Netflix perde abbonati, il titolo crolla in Borsa Analisi by Robert Bernocchi - Aprile 20, 20220 Risultati deludenti per Netflix nel primo trimestre 2022. E adesso la società sta pensando seriamente di aprirsi alla pubblicità. Ma potrebbe arrivare una scalata ostile? Un calo di 200.000 abbonati nell’ultimo trimestre sta mettendo in forte difficoltà Netflix in Borsa, dove il titolo è passato dai 348 dollari con cui aveva chiuso ieri ai 259 dollari circa (più del 25% in meno) nelle contrattazioni post-chiusura. E, in quello che sembra un giudizio sulla ‘profittabilità’ dello streaming, anche società Disney che Discovery Warner perdono circa il 3% dopo la chiusura dei mercati. A questo punto, va ricordata qual era la previsione che aveva provocato un brusco calo delle azioni a Wall Street tre mesi fa, ossia il fatto che in questo primo trimestre 2022, l’aumento di abbonati sarebbe dovuto essere di ‘soli’ 2,5 milioni. Poco importa che – almeno per chi scrive – questo sarebbe stato un aumento comunque notevole, per un’azienda che non può ambire a crescere in maniera infinita e a farlo soprattutto in quei territori (Europa, Nordamerica) dove i prezzi degli abbonamenti sono più alti. Ma vallo a spiegare a chi ragiona in termini di “ci sono miliardi di persone nel mondo, quindi miliardi di potenziali abbonati”. Ovviamente, da un possibile aumento di 2,5 milioni di abbonati a un calo di 200.000, il passo non è breve e, anzi, piuttosto grave. Soprattutto perché le nuove previsioni di Netflix per il secondo trimestre 2022, vedono un ulteriore calo di abbonati, questa volta di ben 2 milioni. Va però ricordato che il calo di abbonati del primo trimestre 2022 in realtà sarebbe stato un aumento di 500.000 abbonamenti, se non fosse stata per la decisione (doverosa, ma dolorosa) di sospendere il servizio in Russia, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. E veniamo quindi agli abbonati effettivi, che sono adesso 221,6 milioni. Qui i risultati degli ultimi anni (e qui la versione interattiva): Il test forse maggiore di questo trimestre era quello di vedere come avrebbe reagito il Nordamerica all’ultimo aumento di prezzi. Sicuramente l’aumento non ha aiutato, ma tutto sommato non ha avuto un impatto enorme, considerando che la flessione c’è stata anche nelle altre regioni (con l’eccezione dell’Asia), anche dove il prezzo per abbonato è il più basso (ossia in Sudamerica, 8,37 dollari). In realtà stiamo parlando di differenze minime in Nordamerica, visto che, a fronte di un numero di abbonati in cui si perde meno dell’1%, anche il prezzo dell’abbonamento medio è aumentato di poco meno dell’1%, passando dai 75,22 milioni di fine dicembre 2021 ai 74,58 milioni attuali. Cali simili anche nella zona EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa, in particolare è stata segnalata una flessione importante in Europa centrale e orientale dopo lo scoppio della guerra), che era a 74M ed è adesso a 73,73M (quindi, se escludiamo il discorso Russia, in realtà c’è stato un leggero aumento) e in Sudamerica (da 39,96M a 39,61M). Unica zona in crescita, quella asiatica, dove si è passati da 32,63M a 33,72M. Per quanto riguarda i ricavi, sono passati dai 7,1 miliardi del primo trimestre 2021 ai 7,8 miliardi di questi primi tre mesi 2022, con una previsione per il secondo trimestre di 8 miliardi. I costi sono comunque aumentati rispetto all’analogo primo trimestre del 2021 (4,2 miliardi contro i 3,8 di un anno fa), così come le spese di marketing, tecnologia e sviluppo e generali e amministrative. L’altro problema che era stato annunciato in questo primo trimestre, è che anche a livello di prodotto, non erano previsti nuovi contenuti fortissimi e in grado di invogliare i consumatori che ancora non si erano abbonati. In realtà, anche se non si poteva rivaleggiare con l’ultimo trimestre 2021 (ma per le piattaforme è sempre così, si mette tanto prodotto importante per sfruttare al meglio le festività natalizie e il maggior tempo libero in quel momento), di prodotti di successo ce ne sono stati. Basti pensare alla seconda stagione di Bridgerton (che però, essendo uscita il 25 marzo, non dovrebbe aver inciso molto sul trimestre), che diventerà presto il maggior successo dell’anno per ore complessive in top ten (ed è già la serie inglese con il miglior risultato di sempre sui 28 giorni), ma con ben tre serie sopra i 600 milioni di ore viste, come Inventing Anna, Non siamo più vivi e probabilmente quella con il miglior rapporto costi/ricavi (considerando che è un’acquisizione), Café con aroma de mujer, al momento ancora in testa come visioni complessive quest’anno. Anche tra i film, vanno segnalati The Adam Project (quarto posto assoluto nella top ten all time), così come il grande successo a sorpresa Il truffatore di Tinder (al secondo posto complessivo come numero di ore quest’anno per un lungometraggio, 172M, e miglior documentario di sempre per Netflix) e gli ottimi risultati dei titoli non in lingua inglese Dalla mia finestra e Granchio nero (complessivamente hanno fatto quasi 200 milioni di ore in due). A questo proposito, fatemi segnalare quanto non mi convincano certi ragionamenti snobistici da parte di alcuni analisti, che criticano il livello medio delle produzioni Netflix, ritenendo che non sia all’altezza di altri servizi (in particolare, Apple e HBO Max). Se a livello estetico posso anche concordare, non sono assolutamente persuaso che questo sia il problema, considerando che i migliori ascolti di Netflix non sono mai stati all’insegna della qualità, ma semplicemente frutto dell’abilità di trovare un target adatto ai propri prodotti commerciali. Quali sono allora i problemi e le opportunità indicati da Netflix? Sono molto interessanti, sia che condividiate l’opinione della società, ma anche se non siete d’accordo. Intanto, si parla delle difficoltà di crescita dovuta a fattori esterni, come la crescita (o mancata crescita) della diffusione delle TV connesse a Internet e l’utilizzo di prodotti on demand (aggiungo io: tante zone popolose del mondo non hanno una diffusione notevole delle connessioni veloci). Questo è sicuramente vero, ma allora ci si chiede: perché Wall Street era convinta di una crescita infinita, se non c’erano le condizioni tecniche (almeno, al momento, magari nei prossimi anni andrà meglio)? Il secondo punto segnalato da Netflix è importante, ma non sorprendente, visto che ne avevamo già parlato. Netflix infatti stima (e avrà sicuramente dati utili per farlo correttamente) che oltre alle 222 milioni di abitazioni dotate di un abbonamento, ce ne sono oltre 100 milioni che utilizzano delle password altrui, tra cui 30 milioni in Nordamerica. Visto che questo aspetto nella lettera agli azionisti è stata ripetuta spesso, significa che Netflix porterà avanti con forza la ‘lotta’ contro le password condivise, estendendo l’esperimento (che non sarebbe più tale) che sta facendo in Sudamerica anche al resto del mondo? Decisamente probabile. Terzo aspetto, la competizione con la concorrenza, non solo i servizi streaming, ma anche la tv lineare, che anche dai dati proposti dalla stessa Netflix, indica come i consumatori vedano quasi 3/4 dei contenuti sulla televisione lineare (e qui una riflessione forse andrebbe fatta anche da chi pensa che stiamo tutti a guardare produzioni di piattaforme e la tv tradizionale non la vuole più nessuno). Infine, la situazione generale, con un’economia in difficoltà e la guerra in Ucraina (su questo, nulla da dire). La soluzione? Dopo averla orgogliosamente rifiutata per anni, Reed Hastings sembra proprio essersi arreso, sostenendo di essere un “fan della libertà di scelta del consumatore”: Netflix avrà un’offerta con un abbonamento più economico arricchita dalla pubblicità. D’altronde, lo ha annunciato negli ultimi mesi anche Disney+, dopo che lo avevano messo in pratica con successo già realtà come Hulu, Peacock e HBO Max. Non avverrà in tempi rapidissimi, considerando che lo stesso Hastings ha parlato di uno o due anni per trovare la soluzione giusta, in cui magari saranno altre realtà (e non direttamente Netflix) a utilizzare al meglio i dati personali dei consumatori per vendere la pubblicità. Vediamo anche altri aspetti interessanti che sono emersi dall’intervista video in cui i responsabili Netflix hanno parlato di questi risultati. E’ stato detto che la scelta di dividere in due ‘tronconi’ la nuova stagione di Stranger Things (già adottata recentemente sia per Ozark che per La casa di carta) sia stata fatta a beneficio del consumatore, quando in realtà è un compromesso tra la politica abituale di Netflix (il binge watching) e l’interesse a utilizzare prodotti fortissimi per ‘costringere’ l’abbonato a rimanere tale per più di un mese. Si è anche detto che l’obiettivo sarà quello di “aumentare le spese ma con giudizio”. Discorso complicato, visto che da una parte è già evidente che Netflix sta moderando i costi, ma d’altronde – in una competizione sempre più serrata e con una corsa a produrre sempre di più per ‘accontentare’ gli abbonati, sollevare il piede dall’acceleratore adesso non sembra semplice. Aspetto importante, quello dei costosissimi diritti sportivi. Non sembra ci sia nessuna intenzione di investire in questo senso, se non continuando a realizzare tanti documentari sportivi (che hanno sicuramente un ottimo rapporto costi/visioni, come dimostrato dal successo di Drive to Survive). In questo senso, Sarandos ha detto che “non dico che non trasmetteremo mai lo sport, ma dobbiamo trovare un percorso che permetta di avere una fonte importante di ricavi e profitti da questi prodotti”. Non mi pare invece che ci siano novità importanti dal settore dei videogiochi, che temo non sposterà in maniera significativa il numero di abbonati a Netflix (ma che in ogni caso va gestito bene, per evitare costi eccessivi). A questo punto, la domanda sorge spontanea: ora che il valore di borsa di Netflix è sceso a livelli più ‘comprensibili’ e normali, è arrivato il momento in cui qualcuno tenterà una scalata ostile? Stiamo parlando soprattutto di realtà come Amazon e Apple, che potrebbero così mettere veramente un piede importante nelle guerre dello streaming, in cui per ora hanno magari speso cifre importanti, ma senza ottenere risultati straordinari finora, se non per singoli progetti. Sarebbe sicuramente un modo per ottenere una quota di mercato notevole, in un contesto in cui sembra sempre più chiaro che, per ottenere i profitti sperati, ci sia la necessità di ridurre i partecipanti a questa ‘competizione’ con fusioni e/o acquisizioni. L’unico dubbio è cosa ne penserebbe l’Antitrust di un’operazione del genere. In ogni caso, non sto dicendo che questo avverrà realmente. Ma chi ha intenzioni serie di provare a scalare la montagna Netflix, difficilmente troverà un momento migliore dei prossimi mesi…