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Il pericolo della qualità

Da Venezia, arrivano tante proposte per migliorare la situazione del cinema italiano. Ma il rischio è che siano slogan senza efficacia…

E’ curioso, a fine gennaio scrivevo questo articolo sul pericolo di portare meno film al cinema e in generale della mancanza di prodotto. Credevo che, al di là delle major che a tratti hanno favorito eccessivamente l’arrivo in piattaforma, si stesse iniziando a delineare una pericolosa deriva, per cui sempre più addetti ai lavori sostengono che sarebbe meglio che arrivassero meno titoli nelle sale.

Devo ammettere che, passati alcuni giorni a Venezia, i miei timori si sono rivelati purtroppo fondati e, anzi, forse anche troppo ottimisti. Premetto che, sono sicuro che chiunque abbia sostenuto alcune delle tesi di cui parlo, lo abbia fatto pieno di buone intenzioni. Tuttavia, si sa, la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. Vediamo quali sono…

Fare film di qualità
Questo è un mantra che sento molto spesso, ma vanno date almeno due interpretazioni diverse. Quando a parlare è un giornalista/critico, si deve intendere come “fate un prodotto artisticamente valido, preferibilmente dei generi che preferiamo noi, in particolare autore impegnato o anche commedia, ma raffinata”. Su questo punto, non credo ci sia bisogno di dilungarsi troppo, perché l’idea che il pubblico in generale vada a vedere “prodotti di qualità” direi che non corrisponde alla realtà, anzi.

Altro discorso quando la qualità è da intendersi più produttivamente parlando. In questo caso, si parla di valori produttivi, di un film con un budget importante, insomma di qualcosa che può sfidare altri prodotti di livello, anche stranieri. Questo è un discorso che in generale condivido, ma che può portare a scelte non del tutto azzeccate. Infatti, non vorrei che il budget diventi un obiettivo a se stante, come se automaticamente un film più costoso fosse commercialmente più forte. Purtroppo, alcuni esempi italiani degli ultimi anni ci hanno dimostrato che, se non ci sono di base idee forti e in grado di attirare l’interesse del pubblico, e invece ci sono scelte artistiche che riducono il potenziale bacino di spettatori, un budget alto rischia di essere sprecato.

Basta film medi, solo eventi
Una deriva ormai chiara dei discorsi fatti sopra (e che riprende quanto avevo scritto a gennaio) è che ormai si sostiene che bisogna far sì che ogni film sia un evento e che il pubblico non è più disposto a vedere film medi. Ora, ci sono due ipotesi. Ha ragione chi sostiene questa tesi, ma in quel caso ci si dimentica di dire un corollario fondamentale: bisogna chiudere subito almeno metà delle sale. In effetti, se si fanno solo film evento (qualsiasi cosa questo voglia dire, perché la definizione è perfetta per i titoli Marvel, ma per tante altre cose non capisco come si possa creare eventi a tavolino) e se i film medi ormai non funzionano, come li riempiamo tutti gli schermi esistenti? Inutile anche parlarne, vanno chiusi e si sbaglia a sostenerli ancora.

C’è invece chi, come il sottoscritto, pensa che questa tesi dei “solo film evento!” sia sbagliata. Perché, oltre a essere totalmente impraticabile e utopistica (chi è che non vorrebbe creare un evento e fare tanti soldi? Ma poi passare dalle parole ai fatti…), è anche profondamente limitante. Il fatto che un film sia ‘medio’ (per budget, per i talent sopra la linea, ecc.) non significa necessariamente che non possa trovare un pubblico, che ovviamente non deve essere molto ampio.

E’ vero invece il contrario: in questi due anni si è pensato che tanti film medi non fossero in grado di reggere la sala e degni degli investimenti necessari per arrivare nei cinema. E abbiamo visto quindi una mancanza di prodotto (evidente anche nei prossimi due mesi negli Stati Uniti) che ha portato a questa situazione, in cui lo sfruttamento sala non vale più i livelli di un tempo.

Eppure, anche così, di film medi che funzionano ce ne sono stati. Ne cito solo due in America: il grande fenomeno di Everything Everywhere All at Once (che gioca su tematiche supereroistiche, ma con budget molto più ridotti), arrivato in patria alla soglia dei 70 milioni incassati, e La ragazza della palude, ormai a 85M. Chi glielo dice al folto pubblico che è andato a vederlo che sono prodotti che ormai la gente non vuole vedere al cinema? La realtà è che non lo sappiamo, il cinema non è una scienza esatta, in alcuni casi il pubblico ci sorprende. Togliersi i film medi, che apparentemente non dovrebbero mai incassare (secondo qualcuno), significa in realtà togliersi tante potenziali sorprese positive e che permettono di attirare tanti pubblici diversi (a proposito: se è diventato un mantra ormai dire “non c’è il pubblico, ci sono tanti pubblici diversi”, cosa che condivido, perché poi i tanti pubblici diversi dovrebbero vedere solo film ‘evento’?)…

La scuola e i giovani
Puntuale come il pagamento delle tasse, ogni volta che ci sono dei convegni-cinema, c’è l’invito a insegnare la materia a scuola e in generale a educare i ragazzi a capire le immagini. Anche qui, facciamo una distinzione. Se qualcuno propone la cosa a livello ‘culturale’, da parte mia c’è un consenso sincero (in particolare, se fatto bene e con corsi non snob).

Dove però inizio ad avere dei problemi, è quando la proposta viene fatta in un contesto più economico. In quel caso, non posso che rimanere perplesso di fronte al sottotesto: “se ‘educhiamo’ i giovani alle immagini e spieghiamo loro come funzionano, apprezzeranno i nostri film e li andranno a vedere”. Qui, due obiezioni: ma siete proprio sicuri? Cosa ci fa pensare che sia una questione di ‘comprensione’ e non di ‘disinteresse’?

Ma soprattutto il problema è: siete proprio sicuri che i giovani non siano educati alle immagini? Non è che si vuole dire: non sono educati alle immagini che vorremmo che vedessero? E da che pulpito noi adulti stabiliamo quali immagini sono fondamentali? Capiamo bene le loro immagini e le loro modalità di vederle, magari su TikTok? No, vero?

In tutto questo, mai nessuno che dice qualche parola di buonsenso. Del tipo: più che ‘convertire’ i giovani, non sarebbe meglio realizzare veramente prodotti per loro (e no, film d’autore con protagonisti giovani in crisi esistenziale e in cui non succede nulla per un’ora, non sono teen movie, meglio specificarlo)? E, in generale, perché non si realizzano film che mirino a target importanti e perché (quasi) nessuno se ne lamenta? Ecco, spero che in qualche prossimo convegno qualcuno ne parli…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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