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Perché chiediamo i dati solo a Netflix?

Hanno fatto discutere certe scelte della piattaforma, come la mancata comunicazione degli incassi al cinema di E’ stata la mano di Dio. Ma Netflix è l’unica realtà che si comporta in questo modo? No, anzi…

Ogni tanto, ho l’impressione che si attacca una realtà non per quello che fa, ma per chi è e cosa rappresenta. Se, per esempio, Netflix rappresenta la piattaforma streaming per eccellenza (per storia, ma soprattutto per numeri di abbonati nel mondo), ecco che le viene richiesto uno standard altissimo di trasparenza e di comunicazione dei dati, mentre dei ‘peccatucci’ degli altri se ne parla pochissimo.

Questo, per esempio, avviene quando Netflix non comunica gli incassi dei suoi film nei cinema. Ovviamente, un film molto atteso come E’ stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino provoca una grande attenzione a questa ‘riservatezza’, ma in realtà è lo standard di Netflix. D’altronde, a me la ragione appare semplice: a queste condizioni di uscita quasi in contemporanea, è impossibile ottenere un dato ‘adeguato’ a quello che farebbe il film con una finestra e condizioni di uscita tradizionali.

In effetti, chiunque abbia fatto delle stime (più o meno fondate) sugli incassi del film vi dirà che non ha ovviamente raggiunto i record di altri film di Sorrentino (tre titoli in effetti hanno ottenuto in passato più di 6 milioni di euro, con uno di questi – La grande bellezza – sopra i 7M). D’altronde, come avrebbe potuto? Non solo la finestra di tre settimane ha scoraggiato una parte di abbonati Netflix ad andare al cinema, ma l’arrivo in 250 sale (senza i cinema The Space e UCI) ovviamente limitava le potenzialità di incasso del film. Che comunque, a queste condizioni, è stato sicuramente un grande successo nelle sale italiane, mentre non sono proprio sicuro che film come Don’t Look Up e The Power of the Dog abbiano ottenuto cifre notevoli (sì, sono usciti nei cinema italiani: non ci avete fatto caso? Appunto…).

C’è poi la questione dei dati che Netflix comunica ogni martedì e relativi alle top ten mondiali e locali della settimana precedente, che riportiamo ogni mercoledì mattina su Visioni. A mio avviso, è una quantità notevole di informazioni rispetto alla concorrenza, ma c’è chi pretenderebbe di avere dati su tutti i prodotti. Anche qui, spiegazione facile: perché Netflix dovrebbe mettere in risalto anche i propri flop (e sicuramente sarebbero in buon numero, visto l’ampio panorama di uscite ogni settimana)?

Ma veniamo al punto di questo articolo: siamo proprio sicuri che solo Netflix si comporti così? O magari i competitor (e non solo nello streaming) sono molto più ‘riservati’? Vediamo qualche esempio, iniziando dalla corsa all’Oscar, come segnalava qualche tempo fa il buon David Poland.

Se andate su un sito come Boxofficemojo in cerca degli incassi americani di buona parte dei contendenti alla prestigiosa statuetta, rischiate di rimanere delusi, perché tanti hanno deciso (considerando il periodo complicato) di non comunicare risultati che potrebbero risultare ‘deludenti’ (e che comunque non saranno quasi mai enormi). Ovviamente, in questo senso ci sono anche cinque film Netflix (The Power of the Dog, Don’t Look Up, Tick, Tick… Boom!, The Lost Daughter e la pellicola di Sorrentino), che conferma la sua politica standard, ma sono in buona compagnia. In effetti, qualcuno è in grado di dirmi quanto hanno incassato negli Stati Uniti Coda e The tragedy of Macbeth (entrambi di Apple, il secondo assieme ad A24), Being the Ricardos (Amazon), Cyrano (Universal/United Artists) e Scompartimento n. 6 (Sony Classics)? Temo proprio di no.

E veniamo ai numeri dello streaming. Qui il confronto a favore della ‘trasparenza limitata’ (chiamiamola così) di Netflix è talmente evidente, che non riesco a capire come mai non ci concentriamo un po’ di più sulle altre piattaforme. Intanto, nessuna realtà comunica i propri dati con questa ‘rapidità’ e costanza, fornendo le ore di visione per 40 prodotti settimanali e le top ten di tutti i Paesi. Gli altri si concentrano semplicemente su singoli titoli, a cui vengono dedicati comunicati stampa con vaghi riferimenti di successo (ma mai, proprio mai, con numeri precisi relativi alle ore o agli spettatori).

Poi c’è Nielsen, che monitora settimanalmente gli ascolti, ma li pubblica (per accordo con i servizi monitorati) solo a un mese di distanza, quindi con un effetto (anche per evidenziare i prodotti che non hanno funzionato) molto più flebile. E va ricordato che non tutte le piattaforme hanno accettato questo monitoraggio, visto che Nielsen rileva Netflix, Disney+, Hulu, AppleTv e Amazon Prime.

Questo significa che, a parte Disney, nessuna piattaforma di una major viene rilevata da una realtà indipendente, quindi stiamo parlando di realtà come HBO Max, Peacock e Paramount+, non esattamente delle società con ambizioni ridotte, anzi. Faccio un esempio specifico. Peacock ha recentemente comunicato di aver cancellato la serie de Il simbolo perduto (in Italia trasmesso da Sky/Now) dopo una sola stagione. Si tratta di un prodotto basato sull’opera di Dan Brown, non solo uno dei romanzieri di maggiore successo degli ultimi vent’anni, ma anche alla base di grandi successi cinematografici come Il Codice da Vinci. Il simbolo perduto è quindi stato trasmesso e ora è ufficialmente terminato, senza che nessuno di noi abbia il minimo dato di ascolto per fare delle valutazioni. Certo, è chiaro che non ha soddisfatto le attese di chi lo ha finanziato, altrimenti sarebbe stato rinnovato. Ma dei numeri precisi di questo titolo streaming – come di tanti altri – non sappiamo assolutamente nulla.

A dire il vero, di alcuni servizi streaming non sappiamo neanche gli abbonati. Di Apple TV non abbiamo numeri ufficiali, visto che la casa madre rivela sì il numero degli abbonati paganti (785 milioni), ma con questa enorme cifra si riferisce agli abbonati a tutti i servizi della società, tra cui non solo Apple TV+, ma soprattutto App Store (chi è che ha un device Apple e non lo ha mai utilizzato?) Apple Music e iCloud. Il sito The Information ha stimato in 40 milioni gli abbonati, ma considerando anche che Apple Tv viene offerto gratuitamente a chi acquista un nuovo device, anche se fosse vero non ci fa capire quanti effettivamente usino regolarmente il servizio.

Un problema simile è quello di Amazon Prime Video. Sicuramente gli abbonati a Prime nel mondo sono più di 200 milioni, ma quanti poi lo utilizzano per il catalogo gratuito di film e serie? La società ha parlato, ad aprile del 2021, di 175 milioni di persone che l’hanno utilizzato, ma a vedere le classifiche di Nielsen (dove compaiono pochi titoli Amazon) viene da pensare che non sia un utilizzo molto frequente.

In altre situazioni, gli abbonati di più servizi streaming vengono conteggiati insieme. Viacom CBS per esempio a settembre dello scorso anno, rivelava che gli abbonati erano 46,7 milioni, una cifra che però comprende quelli di Paramount+, di Showtime e di altri servizi streaming, senza specificare i dati delle singole realtà. Allo stesso mondo, i 20 milioni di abbonati di cui parla Discovery, sono una somma di quelli iscritti a Discovery+, Food Network Kitchen e altri servizi streaming dell’azienda. Quindi, come facciamo a valutare l’andamento del singolo servizio?

E veniamo a una realtà molto più vicina a noi. C’era infatti un tempo in cui, su un sito come quello di Davide Maggio, ogni giorno si potevano trovare tantissimi dati di ascolto dei programmi che passavano su Sky. Appunto, “un tempo”.

Ora, è praticamente impossibile sapere come sono andati i film e le serie su Sky, perché, anche se Auditel continua a monitorarli, poi non vengono comunque diffusi come avveniva una volta. Ci sono ovviamente delle eccezioni, ma arrivano da specifici comunicati di Sky, come avvenuto per la serie su Totti (Speravo de morì prima), così come per pellicole uscite nell’ultimo mese (Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di Morto e Lasciarsi un giorno a Roma).

Purtroppo invece non sappiamo nulla di produzioni molto importanti. Per esempio, dopo aver comunicato i risultati delle prime due puntate della quinta stagione di Gomorra, non abbiamo più avuto notizia dei dati delle restanti otto. E stiamo parlando della più popolare serie italiana nel mondo! Un altro prodotto molto importante e atteso era la serie di A casa tutti bene di Gabriele Muccino. In questo caso, nessuna informazione, neanche sulle prime due puntate. Lo stesso è avvenuto per la nuova serie (in onda da venerdì scorso) Christian: nessuna informazione comunicata sulle prime due puntate. E ci sono tanti esempi che si potrebbero fare, in cui magari conosciamo solo i risultati delle prime due puntate o non sappiamo proprio nulla.

E parliamo anche delle produzioni Amazon in Italia. Avete qualche numero? Al massimo, potete scoprire (da un’intervista di Nick Vivarelli di Variety alla Amazon Studio Head of Italian Originals, Nicole Morganti) che LOL è stato il “contenuto più visto di sempre su Prime Video in Italia”. E che dire di un reality attesissimo come i Ferragnez? La stessa Chiara Ferragni ha comunicato che è stato “il titolo più visto in Italia” (ovviamente su Amazon Prime Video, non in assoluto). Non è neanche chiaro se ci si riferisca al “più visto di sempre” o “al più visto nel periodo di uscita”. Sulla scarsa comunicazione di questo prodotto ha scritto un pezzo interessante Davide Maggio.

Permettetemi una piccola digressione: possibile che nessun esercente si sia lamentato che almeno un paio di puntate di Ferragnez non siano uscite come evento al cinema? Eppure, i grandi incassi (più di 1,6M di euro) del documentario dedicato a Chiara Ferragni avevano dimostrato che la vita di questa imprenditrice funziona molto bene anche in sala. Ma forse è una questione di ‘purezza ideologica’, per cui certi prodotti è meglio che non ci finiscano al cinema, altrimenti ‘rovinano’ la sacralità del luogo…

Tornando all’argomento di questo articolo, per quanto non sia un caso di ‘ascolti nascosti’, vi segnalo anche la questione degli ascolti ‘massaggiati’ (se non avete familiarità con la questione, potete scoprirne di più qui). Diciamo che in questo caso, si cerca di migliorare la comunicazione sui propri prodotti, non tanto nascondendola, ma ‘migliorandola’ con qualche trucchetto.

Ora, vorrei essere chiaro. Io personalmente capisco benissimo perché tutte queste realtà che ho citato (compresa Netflix) vogliano gestire la comunicazione in questo modo e non essere sempre trasparenti. E lo dice uno che di questi numeri ci vive per le sue analisi. D’altronde, mica c’è scritto nella Costituzione che bisogna rivelare i propri dati. Tuttavia, dopo tutti questi esempi che vi ho fatto, mi spiegate perché ci concentriamo solo su Netflix e non su tante altre realtà, magari per prodotti altrettanto importanti?

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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