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Europa vs. Google: atteso il voto del Parlamento UE

Google: domani il Parlamento UE deciderà se chiedere lo scorporo del motore di ricerca. Tutela della concorrenza o dichiarazione di guerra agli OTT?

Net neutrality, privacy, pirateria, diritto all’oblio, Big Data: per quanto sia nato senza briglie e difficile da imbrigliare se non con pratiche illiberali degne di una dittatura di Stato, è difficile negare come la crescente rilevanza del web quale canale di comunicazione e distribuzione di contenuti e servizi comporti una sfida per i sistemi di regolamentazione tradizionali. Sono ormai cinque anni che la Commissione Europea indaga sulla possibilità che il ruolo preponderante di Google nella navigazione online configuri un abuso di posizione dominate e sulle eventuali misure da adottare per impedire un monopolio in contrasto con le norme comunitarie in materia di concorrenza. La portata e la complessità della questione è evidente, ma ora un’accelerazione del processo decisionale potrebbe essere determinata dal Parlamento UE, che voterà domani una mozione per chiedere lo scorporo del motore di ricerca dagli altri servizi offerti dal colosso di Mountain View, così come da tutti i soggetti operanti nello stesso settore in Europa.

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Non avendo il Parlamento potere di legiferare, la mozione avrebbe come unico effetto quello di esercitare pressione sulla Commissione, e di farlo ovviamente in direzione ostile rispetto all’azienda statunitense. Molte sono le voci che si stanno alzando tuttavia nell’opinione pubblica contro un simile provvedimento. In un editoriale, la rivista italiana Wired ha sottolineato la vicinanza dei parlamentari promotori dell’iniziativa agli interessi dei grandi gruppi editoriali, oltre ad alcuni dati che negherebbero l’adozione di pratiche anticoncorrenziali da parte di Google. Tra questi ci sarebbe in particolare la crescita delle ricerche tramite altri siti: il portale di eCommerce Amazon avrebbe ad esempio visto aumentare significativamente la percentuale di utenti che lo navigano attraverso il motore interno, ormai un terzo del totale contro il 18% del 2009. La centralità assunta negli ultimi anni dal mobile avrebbe inoltre modificato in modo non indifferente il contesto del web rispetto all’inizio dell’indagine della Commissione. Con il 60% del tempo di navigazione trascorso sulle app, sarebbe infatti importante notare come in Europa le versioni mobile di social network quali Facebook e Twitter siano molto più popolari di quelle dei servizi di Big G,  senza contare l’aumento delle ricerche in-app registrate da una quantità di operatori come Yelp, specializzato nella segnalazione di locali ed eventi.

A monte di ogni dato c’è inoltre da considerare la natura di un provvedimento come l’unbundling, cioè la separazione delle diverse attività di un’azienda, solitamente applicato agli ex-monopolisti di Stato e in riferimento alla liberalizzazione di servizi pubblici essenziali. Ieri Alberto Gambino, presidente dell’Italian Academy of the Internet Code (Iaic), ha evidenziato gli effetti negativi che una simile pratica avrebbe sugli stessi operatori europei e quindi su quel Mercato Unico Digitale ancora lontano dall’aver raggiunto un chiaro assetto e definizione. Gambino in particolare avrebbe definito l’unbundling quale misura sproporzionata e penalizzante per le stesse aziende europee, nonché in contrasto con quell’obiettivo prioritario di tutela del consumatore che guida la normativa comunitaria in materia di antitrust. Secondo Wired l’unbundling sarebbe una misura più che altro politica, da leggere come una presa di posizione contro gli OTT americani in difesa non tanto degli utenti, della concorrenzialità dei costi e della qualità dei servizi, quanto degli interessi economici degli editori tradizionali e delle loro rendite minacciate dall’affermazione della net economy.

Un punto su cui tendono a soffermarsi anche i media statunitensi che, oltre a sottolineare l’assenza di poteri decisionali del Parlamento, ricordano come in caso la Commissione decidesse di adottare la lina dura con Google, dovrebbe comunque portare il colosso del web davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per dimostrarne le pratiche lesive della concorrenza: uno scenario descritto come improbabile da diverse testate e come “folle” da posizioni meno diplomatiche come ad esemepio quella di Forbes.

 

Fonte: Wired, Corriere delle Comunicazioni, THR, Forbes

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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