma ci sono anche diversi segnali negativi, a cominciare proprio dai numeri legati agli abbonamenti. Se è vero infatti che tutte le regioni mondiali hanno visto aumentare il numero di sottoscrittori (in particolare la zona EMEA, che comprende anche l’Europa, con 76,7M, circa 3,2M in più, ma è positivo che sia tornata a crescere anche quella UCAN – Stati Uniti e Canada – con 74,3M, quasi 1M in più) in tutte le quattro zone mondiali (quindi, anche America Latina e Asia) è diminuito l’ARPU (il ricavo medio per abbonato), come dimostrano proprio EMEA (da 10,81 dollari a 10,43) e UCAN (da 16,37 dollari a 16,23), così come sono in flessione i ricavi totali (7,85 miliardi contro i 7,92 miliardi del terzo trimestre).

E’ interessante, perché in passato, parlando degli ultimi dati Disney+, dicevo proprio che quello che sembra un paradosso (più abbonati, meno ricavi) in realtà potrebbe essere diventato un nuovo modello (negativo). La spiegazione di questo ‘mistero’, evidentemente, è che i nuovi abbonati paghino di meno di quelli vecchi, per esempio essendo passati alla formula con pubblicità (che quindi ancora non riesce a colmare la differenza con quella senza pubblicità grazie agli introiti di chi pianifica), magari nella zona UCAN, mentre i dati della zona EMEA comprendono realtà molto diverse (ed è facile pensare che magari le cancellazioni di alcuni Paesi europei occidentali siano state sostituite da abbonamenti in nazioni in cui il costo è inferiore e da lì nasce il calo di ARPU e ricavi). In questo senso, sarebbe fondamentale sapere i dati precisi e ufficiali degli abbonati in Paesi come Inghilterra, Francia, Germania, Spagna e Italia, ma dubito che questo avverrà mai.

Per quanto riguarda l’utile per azione, le previsioni parlavano di 58 centesimi (-56%), ma in questo senso ci sono dati negativi. In effetti, l’utile per azione è stato di soli 12 centesimi dai 3,10 dollari precedenti (l’azienda lo spiega per una questione legata al tasso di cambio tra dollaro e valute estere). Segnalo anche un altro indicatore importante, ossia i costi dei ricavi del 2022, passati a 19,1 miliardi, quasi 2 miliardi in più di quanto avvenuto nel 2021.

Per quanto riguarda il free cash flow, è stato annunciato che nel 2023 si prevede che porterà a 3 miliardi di dollari e che in generale sarà stabilmente positivo (cosa di per sé ottima). Vedremo se effettivamente si raggiungerà questo risultato. In ogni caso, nel quarto trimestre è stato di 332 milioni, quindi in calo rispetto ai 472 milioni del terzo trimestre. Il debito invece è di circa 14 miliardi, ma la notizia positiva è che la società nei prossimi due anni avrà pochissime uscite in questo senso (nulla nel 2023, solo 400 milioni da restituire nel 2024) e potrà quindi investire nella crescita.

E’ interessante poi che si ripeta che i maggiori competitor di Netflix siano realtà come Youtube e TikTok, così come il gaming, un concetto che in varie formule (basti pensare ai precedenti riferimenti a Fortnite) la società ha già espresso. E’ un tema interessante e condivisibile, anche se è difficile non vederlo come un modo di ironizzare sull’utilizzo (decisamente inferiore) dei servizi streaming concorrenti.

Le omissioni. Ho ormai imparato che, quando le società in queste comunicazioni agli azionisti non forniscono dettagli su qualcosa (penso soprattutto alla mancanza di informazioni di Amazon e Apple relativamente ai loro servizi SVOD), non ci sono buone notizie in merito. In questo senso, il gaming per Netflix non sembra ancora essere esploso, visto che se ne parla rapidamente, descrivendo l’uscita di una cinquantina di prodotti e l’acquisizione di diverse società (notizie di per sé ‘neutre’) e poi decantando il dato del gioco legato al reality Too Hot to Handle, salutato come “the biggest game launch ever” (ma senza fornire nessuna metrica a riguardo, sembra proprio uno di quei comunicati di Apple o Amazon per decantare i risultati di un film o una serie).

C’era molta attesa poi per i dati sull’opzione con pubblicità e sul discorso “lotta alle password condivise”. Personalmente, sono convinto che entrambe le questioni abbiano suscitato negli investitori aspettative di entrate enormi, ma probabilmente eccessive rispetto alla realtà. In ogni caso, cosa ci ha detto Netflix?

Anche qui, non moltissimo. Non sappiamo nulla di ufficiale su quanti si siano abbonati alla versione con pubblicità, ma è stato detto durante nella lettera agli azionisti che l’impatto nel 2023 di questa formula sarà “modesto” e che è qualcosa che si costruirà “lentamente”. Qualche notizia in più è arrivata nella call agli azionisti, in cui si è comunicato che questa versione ha avuto una “solid start” e che “presto porterà a più di 3 miliardi di ricavi annuali”. Si è anche detto una frase un po’ criptica (e in questi casi, come sempre, sono un po’ scettico) come “abbiamo notato che questa versione ha un tasso di utilizzo simile a quello di abbonati simili delle versioni senza pubblicità” (che si intende per “abbonati simili”? Qualcuno che non utilizza molto Netflix ed è contento di risparmiare? O invece significa che lo utilizzano in media quanto gli altri, cioè tanto?). Nella call si è utilizzato anche come punto di riferimento Hulu, ma mi sembra un confronto poco attinente, visto che Hulu è nato proprio come uno streamer che puntava alla pubblicità (e solo in seguito ha avuto una versione più cara senza pubblicità). In casi del genere, si è notato che è molto più complicato portare gli abbonati ad abbracciare la pubblicità, se quella piattaforma non lo ha avuta per lungo tempo. Sarebbe poi fondamentale sapere se Netflix lancerà anche delle versioni pubblicitarie delle sue offerte più costose e che permettono più visioni in contemporanea dallo stesso account.

E per quanto riguarda le password condivise, è stato comunicato che si farà tesoro dell’esperienza in Sudamerica, per avvertire gli azionisti che probabilmente questa campagna porterà nell’immediato alcuni abbonati a cancellarsi, ma che l’obiettivo è più a lungo termine (ma già il secondo trimestre del 2023 dovrebbe portare a notizie migliori del primo trimestre) e a fornire al consumatore che per ora si sta facendo un ‘viaggio gratis’ buone ragioni per aprirsi un account proprio e pagare qualcosa. In questo senso, l’esca principale è continuare a fornire contenuti “must see” e che diventino dei fenomeni di cui tutti parlano e, in questo senso, non c’è dubbio che Netflix ha dimostrato negli anni di saperlo fare benissimo.

Per il resto, su altre questioni l’impressione è che Netflix stia ancora facendo valutazioni e non ci saranno novità a breve. Per esempio, la società aprirà un servizio FAST, in cui inserire dei propri contenuti in una formula gratuita per il consumatore e che vive solo di pubblicità? L’ipotesi non è esclusa, ma al momento Ted Sarandos ha fatto capire che l’attenzione non è rivolta su questo fronte.

Si è parlato poi del discorso ‘eventi in diretta’, ma anche qui con formule vaghe sul fatto che si lavorerà sui contenuti che “beneficiano di questa formula”. Il punto è che, al di là dell’aspetto promozionale (e sul far parlare di sé, Netflix è maestra) di fare gli eventi in diretta, non è ben chiaro quali dovrebbero essere quelli che ne “beneficiano”. Per esempio, lo spettacolo di Chris Rock, in diretta il 4 marzo, che vantaggi ne trae rispetto a un qualsiasi prodotto di stand-up comedy?

E’ ovvio che la diretta è fondamentale per i grandi eventi sportivi, ma non è un tema che riguarda Netflix al momento. Come ha detto Sarandos nella call, ripetendo concetti già espressi (e che condivido pienamente), “non siamo contro lo sport, ma a favore dei profitti. Non siamo ancora riusciti a capire come realizzare dei profitti inserendo gli eventi delle grandi leghe sportive nel nostro modello di abbonamento”. Insomma, per chi sognava Netflix a caccia dei diritti NBA (o situazioni simili), direi che non c’è trippa per gatti (e aggiungo: questa è una buona notizia per gli azionisti).

E non credo proprio che ci saranno novità quest’anno neanche sul theatrical. Sarandos ha ripetuto quello che già era stato espresso il mese scorso da Hastings, ossia il fatto che “l’uscita di Glass Onion nei cinema ha creato un forte buzz e una domanda forte per vedere il film, soddisfatta dall’arrivo in piattaforma”. A dire il vero, si può discutere se i risultati siano stati all’altezza di quello che è senza dubbio il film più costoso di Netflix e che ha fatto decisamente meno dei maggiori successi dello streamer (Red Notice – 364 milioni di ore – e Don’t Look Up – 359M – contro i 273M di Glass Onion), una riflessione che andrebbe fatta su tutti i grandi ‘blockbuster’ di Netflix. D’altra parte, se la società è convinta di non voler esplorare il mercato theatrical (con tutti gli importanti investimenti e gli impegni necessari), è coerente e ragionevole che non lo faccia.

Si è poi continuato a dire che i margini di crescita dello streaming sono enormi. Nella lettera agli azionisti, si dice infatti che “In Messico, Brasile e Polonia, siamo a meno del 5% delle visualizzazioni TV. E nei nostri mercati più grandi come gli Stati Uniti e il Regno Unito, siamo ancora a meno del 10% del tempo passato di fronte allo schermo televisivo. Essendo uno dei leader nello streaming in tutti i mercati, siamo incoraggiati dal fatto che lo streaming nel complesso rappresenti meno del 40% delle visualizzazioni in questi mercati (e solo il 6% in Polonia). Alla fine, la stragrande maggioranza del tempo trascorso in TV avverrà tramite lo streaming, che dovrebbe fornire una notevole strada alla crescita, mentre continuiamo a migliorare il nostro servizio”.

Qui, sono dubbioso: se ormai nei Mercati maturi Netflix sembra aver raggiunto un picco di diffusione e non avendo intenzione di investire su contenuti di grande ascolto come gli eventi sportivi, perché dovrebbe essere ovvio che a un forte aumento di visualizzazione di contenuti in streaming (questo un fatto molto probabile) coincida anche un analogo aumento di consumo di contenuti Netflix (questo è decisamente più incerto)?

In ogni caso, qualsiasi cosa se ne possa pensare, a Wall Street i dati forniti da Netflix per l’ultimo trimestre 2022 sono piaciuti molto, considerando che nelle contrattazioni post chiusura il titolo è aumentato di oltre il 7%. David Poland nella sua analisi parla di “irrazionalità”, ma ormai abbiamo capito che Netflix viene valutata dagli investitori in maniera diversa dagli altri competitor. Insomma, notizie positive sul fronte abbonati, incerte su altri aspetti più ‘contabili’. Vedremo di capirne di più dalla prossima trimestrale…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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