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Mercato Unico Digitale: geoblocking, minori e quote di prodotto UE nella strategia della Commissione

Divieto del geo-blocking limitato all’eCommerce e una fetta obbligatoria di prodotti europei nelle library degli OTT, fatta salva la possibilità per gli Stati di imporre investimenti maggiori a operatori come Netflix e Amazon. Si delinea il nuovo assetto normativo del settore europeo dei media.

Non si sono discostate molto da quanto preannunciato dal commissario europeo Andrus Ansip, al Festival di Cannes, le proposte ufficiali dell’organo UE in materia di Mercato Unico Digitale. A poco più di un anno dal lancio della strategia, la Commissione Europea ha presentato oggi il  nuovo piano per incoraggiare gli scambi online tra gli Stati Membri e ridefinire il quadro normativo dei servizi media e audiovisivi, tenendo conto della crescente importanza delle piattaforme che offrono a vario titolo musica e contenuti video on line.

Come già anticipato in diverse occasioni, sembra definitivamente accantonato l’obiettivo più rivoluzionario del Digital Single Market, cioè quello di eliminare i confini nazionali nell’offerta di pay-tv o di video on demand. Se all’inizio l’istituzione comunitaria aveva preso di mira i contratti tra emittenti e major (vedi l’indagine su Sky notificata a luglio dell’anno scorso) che limitano dal punto di vista territoriale i diritti su film e serie tv, ora la Commissione UE sembra aver definitivamente abbandonato questo terreno di battaglia. Il mirino ora è puntato solo sull’eCommerce: la nuova proposta comprende infatti l’abolizione del cosiddetto geoblocking, ma esclusivamente per il mercato dei beni materiali, nell’intento di garantire a tutti i cittadini europei l’accesso ai negozi online stabiliti all’interno dell’Unione, senza il discrimine della nazionalità. Ciò richiederà regole comuni in materia di tutela dei consumatori e un miglioramento nel sistema di spedizioni. Le pay-tv possono però dormire sonni tranquilli: nessuna Sky o Canal Plus, tanto per fare un esempio, potrà far loro concorrenza da altri Paesi, né gli italiani potranno sperimentare l’offerta SVOD  (subscription video on demand) di Amazon, agguerrita concorrente di Netflix ma operativa nella UE solo all’interno dei confini inglesi e tedeschi.

La novità forse più rilevante nelle proposte della Commissione è invece l’imposizione di una quota di programmazione di prodotto europeo del 20%. In pratica gli OTT (o over-the-top, o servizi basati sulla distribuzione digitale e online) dovranno assicurarsi che almeno un quinto delle opere nei loro cataloghi siano realizzate nell’Unione Europea, ovviamente limitatamente ai Paesi che aderiscono all’organizzazione comunitaria. In realtà anche in questo caso si tratta di una mossa piuttosto moderata: considerando l’attenzione posta da operatori come Netflix alle abitudini di fruizione dei suoi utenti, questo nuovo limite del 20% non appare così stringente. Sembra invece probabile che molte piattaforme si trovino già in regola coi conti, tra serial originali e prodotti acquisiti per il mercato locale.

Scampato parzialmente, invece, il pericolo di una misura che avrebbe avuto conseguenze molto più pesanti sugli OTT, cioè la creazione di una quota obbligatoria di ricavi da reinvestire nella produzione di contenuti made in UE. Come ha spiegato recentemente The Hollywood Reporter, la fetta di introiti che operatori come Netflix impiegano in produzione non va infatti oltre l’1% del loro turnover nel mercato comunitario. Sebbene la Commissione abbia deciso di non premere su questo tasto, la partita non è però totalmente chiusa: la proposta lascia esplicitamente agli Stati Membri la facoltà di disporre in piena autonomia eventuali obblighi di investimento in prodotto nazionale. Una scelta che potremmo definire anomala per due fondamentali motivi. Il primo, è che differisce pesantemente da quanto imposto in materia di tv, dove l’investimento dei profitti in prodotto indipendente europeo è un cardine delle direttive che regolano il settore, con buona pace del cosiddetto level playing field (campo da gioco comune) tanto invocato dai player tradizionali e spesso echeggiato dagli stessi rappresentanti UE. Di conseguenza – e questo ci porta al secondo punto – quello che si prospetta è un quadro legislativo disomogeneo e a macchia di ghepardo, dove qualsiasi  quota imposta agli operatori di streaming rischia di diventare un significativo svantaggio competitivo per il Paese proponente. Soprattutto pensando a servizi come Amazon Prime che appunto non si sono ancora pienamente avventurati nel comparto dello SVOD europeo.

La materia su cui si cercherà di pervenire invece a una cornice legislativa comune, è la protezione dei minori. In tale contesto tutti gli operatori, anche quelli per il video sharing come YouTube, saranno invitati a partecipare all‘Alliance to better protect minors online.

Fonte: Bloomberg, THR, Askanews

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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