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Beltrade – film, identità e idee per un’esperienza di successo

La monosala milanese è una delle case history più interessanti a livello nazionale. Oltre 57mila presenze nel 2019 e più di 45mila dalla riapertura di fine aprile 2021. Intervista a Paola Corti che gestisce la sala insieme a Monica Naldi

I numeri spiegano più di molte parole. Nel 2012 oltre 7mila presenze e 230 proiezioni; nel 2019, 57mila spettatori e oltre 2200 proiezioni. Sono le cifre del cinema Beltrade di Milano che da sala della comunità ormai destinata alla chiusura, è diventata nell’arco di una decina di anni una delle case history di successo. Un cinema di cui si è parlato molto durante questi anni di pandemia anche grazie ad alcune iniziative che hanno richiamato l’attenzione della stampa, come le proiezioni alle sei del mattino in occasione della riapertura il 26 aprile 2021. Oppure quella di regalare lecca lecca agli spettatori per ironizzare contro l’obbligo di indossare la mascherina al cinema. Tanto il lavoro svolto da Paola Corti e Monica Naldi – e dai loro collaboratori – con la società Barz and Hippo che con idee, passione e scelte di programmazione hanno conferito un’identità precisa al cinema, rilanciando la monosala che si trova non lontano dalla Stazione Centrale del capoluogo lombardo. Come aveva dichiarato nel podcast di cineguru.screenweek Simone Gialdini, segretario generale Anec, due sono le strade che si aprono davanti ai cinema: quella della modernizzazione tecnologica e strutturale della sala, o quella della forte identità, come nel caso del Beltrade (e, per rimanere a Milano, si possono citare lo storico Mexico di Antonio Sancassani e il Cinemino). Paola Corti racconta gli inizi e i primi passi mossi in via Oxilia: «Siamo stati chiamati da chi gestiva il cinema Beltrade a metà 2012. Ci dissero che, in previsione del passaggio al digitale, o si riusciva a rilanciare la sala che allora era programmata da volontari della parrocchia con film in linea con le proposte delle sale della comunità, oppure non sarebbe stato possibile proseguire l’attività. L’agenzia di noleggio che li aiutava non intravedeva possibilità di sviluppo per il cinema e si era defilata. Noi ci occupiamo dal 1996 di programmazione, prima con le arene estive e poi con la gestione del cineteatro comunale Peppino Impastato di Cologno Monzese e seguendo le attività cinematografiche di Rho (MI); dopo essere sati contattati abbiamo accettato la sfida. Abbiamo firmato un accordo valido per i primi anni in cui la parrocchia rimaneva gestore del cinema, metteva a disposizione la sala e le utenze mentre noi ci occupavamo della programmazione; pagate le spese vive come noleggio e diritti Siae, gli eventuali guadagni sarebbero stati divisi equamente. Nel frattempo la parrocchia aveva partecipato a un bando della Fondazione Cariplo che ci ha permesso di avere a disposizione un budget per la digitalizzazione». La sala è tutt’ora di proprietà della parrocchia ma Barz and Hippo paga un affitto di impresa, gestendo direttamente la sala.

 

Come avevate impostato la programmazione inizialmente?

«Avevamo mantenuto una programmazione che prevedeva film per famiglie e ragazzi nel fine settimana, mediamente due mesi dopo l’uscita in sala, unitamente a un cineforum che si chiamava “La rassegna” il martedì sera. Fin dall’inizio abbiamo investito su un’attività continuativa con i ragazzi che rimangono un pubblico molto importante anche se al nostro interno non abbiamo una figura particolarmente esperta di cinema per famiglie. Dopo aver registrato tempi di attesa molto lunghi per riuscire a programmare un titolo, ci siamo convinte a proporre qualcosa di diverso. Nel marzo 2013 la svolta con la programmazione di Vol spécial il documentario di Fernand Melgar sui centri di respingimento di migranti in Svizzera; abbiamo avuto spettatori superiori alla nostra media e abbiamo iniziato a dare spazio con continuità a film poco visibili e indipendenti, di piccole distribuzioni ma di particolare interesse per noi».

La risposta del pubblico è stata positiva fin dall’inizio?

«Appena cambiato tipologia di programmazione, abbiamo puntato fin dall’inizio su film in lingua originale; la sensazione generale era che fossimo destinati a chiudere entro poche settimane. La nostra idea, oltre alla programmazione di film che altrimenti non sarebbero stati visti su grande schermo, era sfatare il luogo comune che la gente non va al cinema se ci sono poltrone scomode, se non si vendono pop corn o se non si propongono film commerciali. Il Beltrade non ha l’aria condizionata, non c’è il bar, non è possibile preacquistare il biglietto e non c’è parcheggio; per questo chi viene da noi è motivato. Faccio questo mestiere da oltre 30 anni. Ricordo i cineforum di successo all’Auditorium di Rho che definire sala cinematografica è quantomeno esagerato ma siamo arrivate ad avere anche 900 tesserati negli anni d’oro. Dalla provincia ci siamo portate a Milano l’idea di cinema come luogo di incontro, il più possibile simile alle sale di un tempo. Forse abbiamo un’idea romantica di cosa debba essere una sala cinematografica; abbiamo scommesso sul fatto che altri la pensassero come noi e che avessero i nostri gusti».

 

Come sono cambiati i numeri del Beltrade?

«Nel 2012 la sala aveva registrato 7mila presenze con 232 proiezioni con una media di 31 spettatori a visione. Nel 2013 le presenze erano già salite a 11mila raddoppiando le proiezioni. Nel 2019 abbiamo avuto oltre 2200 proiezioni – decuplicate rispetto a quando abbiamo iniziato – per un totale di 57mila presenze».

Quali sono stati i film di maggior successo?

«Il film che ci ha dato molta soddisfazione, e che ci ha aperto la strada alla multiprogrammazione, è stato La leggenda di Kaspar Hauser di Davide Manuli che abbiamo proposto nel 2013 ed è andato discretamente bene per l’epoca. Nelle stesse settimane avremmo dovuto programmare Arrugas ma, visto l’andamento del film di Manuli non lo abbiamo smontato e li abbiamo programmati entrambi. Quando ci affezioniamo a un film non ci piace smontarlo. Da lì è partita la multiprogrammazione che ci ha portato a proporre anche sei o sette film in un giorno».

Per gestire tutti i film quando inizia la prima proiezione?

«La prima proiezione è alle 11 del mattino mentre l’ultima inizia in media alle 21.30. Abbiamo anche sperimentato il film di mezzanotte al venerdì; dipende da cosa scegliamo di proporre. Non abbiamo slot di orari fissi e la nostra multiprogrammazione è molto articolata; lo stesso film non è mai nello stesso orario del giorno prima. In questo modo diversi titoli, soprattutto quelli più piccoli, hanno avuto teniture molto lunghe».

Il fatto di cambiare gli orari delle proiezioni, non rischia di disorientare lo spettatore?

«Solitamente riscontriamo che gli spettatori non hanno problemi. Noi facciamo sembrare positivi aspetti che potrebbero essere valutati negativamente. Non pensiamo di essere perfetti e di piacere a tutti quelli che incontriamo; fortunatamente esistono altri cinema che il pubblico può scegliere. Cambiare orari tutti i giorni può essere scomodo per alcuni ma è più “democratico” per i film perché permette anche ai titoli più piccoli di poter contare su orari decenti lasciando, magari, in orari meno tradizionali i titoli più importanti. Arrivano continuamente persone nuove che poi si affezionano alla nostra sala e tornano. Per noi la mission di un cinema dovrebbe essere quella di far vedere più film diversi, in tutti gli orari, nelle condizioni migliori per quello che la struttura consente. Per ridare sacralità alla proiezione abbiamo allestito un sipario davanti allo schermo. Abbiamo scelto di non puntare su molti eventi con attori o registi in presenza perché sono costosi ma facciamo molti collegamenti via web con talent che poi sono visibili anche sul nostro canale youtube. Spesso, inoltre, ci si ferma dopo la proiezione con il pubblico a parlare del film; non c’è un calendario stabilito ma per ogni proiezione cerchiamo di creare momenti di approfondimento quando è possibile farlo».

 

Quali altri titoli vi hanno soddisfatto in modo particolare?

«Il primo sold out lo abbiamo avuto con il film di Amos Gitai Nozan Ana Arabia ma il primo titolo con lunghe code di spettatori fuori dalla sala è stato Alla ricerca di Vivian Mayer documentario su una delle più grandi fotografe. Il maggior successo commerciale lo abbiamo invece registrato con Roma di Alfonso Cuarón che abbiamo programmato per 80 giorni anche se era già disponibile su Netflix; le persone devono avere il diritto di vedere film al cinema anche se sono già presenti sulle piattaforme. Molto bene è andato anche il documentario Funeraopolis – A Suburban Portrait di Alessandro Redaelli; dovevamo farne solo una proiezione e invece è stato in programmazione sei o sette mesi per un totale di oltre 2mila presenze. Corpo e anima di Ildikò Enyedi è stato uno dei primi film importanti che siamo riusciti a programmare; con questo titolo abbiamo sperimentato un certo tipo di programmazione che utilizziamo quando proponiamo film importanti».

In cosa consiste?

«Il primo giorno programmiamo il film in tutti gli orari; a seguire passiamo a tre proiezioni, poi due o una al giorno finché c’è richiesta da parte del pubblico».

Quali iniziative avete ideato durante la pandemia che hanno catalizzato l’attenzione di pubblico e media?

«Durante le chiusure forzate del cinema causa Covid, abbiamo ideato diverse iniziative su stimolo anche del pubblico che voleva rimanere in contatto con noi. Abbiamo aperto un canale di video on demand, “Beltrade sul sofà” che poi è stato ospitato sulla piattaforma www.1895.cloud. Lo abbiamo lanciato ad aprile 2020; lavorando con distribuzioni piccole e indipendenti siamo riuscite ad avere diversi film che hanno avuto riscontri importanti durante la prima e la seconda chiusura. Ha avuto una notevole eco sulla stampa la proiezione alle sei del mattino in occasione della riapertura dei cinema il 26 aprile 2021 con Caro diario di Nanni Moretti che era in programmazione al momento della seconda chiusura a fine ottobre 2020. Quando abbiamo ripreso l’attività avevamo deciso di ripartire con i titoli che stavamo proponendo al momento dello stop. Alle sei del mattino sono venute 83 persone e molte sono tornate poi il sabato successivo, sempre alle sei. Non ci aspettavamo un successo di questo tipo; un conto è partecipare il primo giorno come atto simbolico, ma tornare è stato un gesto sorprendente da parte del pubblico. Il 2021 è stato un anno per noi importante; la nostra stagione migliore è stata il 2019 con 57mila presenze ma dalla riapertura del 26 aprile 2021 al 24 aprile 2022 abbiamo avuto 45mila spettatori. Un ottimo risultato rispetto a come stanno andando mediamente i cinema. In questi mesi abbiamo avuto la possibilità di proporre film importanti che a noi interessavano. Ad esempio The Human Voice di Pedro Almodovar, il corto che abbiamo trattato come un film normale proponendolo a prezzo intero; il Beltrade è stata la sala che ha incassato di più in Italia. Grazie a questo risultato siamo riusciti poi ad avere Madres Paralelas in lingua originale e anche questo film ha registrato il tutto esaurito nella prima settimana di programmazione».

Avete particolari politiche di prezzi?

«No. I costi dei biglietti non variano per tipologia di film, orario o giorno di programmazione; non facciamo eventi a prezzo maggiore per soli tre giorni perché non ci interessa obbligare le persone ad andare al cinema solo in quelle date e pagando di più. È contro la nostra logica che è quella di fare i modo che i film abbiano teniture lunghe».

Quali altre attività cinematografiche fate al Beltrade?

«Già prima della pandemia avevamo iniziato a proporre retrospettivo o maratone di 24, 36 o 48 ore dedicate a un regista. Abbiamo continuato e ottenuto ottimi risultati con una retrospettiva su Wes Anderson che ci ha poi dato la possibilità di proporre The French Dispatch; per undici sere di fila spesso abbiamo dovuto mandare via pubblico. Sapevamo che il film era adatto al Beltrade ma non ci aspettavamo una risposta di questo tipo. Grazie a questo film, alla coda di The Human Voice e ad Atlantide di Yuri Ancarani, il mese di novembre 2021 è stato quello con il maggior numero di presenze in assoluto per il cinema».

Visti i risultati, le distribuzioni hanno cambiato atteggiamento nei vostri confronti?

«Con The French Dispatch siamo stati tra le singole sale che hanno incassato di più ma questo non significa che sia possibile accedere a tutti i titoli che si desiderano fare in multiprogrammazione. In generale l’atteggiamento dei distributori nei nostri confronti è sì cambiato ma solo parzialmente. Quello che ci rende felici è vedere anche i risultati di film molto particolari. A maggio, ad esempio, abbiamo ottenuto incassi molto buoni anche grazie a due film milanesi come il documentario sullo sfruttamento dei migranti One Day One Day di Olmo Parenti che ha raggiunto le mille presenze e Due volte Nadia di Fabrizio Recchi che ha presentato il film da noi. Inoltre abbiamo preso in distribuzione direttamente da Wild Bunch Vortex di Gaspar Noé, con Dario Argento; film bellissimo che non mi spiego come mai non abbia trovato un distributore italiano. Wes Anderson, Gaspar Noé, Xavier Nolan sono registi che amiamo molto e che piacciono al nostro pubblico. Di ritorno da Locarno 2021 abbiamo poi preso la decisione di inserire sempre un film da cineteca. Nel 2020 avevamo programmato Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto mentre quest’anno abbiamo proposto Deserto rosso e L’avventura di Michelangelo Antonioni. A settembre vorremmo programmare Il posto di Ermanno Olmi; stiamo cercando di capire con la Rai le condizioni per poterlo noleggiare. Se non escono film adatti al nostro cinema, cerchiamo sempre di inventarci qualcosa lavorando direttamente con i distributori internazionali o inventando retrospettive che sono sempre molto frequentate dai giovani e questo ci dà molta energia».

Come vede il futuro per i cinema?

«Al di là dei discorsi sulla window intorno alla quale ci deve essere comunque chiarezza, i cinema devono essere messi nelle condizioni di programmare i film che ritengono adatti al loro pubblico, cosa che anche oggi non è sempre possibile. Gli schermi devono essere messi nelle condizioni di poter vivere. Ricordo che quando lavoravo per il Capitol di Vimercate (MB), una delle prime multisale in Italia, facevamo una programmazione molto ricercata, da vera cineteca e apprezzata dagli spettatori. Purtroppo, a causa delle conseguenze della legge Veltroni che aveva liberalizzato l’apertura di multisale sotto i 1300 posti, il cinema fu costretto a chiudere per l’apertura a poca distanza dell’ex multiplex Warner Village e il pubblico perse così la possibilità di vedere determinati film. Al di là di questo aspetto, rimaniamo comunque ottimiste sul futuro e non crediamo che il cinema morirà; la differenza la faranno sempre i film e la cura con cui le persone fanno il loro lavoro».

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